Il vero storico?E' un antiquario

// vero storico?E9 un antiquario INTERVISTA CON ARNALDO MOMIGLIANO, STUDIOSO DELLE SOCIETÀ' DEL PASSATO // vero storico?E9 un antiquario Arnaldo Momigliano . è nato nel 1908 in Piemonte. Dopo gli studi a Torino, dove nel 1929 pubblica la sua tesi su Tucidide, va a Roma per dedicarsi all'insegnamento. Vi resta dal 1932 al '36. Ritorna a Torino ma è destituito dal suo incarico nel '38, a seguito delle leggi razziali, essendo ebreo. Emigra allora in Inghilterra, dove lavora prima a Oxford, poi a Bristol. Dal 1954 al 1975 insegna all'università di Londra. Dopo la pensione diventa professore all'università di Chicago, dove continua a insegnare. Dopo la guerra è stato reintegrato nell'università italiana c ha ritrovato 11 suo posto a Torino, prima di insegnare alla Normale di Pisa, dove continua a anda¬ re regolarmente. Ma non ha voluto rinunciare del tutto all'Inghilterra e,a Londra, dove vive. Per questo, nel 1949 rifiutò di assumere la direzione dell'Istituto creato a Napoli da Benedetto Croce, viali;? Autore di molte opere, Arnaldo Momigliano- ha pubblicato prima della guerra un libro sul Maccabei, uno studio sull'imperatore Claudio, un altro su Filippo il Macedone. Dopo'là guerra ha pubblicato, direttamente in inglese Sviluppo della biografia greca e Saggezza barbarica. Ha raccolto i suol saggi in una serie di Contributi alla storia degli studi classici e del mondo antico: nove volumi di questa raccolta sono già stati pubblica- ti in Italia. Un decimo volume è in preparazione. — Come è nata la sua passione per lo studio delle società antiche? 'Sono cresciuto in una famiglia di intellettuali in cui si è sempre discusso sui problemi della cultura e della filosofia. Un'influenza determinante in questo senso è stata quella di Felice Momigliano, un cugino di mio padre docente di filosofia all'Università di Roma. Si era dedicato in particolare allo studio del profetismo religioso. Mi hanno sempre appassionato i problemi del rapporti tra la cultura italiana e l'ebraismo, tra . la cultura classica e quella israelita ». — Quali sono stati 1 grandi stimoli intellettuali che hanno segnato i suoi anni di formazione? «Il mio grande maestro è stalo Gaetano de Sanctts, un professore noto in campo internazionale, eminente specialista dell'antichità. . La vita intellettuale a Torino era molto intensa. Poi ho seguilo de Sanctts a Roma. Ho lavoralo alla redazione del/'Enclclopedia^taliana. L'iniziativa era diretta da Gentile. Voleva essere il filosofo del fascismo ed era legato a quanto c'era di più duro nel partito fascista. Ma il gruppo die lavorava alTEnclclopedia era di orientamento nettamente antifascista^. — Ha conosciuto a Roma Benedetto Croce? mNo, l'avevo conosciuto a Torino quando ero giovane. Lo vedevo spesso e ho continuato a incontrarlo a Roma. Era senatore; aveva un prestigio enorme. In quel mo' mento, In Italia, rappresentava soprattutto l'antlfascìsmo e la libertà. Mi appusslonava il problema, che egli poneva, dei rapporti tra storia e filosofia. Credo di non avere mal accettato l'identificazione tra le due. Ma di lui 3V\iAiTiW?ff&U7Vl.B^an^e ai~ tenutone per la stòria delle idee e per la riflessione sulla \v\etóà~o]tQvtà storica»,,„•.',» —- Nei suol saggi, infatti, si trovano del centri d'interesse: gli studi storici propriamente detti e gii studi sugli i storici del secoli scorsi, sulla costituzione del sapere storico. «Non si tratta di interessi differenti. Clie cosa fa lo storico quando affronta un certo settore di studio? Si pone del problemi. E questi problemi o li inventa egli stesso, e questo non succede spesso, oppure li riceve in eredità. Ma allora bisogna controllarli prima di farli propri. Il mio interesse per gli storici del passato proviene anzitutto da questa volontà di controllare l'origine e il significato dei problemi che io trovo interessanti. ••Questo non vuol dire che sia rimasto indifferente ai problemi più generali della metodologia storica. Se si legge ad esempio ciò che ho scritto su Gibbon si trovano i due aspetti: il mio interesse per l'Impero romano e la sua decadenza e il modo in cui Gibbon tratta questi problemi; d'altra parte affronto il ■problema più generale del modo di scrivere la storia e il progresso die Gibbon gli ha impresso. In questo caso non si tratta soltanto di discutere un autore, perché ini ha posto un problema specifico su un campo di ricerca o su un certo periodo, ma di riflettere più generalmente sulle vie della scrittura storica. Tuttavia mi sono sempre dedicato di più ai problemi concreti c precisi di metodo piuttosto, die alle questioni di ordine generale». Grandi passi — Tra le sue riflessioni sullo sviluppo della metodologia storica, lo studio sull'accoppiamento nel diciottesimo secolo della «tradizione antiquaria» con la «tradizione storica» occupa un posto molto Importante. «La forma più elementare di scrivere per uno storico che non voglia soltanto fare storta degli avvenimenti'' (guerre, rivoluzioni, politica) è di descrìvere sistematicamente la religione di un'epoca o di un Paese, le costituzioni, la vita economica, i costumi ecc. E' quello che fanno da sempre gli amatori dell'antichità, gli "antiquari", die si interessano di monete, monumenti, codici-giuridici;., tuttectiàe che gti stòrici spesso trascuravano. Gli "antiquari" sona In un certo senso i padri d'una forma primitiva di "storia a lungo, .termine". Nel diciottesimo secolo gli storici si sono accorti che dovevano integrare le loro descrizioni, che poteva essere più importante parlare in termini di evoluzione della cultura religiosa die di racconti di battaglie. «In quel momento la vecchia distinzione tra "antiquari" e "storici" era già sta¬ la messa in discussione. Oggi il ricorso ai metodi dell'archeologia, della sociologia, dell'economia ha fatto compiere grandi passi. Max Weber, Femand Braudel, Micìiel Foucault hanno contribuito a risolvere questi problemi di rapporti tra storici e "antiquari", sotto una forma moderna. Ma slamo certi che la sintesi tra le due tradizioni sia sempre possibile? Il contrasto tra la "storia a lungo termine" e l'avvenimento è un dato elementare della nostra esperienza'. — Lei in questo momento combatte II «relativismo storico», che conosce un momento di successo, soprattutto negli Stati Uniti. «Si, oggi si discute molto seriamente su un problema che ai tempi della mia gioventù non era assolutamente considerato. C'è tutta una corrente di pensiero che cerca di annullare la distinzione tra romanzo e storia. La storia, come il romanzo, altro non sarebbe se non una creazione che esprime atteggiamenti e aspirazioni, piuttosto die interpretare realtà oggettive. A me sembra impossibile ragionare in questi termini. Bisogna assolutamente mantenere la distinzione. Per dirla semplicemente: lo storico non può, come fa lo scrittore, inventare i fatti. La "verità" d'unro.manzo è la stessa di un libro di storia. Molti miei amici non vogliono vedere questa differenza. Ma se la loro tesi prevarrà sarà la fine della storia. «Si usa come argomento d'appoggio che la storia sarebbe al servizio delle ideologie. Ma io credo che non ci sia nulla da dire contro una storia che sia propaganda cosciente. Perché no? Ognuno ha il diritto di scegliere i problemi che ai suoi occhi sono interessanti. Tutt'alptù posso obiettare che questo o quel problema non* ,,m$nter. rèssa. Ma se si comincia a discutere, bisogna pur tornare alla storia della storiografia, stabilire la consistenza degli elementi addotti per sostenere una tesi, porre in discussione la legittimità del metodo... «Insomma, ciò die importa è la qualità delle - risposte. Poco importano le ragioni per le quali si pone un problema e lo si studia. Quel che conta è che la risposta possa poggiare su basi solide. Se ad esempio si utilizzano teorie economiche, bisogna essere certi che esse siano corrette e che non siano superate». — L'estensione del campi d'indagine e del metodi di ricerca rende più complesso questo modo di portare delle «prove», «E' vero, oggi, dato che la possibilità di porre problemi storici è diventata quasi illimitata, è necessario usare un grande numero di mezzi d'indagine che non appartenevano alla formazione degli storici della mia gioventù. Bisogna conoscere l'antropologia, l'economia; bisogna conoscere la psicanalisi. Personalmente non ho alcuna obiezione di principio contro una storia di tipo psicoanalitico. Anche se devo ammettere talvolta che non posso dare giudizi sui risultati perché non sono competente in materia. I problemi pratici della ricerca diventano naturalmente molto più complessi. Oggi bisogna dare agli studenti nozioni che al nostri tempi ignoravamo. E' come insegnare una nuova lingua. Tutti abbiamo scoperto una nuova via imparando una lingua. E se si può imparare una lingua, si può anche imparare un metodor.. Gli studenti — Lei ha insegnato per oltre cinquantanni, e in molti Paesi. Che cosa l'ha colpito di più In questa esperienza di professore? «In realtà io sono rimasto anzitutto un insegnante, la mia influenza è quella d'un professore, cioè dt uno ette ha responsabilità nell'educazione delle nuove generazioni, in tutti i posti in cui ho insegnato ho trovato comunanza d'interessi per i problemi che mi ponevo. E' una sorprendente continuità nel tempo e diffusione nello spazio. Non ho mai visto molta differenza tra gli studenti conosciuti in Italia, in Gran 'Bretagna o negli Stati Uniti. «Occorre anche sottolineare la crescente internazionalizzazione della vita intellettuale. Certo, abbiamo troppi colloqui, troppi congressi. Ma, dietro tutta questa attività, c'è una formidabile possibilità di discussione e di scambi d'idee, come mai era avvenuto finora. Non ho mai sentito che fosse difficile comunicare. E trovo che questo è un fatto straordinario». Didier Erlbon Copyright i I * Monde.) e per l'Italia «La Stampa»