In bici sotto gli occhi di Stalin

In bici sotto gli occhi eli Stellili A Tirana, capitale del Paese più povero e più chiuso d'Europa, dove la miseria è vissuta con apparente fierezza In bici sotto gli occhi eli Stellili Magica di notte, la città perde il suo fascino di giorno: palazzi anonimi sostituiscono le vecchie case di terra, parchi vasti ma mal curati, due distributori di benzina (non ci sono auto private), una banca e tre cinema - Irrompono i jeans ma restano chiusi tutti i luoghi di culto - L'Università avrà presto una cattedra di lingua italiana -11 sogno kemalista di Hoxha . DAL NOSTRO INVIATO TIRANA — Appoggiato alla bicicletta, sotto la statua di Stalin, il ragazzo volge appena gli occhi allo straniero fingendo indifferenza. E' bruno e sottile, d'aspetto fiero. Veste pantaloni grigi un po' lisi, maglia rossa a girocollo, corto soprabito blu notte, Si scosta al passaggio, quasi volesse evitare il minimo contatto fisico. La sua bicicletta non ha fanale. L'aria è limpida e fresca, sul grande viale alberato poche auto avanzano a fatica tagliando la folla. La via principale, la via dei Martiri, parte da piazza Skanderbeg, dove sorge 11 monumento all' eroe che fu ostaggio, alleato e infine mortale nemico del turco, e arriva all'Università che è il vanto di Tirana. Fondata nel 1957, oggi ha 8 facoltà, 800 professori e 8500 studenti a tempo pieno. La metà sono donne. A ottobre, mi dicono, sarà istituita una cattedra di lingua italiana. A metà strada fra la piazza e l'Università c'è l'Hotel Dattili, costruito da Ciano e Inaugurato da Mussolini, più avanti Stalin e Lenin si fronteggiano sul loro piedestalli. Accanto alla statua di Skanderbeg, bianca e appartata, si alza la moschea di Hadji Ethem Bey, chiusa come tut- ti gli altri luoghi di culto durante la rivoluzione culturale del 1966-67. Non ci sono semafori, il centro di Tirana pare un formicaio. I negozi stanno nella città vecchia, dietro la piazza, e appartengono tutti allo Stato. Anche 1 piti piccoli, dove si vendono dolci di pastafrolla o matite colorate. La merce è scarsa ma esposta con ordine dietro pannelli di cartone dipinto. Le botteghe sono strette, aperte sulla via, piene di gente e dignitose nella loro povera semplicità. Tutti prodotti albanesi, compresi 1 jeans in bella vista nel supermercato: costano 50 lek, poco più di 10 mila lire, e stanno diventando di moda fra 1 giovani. ,Stoffa resistente e adatta alla fabbrica, si dice a Tirana. Si dice anche che 1 giovani non hanno problemi, che il loro unico scopo è di lavorare e produrre, che la mu- sica, la danza e l'impegno politico bastano a riempire le lunghe ore della sera, quando la città diventa deserta e irreale sotto un antico silenzio. L'Albania è un Paese povero, non è difficile rendersene conto passeggiando fra strade e piazze, osservando la gente. Il Paese più povero d' Europa, con un reddito medio prò capite di nemmeno 1000 dollari l'anno. Ma è una povertà vissuta con fierezza: è il risultato di una scelta priva di compromessi, il prezzo pagato per l'indipendenza assoluta, economica e politica, dallo straniero. «Abbiamo fatto tutto da soli», dicono gli albanesi ricordando la miseria ai tempi di re Zog, 11 sistema feudale prima della Liberazione, le macerie della guerra, 1 sacrifici Immensi per costruire da nulla un Paese martoriato nei secoli da dominazioni e soprusi. <■ Abbiamo rifiutato l'aiuto dei russi e poi anche quello del cinesi, slamo convinti che ogni popolo deve lottare da solo per la propria libertà. Kruscev voleva trasformare V Albania in un campo di girasoli, Mao giocava a ping-pong con Nixon mentre gli americani bombardavano Hanoi: entrambi intendevano imporci i loro missili puntati sull' Europa. Noi invece cerchiamo pace, amicizia e rispetto. Nessuno Ita mai subito aggressioni da parte nostra, né dovrà temerne in futuro-. Le parole sono di un giornalista di Zeri i Populllt, quotidiano del Comitato centrale del partito del lavoro, che ci è stato guida gentile e discreto angelo custode In questo breve soggiorno a Tirana. Egli ci racconta le conquiste della rivoluzione e 1 risultati positivi dello sviluppo accelerato: 1' elettrificazione, la bonifica delle paludi, la collettivizzazione della terra, 11 grande balzo in avanti dell'industria, l'autosufficienza alimentare. Secondo lui, gli albanesi sono tutti cosi, una sola anima con la Patria e il Partito. Ovviamente non fa parola del conflitti drammatici, delle epurazioni anche sanguinose che hanno scosso in più riprese le fondamenta del giovane Stato. Insieme slamo andati a teatro, dove alle 6 di sera, ogni sera, il gruppo folklorlstico di Stato canta con toni di nostalgia la visita del compagno Enver Hoxha a Ojlrokastra, suo paese natale, fra gli applausi commossi di un pubblico folto e composto. Enver Hoxha è molto amato, è il gran padre, la leggenda vivente. Nessuno osa neppure pensare cosa succederà all' Albania dopo la sua morte. Enver Hoxha è presente dappertutto, nel ritratti appesi alle pareti del locali pubblici, nel bar pieni di fumo dove si beve in piedi grappa albanese, nella graziosa sala d'imbarco all'aeroporto, nella hall degli alberghi riservati al pochi stranieri che hanno la ventura di finire quaggiù: sorridente fra bambini in coslumi tradizionali, pensieroso al tavolo di lavoro, radioso di fiducia in mezzo agli operai della fabbrica. Come per Ataturk in Turchia, cui del resto Enver Hoxha può essere avvicinato per lo sforzo, talora violento e finora riuscito, di. occidentalizzare il Paese stravolgendo In profondità il retaggio di cinque secoli di tradizione ottomana. Al centro di questo processo kemalista, laico, antlslaml- co del comunismo albanese, c'è la condizione della donna, sottratta nel giro di una sola generazione al lungo medioevo albanese di schiavitù e dolori e collocata nel vivo della struttura produttiva, pari In tutto all'uomo, nel lavoro come nella vita. Al Teatro dell'Opera ci sono molte donne. Vestono all'occidentale, portano gonne sotto 11 ginocchio e borsette di pelle che costano 100 lek. I cantanti in scena raccontano la storia dell'eroina del Kosovo che muore per mano del nazisti Invocando la libertà per il suo .popolò. I costumi sono bellissimi, ricchi di fregi e colori, si parla di partigiani, di rivoluzione, di partito e di amore. Fuori, quando cala la notte, gruppi di spazzini invadono le strade vuote con le loro ra¬ mazze. Sono tutte donne, lavorano svelte e.silenziose, la tuta scura che le confonde nel buio. Agli angoli dei palazzi del centro, costruiti in epoca fascista, militari in pesante cappotto grigio montano di guardia con in braccio il fucile. Passando loro davanti, bisogna scendere dal marciapiede. Le luci sono fioche, la città, immersa nella penombra, pare ancora più sola e lontana. Ma l'elettricità è un bene prezioso, e non a caso gli albanesi amano ritornare nei loro discorsi al 25 ottobre 1970, il giorno della luce,, quando ad Aglmi, nel distretto di Pieri, si accesero le lampadine e fu completata l'elettrificazione del Paese. Uno storico risultato per l'Albania, terra di montagne im¬ pervie, dove i villaggi sono sparsi e arroccati, è le case distribuite secondo una geografia interiore ed espressione di una società tribale e guerriera, individualista, incline alla violenza solitaria, I montanari dèi Nord, le aquile del Balcani, costruivano le loro piccole fortezze ad un tiro di schioppo l'una dall'altra, in cima alla rocca, e da 11 sorvegliavano i loro campi temendo assalti e imboscate. Quasi magica di notte, Tirana di giorno perde molto del suo- fascino. La città non è bella.. Palazzi anonimi e moderni sostituiscono via via le vecchie, basse case di terra. Nascono parchi, vasti ma non troppo curati, dove gruppi di giovani seduti sui talloni giocano a domino su fogli di giornale stesi sull'erba. Tutto appare freddo e grigio. Tirana ha 200 mila abitanti, ha due distributori di benzina, una banca e tre cinema. I film stranieri, pochi, non sono doppiati. Non esistono auto private, chi ha salito il giusto gradino nella scala sociale può utilizzare quelle dello Stato. L'amico giornalista può farlo, dice che le cose vanno bene cosi e che sono tutti contenti, anche quelli che pedalano in bicicletta. In compenso gli autobus funzionano bene e costano poco, come gli affitti, 20-30 lek al mese. Non si pagano tasse, il servizio ospedaliero e la scuola sono gratuiti, la pensione ammonta al 70 per cento del salarlo. Un operalo guadagna circa 600 lek al mese, il lek vale poco più di 200 lire. Il cibo è buono e genuino, la televisione trasmette qualche programma a colori; si cattura la tv italiana, il telegiornale e qualche partita di calcio ogni tanto. Strane interferenze fanno tremare lo schermo nei momenti imbarazzanti, quando compare un'immagine troppo ardita, o quando parla 11 Papa. La strada che conduce all' aeroporto si snoda fra campi ben curati, serre e vigneti. Numerose casematte sono presidiate da uomini in divisa. I contadini indossano tute di cotone e lavorano piegati sulle loro zappe. Sulla pista dissestata dell'aeroporto internazionale di Tirana c'è soltanto il nostro aereo. Carlo Coscia