Arbasino e Fortini litigano nel salotto di Proust

Arbasino e Fortini litigano Arbasino e Fortini litigano nel salotto di Proust mericana Gould, eraper tutti la casa di Boni e nessuno vi avrebbe accennato dicendo di essere andato «chez la Castellane ». Ma la colpa di questi equivoci, e di altri ancora, di chi è? Dei curatori francesi, che nelle note non si sono presi troppo la briga di chiarire? Probabilmente. Però Arbasino non dà tregua a Fortini, come se le note le avesse scritte lui. E allora, a questo punto, non si può più andare avanti: tra le ripicche mondane di allora e quelle in fin dei conti altrettanto mondane di oggi. I settimanali sono o no dei salotti sia pure meno raffinati di quelli dei Guermantes? Si corre il rischio di non fare filologia, né critica letteraria, ma di divertirsi con dei rebus e con dei -chi è?- o «chi l'ha visto?-, riducendo così Proust a livello dì Settimana Enigmistica. Arbasino immagina- ed elenca una ventina di scorrettezze ed errori. Ma qualche errore vero, in questa traduzione, c'è: frutto evidente di distrazione o del bizantinismo delle allusioni private di cui questi versi sono carichi ad ogni riga. Fortini prende Maure e Douché a inizio di verso, e dunque maiuscoli, per due cognomi di personaggi non identificati, mentre si tratta di aggettivi: nerastro e lavato dalla doccia, riferiti rispettivamente a Jean (Cocteau) e a Lucien (Daudet). Sono cose che capitano, nel lavoro dei traduttori. E altre cose capitano, più o meno dello stesso genere, nel lavoro dei recensori. Allora giù le mani da Proust tutti e due? No, non giù le mani dal Proust della Recherche, ma da queste poesiole d'occasione, il cui tempo irrimediabilmente perduto nessuno riuscirà vidi a ritrovare, né sui libri né telefonando. E non è poi un gran male. PERCHE' sull'ultimo numero de L'Espresso Arbasino ha attaccato la traduzione di Franco Fortini delle poesie di Proust? Per lesa mondanità, forse? O per lesa proustianità? Franco Fortini non è mai statotun mondano, ma un serioso, piuttosto moralista e magari anche pedante. Su Proust vanta però antichi e recenti privilegi di traduttore: -La fuggitiva- nel 1963 e, oggi, le Poesie, appena pubblicate da Einaudi. Questa sua traduzione ha fatto storcere il naso a molti. Forse perché Fortini, poeta in proprio, ha preferito questa volta tradurre in prosa? O perché in definitiva questo Proust da billets doux e da foglietti occasionali, usciti da archivi privati e vecchi cassetti, non è il Proust che lo stesso Fortini più ama? «Avevo chiesto all'editore che la traduzione In prosa venisse affiancata, In corpo più piccolo, al versi dell'originale», ci ha dichiarato. «Volevo che fosse soltanto una guida per l'Interpretazione di un testo di per sé incomprensibile, per 1 mille riferimenti ai personaggi di un mondo perduto. Solo troppo tardi ho visto che lì testo della traduzione aveva lo stesso corpo dell'originale». E di qui le reazioni. Anche alla Rai, un recensore ha parlato frettolosamente di-una discutibile versione- dal Proust poeta. E ora l'attacco di Arbasino. A differenza di Fortini, Arbasino è sempre stato mondano ed anche lui moralista, sia pure con un coté adorabilmente «farfelu», per dirla nella lingua di Proust, sul quale anche lui vanta privilegi di conoscenza e una certa fisica rassomiglianza. Forse Proust è un -bocconcinotroppo prelibato perché Arbasino si lasci sfuggire il gusto di strapparlo dai denti di chi come lui sicuramente lo ama, ma brechtianamente, e quindi potrebbe trattarsi di una non troppo garbata disputa tra traduttori gelosi o anche di un'assai nobile e accademica passione filologica. Arbasino ha beccato Fortini su alcuni errori di traduzione e su molte imprecisioni mondane, in verità riprese dall'edizione francese, ufftcialissima, dei Cahiers Marcel Si chiede Arbasino: «Chi, imbattendosi in una Gustava, avrà ammesso che si trattava della moglie di un Gustave? (mentre sarebbe bastata una telefonata per appurare che Proust parlava proprio di Gustava De Rothschlld, famosa ed elegante?,/». Invece no, il telefono inganna, la memoria dei nipoti e degli amici del nipóti è fallace, il tempo non si ritrova facilmente. Bastava consultare qualche libro e si sarebbe scoperto che Gustava De Rothschlld era appunto la moglie del barone Gustavo, Cécile, nata Anspach (come si legge a pag. 255 di queste poesie in edizione Einaudi). Così, anche per un'altra signora, Arbasino ha contato troppo sul telefono o sulla memoria. La r>o DIeii Castellane» dei versi di pug 160 dedicati a Reynaldo Hahn (-O tol qui m'a mene chez la de Castellane») sarà stata verosimilmente Dorothée de Castellane, per gli amici Dolly, diciamo l'originale della principessa di Guermantes e non la piccola e nera Anna Gould, la miliardaria moglie del deputato Boni, che Arbasino crede d'individuare con sicurezza. Tra l'altro, questa Anna è parente del biologo marxista di Harvard, Stephen Jay Gould, al quale davvero basta faret una telefonata. La de Castellane era certo per antonomasia la contessa Dorothée. Invece la famosa casa di Avenue du Bois, costruite con I denari dell'a¬