Un Giovenale con il graffio di Ceronetti

Nuova versione delle «Satire» Nuova versione delle «Satire» Un Giovenale con il graffio di Ceronetti sioni di poeti latini (penso, in particolare, a Catullo, che mal mi è parso così poco «verosimile» come nei versi di Ceronetti), questa di Giovenale ha tutta l'aria di nascere da un vero e forte movimento di affinità e di adesione, e che lutto ciò di cui ho parlato finora — violenza, infedeltà ecc. — risulta adibito, qui, a un'amplificazione simpatetica dell'originale. Jl profluvio di esclamazioni, invettive e iperboli, di endecasillabi e settenari dilatati o accartocciati o degradati in lutti 1 modi e con tutti gli artifici possibili, di borbottìi, insulti, insinuazioni intonati in tutti i gerghi e le lingue del mondo (compreso, ma si/, lo slesso latino), che s'abbatte sulle pagine dispari del volume ■ in schiacciante preponderanza quantitativa rispetto al compatto e ispido originale che occhieggia dalle pagine pari, non fa mai l'impressione, voglio dire, di essere rivolto contro Giovenale; al contrario, si sente che Ceronetti è interamente dalla sua parie, e se, qualche volta, gli capita di strafare, non è certo per canzonarlo, bensì per renderselo (e rendercelo) pia assimilabile e fraterno. Il risultato è, nel complesso, di grande godibilità e vivezza. Volendo citare un solo esemplo di versione particolarmente inventiva e azzeccata, ricorderei — più. ancora della celeberrima VI Satira centra mulleres — certi passi della III, con quella Roma invivibile e indormibile, invasa da coatti e rapinatori e assassinata dal traffico, nella quale è davvero difficile non cogliere, facilonesca- mente, una (terrorizzante e consolante) anticipazione della Roma d'oggi. Ma sul rapporto fra la Roma di Giovenale e quella di Ceronetti o, perché no?, di Fellini, si mettano a confronto i due scritti con i quali il traduttore apre e chiude il volume. C'è, fra il più antico e il più recente det due, uno scarto significativo e singolare: a distanza di dodici anni, Ceronetti rifiuta liàenttficaztone di cui, prima, sembrava tacitamente persuaso. Più che alla Roma odierna, -enorme medusa flaccida, priva di consistere', la Roma descritta da Giovenale lo fa . pensare, oggi, al mondo intero, immane -impero disimparato»; e può darsi che abbia ragione, .^.....^ ^ v Dóve; invece, Ceronetti ' noti fìà cambiato idea, è nel privilegiare la scrittura satirica fra tutte le scritture, anzi nel salvare lei sola. Se, nel saggio del 71, affermava ette i pessimisti (cioè, nella fattispecie, i satirici) sono i soli die -scrivono bene, e nei quali si trovano_ -le qualità di una dolcézza vera-, oggi, nella premessa alla ristampa, rincara addirittura la dose: -Mi pare che solo il satirico si giustifichi ancora, tra gli scrittori, meno pervertito nel linguaggio, più vicino a Dio per la sofferenza». E, dicendolo, non allude solo a Giovenale, ma anclte o soprattutto a Smlft, a Gogol', a Celine, a Bxiiluel, a Chaplin — e, naturalmente, a se stesso. Giovanni Raboni Decimo Giunto Giovenale, «Le satire», versione di Guido Ceronetti, Einaudi, 378 pagine, 18.000 lire. PRIMA del -grande bang». Dopo 11 «prende bang:. La bomba apocalittica — the day after — divide le epoche anche nell'ultimo romanzo di Giuseppe D'Agata, America oh Ari. Ma qui fin dal. titolo c'è l'Ironia e l'agrume1 con cui lo scrittore tratteggia il suo postdomani. Si tratta di una favola 'crudele, un apologo paradossale e beffardo, un conte philosophique che un po' fa pensare a Swift, un po' al in mi si ni di un pa lazze schtano Pcrelà rovesciato. La matrice è shakespeariana, liberamente ispirata al Riccardo ///. Quanto al Riccardo protagonista dello stralunato racconto di D'Agata, è la -personificazlone della trasgressione, della deviazione». E' bruttissimo, è gobbo, è schifoso, ha una gamba più corta dell'altra, rattratla, ha magre natiche e collo di rettile, è bastardo e matricida, Infido e assassino. Lui stesso dice di sé: -Osservare-sludiare-la mia Ineffabile, ineguagliabile bruttezza, mi procura una acula emozione...