Abotantuono e Molière ecceziunale certamente
Abotantuono e Molière eccezionale certamente «Don Giovanni» air Alfieri con Lino Troisi Abotantuono e Molière eccezionale certamente TORINO — Molière o Abatantuono? Non è un mistero affermare che, forse, la maggiore curiosità del Don Giovanni diretto da Mario Marini in scena all'Alfieri risiede-, va proprio nella presema dell'ex terrunclello, dell'attore malcrescluto che dal cabaret ai «film spazzatura» ha raggiunto una repentina, ancorché periferica, grandezza. Quindi, non sembrava immotivato il dubbio. Molière o Abatantuono? Quasi che V uno dovesse escludere necessariamente l'altro. Ma quando ha cominciato ad avviarsi il perverso gioco di don Giovanni e si teatralizzava limpasto linguistico di Molière, il dubbio cadeva, Abatantuono legittimava autorevolmente la propria presenza scenica; con la sua parlata di sradicalo metropolitano, si trasformava in uno zanni corposamente gustoso, si collegava alla tradizione del comici dell'Arte, mostrava una sensibilità moderna e candida. Certo, la sua presenza ha condizionato lo spettacolo. Il regista Marini non poteva non tener conto della sua mascliera esuberante, ha dovuto fare i conti con una comicità che, alla fine, ha dato frutti di succosa teatralità. Non era facile. Don Giovanni è una commedia-cardine fondata sul mito del libertino laico e gaudente, sprezzatore delle donne e del Cielo clie si perde per colpa del proprio cinismo. Molière gli oppone il personaggio di Sganarello, die non è più il servo della tradizione dell'Arte, ma un vero e proprio deuteragonista, un ragionatore semplice e prudente, che vorrebbe instillare nell'animo del padrone qualche goccia di buon senso. Parlano molto, lui e don Giovanni, ma non sono don Chisciotte e Sancito Panza, poiché non dialogano, ognuno è chiuso nelle proprie persuasioni e neppure gli avvenimenti più allarmanti riusciranno a scalfirle. Don Gto- vanni non rinnega la propria scandalosa esistenza neppure quando la statua del Commendatore, da lui ucciso in duello alcuni mesi prima, lo trascina agli inferi. I due personaggi attraversano solitari un'umanità plebea o aristocratica che Molière definisce con diversi linguaggi. La traduzione di Giovanni Raboni ha ereato, per i popolani, un elegante gergo letterario che non ritroviamo nello spettacolo, dove i contadini si esprimono in un napoletano affannato e cantante. Nessun peccato di lesa maestà, è un modo di tradurre l'argot di Molière ed ha almeno un precedente nel Don Giovanni allestito da Pupi e Fresedde. II dialetto e la lingua scempiata di Sganarello hanno il potere di isolare ancora di più il Don Giovanni di Lino Troisi scolpito da una parlata marmorea e inossidabile. Lui è il Mito, è la grandezza assoluta del male, è l'uomo che ha occhi solo per se stesso, parole solo per il proprio tornaconto, pigrizie solari e improvvisi slanci vitali, come quando corre a salvar la vita al fratello di donna Elvira che lo cerca per ucciderlo. Ma il famelico seduttore attraversa la vita senza scrutare l'orizzonte; l'imperturbabile peccatore che tratta gli uomini come palloncini ha un solo momento d'ira allorché un eremita rifiuta la sua elemosina perché non accetta di bestemmiare. C'è finalmente uno che dà senso alla sua trasgressione? Troisi è straordinario nel presentarci tutto il nero del personaggio e la voluttà maligna che lo intride. Misurato ed elegante, ha diviso con Abatantuono gli applausi scroscianti della «prima». Tra i molti interpreti, vanno ricordati almeno Marcello Romolo e Corallina Viviani ai quali erano affidati i personaggi di Petrucclo e Carlotta. Osvaldo Guerrieri V é I Diego Abatantuono è uno Spinarello «terrunclello» per Molière
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