La lesina di Sella

La lesina di Sella A CENT'ANNI DALLA MORTE La lesina di Sella Il presidente del Consiglio è un istituto moderno nella storia dell'Italia post-risorgimentale. Morto .Cavour ci vorranno ventisette anni, e ci vorrà Crispi, per arrivare a uhprincipio di definizione «legislativa» di quelli che erano i compiti e i poteri, imprecisi e gerjcrici, di un primus interpare;, secondo la tradizione organista francese, cosi diversa da quella del premier britannico. Ricasoli, col suo orgoglio e la sua intrattabilità, ci provò nel marzo 1867: ma si ruppe le ossa. Voleva essere presidente e basta; non ministro e poi anche presidente. Rifiutava qualunque altro dicastero. Abbozzò un decreto. Fu messo in minoranza, soprattutto dalla sinistra, ma con una parte' della destra complice. Il decreto non passò; il presidente del Consiglio rimase un titolo poco più che onorifico, connesso a un'altra effettiva responsabilità di governo. «Ministro di Stato»: si legge nella commovente, sobria lapide di Casale Monferrato al suo cittadino più illustre, Giovanni :Lanza, che era stato presidente del Consiglio per quattro anni, dal 1869 al 1873, e nientemeno che il presidente, controvoglia, di Porta Pia. La successione dei governi, dopo la scomparsa di Cavour, è perfino incerta e zoppicante: non senza varie singolari accoppiate. Cè un governo Farini-Minghetti, in cui è difficile comprendere bene se il presidente effettivo sia stato Luigi Carlo Patini, già vicino alla follia, o non piuttosto Marco Mjnghetti, anche prima del passaggio ufficiale delle consegne (primi 186): in pieno Consiglio dei ministri, una sala piccola per cinque o sei persone, l'antico dittatore di Modena si era alzato in piedi annunciando il proposito di partire a cavallo per la Polonia, oppressa...). E c'è un governo Lanza-Sella, 'il 'governo della restaurazione finanziaria, in cui il ministro dèlie'- Finanze Sella1 deterrà un primato, di immagine,- di ruolo e anche di polemiche, sul presidente del Consiglio, appunto Lanza. Ministro delle Tasse: cioè dell'e. sigenza più impopolare. ' Allora il Tesoro non c'era: nacque a Sinistra inoltrata. Quintino Sella. Sono oggi cent'anni dalla morte: stroncato a 57 anni, dopo una vita lampeggiante (ministro a 35) Lo statista che legò il suo nome a un'epoca di rigore, di austerità, di rispetto scrupoloso e puntiglioso del pubblico denaro. Un simbolo d'inte grità e di devozione allo Stato appena nato che superò le barriere dei partiti: uno dei leader s della destra storica ma — aggiungeva Giolitti — capace di guidare una sinistra saia e riformatrice. Esponente di una famiglia biellese di alta borghesia im prendi tori ale, ma pronto a ri' conoscere per primo il diritto di ' sciopero per i lavoratori, contro .le chiusure oligarchi che e misoneiste del conservatorismo accigliato (parole del 1868: «La fissazione del salario è per me un contratto come un altro...»). vMercante di panni», come lo "chiamava, in tono di dileggio irritato, Vittorio Emanuele II, che non lo amò mai; ma capace di vedere più lontano di rutti i consigliai della Corona e di spingere a pedate la destra e la monarchia, riluttanti, indecise, sulla via di Roma capitale, il 20 settembre. Mai presidente Nel '69, incaricato di formare il governo, preferì indicare Lanza (così come rinunciò ncll'81). Nel '69" c'era il tema delle spese militati al centro. Bisognava ridurle; nella lotta, eroica lotta,'per il pareggio del bilan dò, il problema di sempre. Non bastavano le imposte già fissate; neppure quella tanto "odiosa, e pur cosi necessaria, sul macinato, sulla macinazione dei cacali. Il disavanzo era ancora molto alto: nel '62 aveva sfiorato i 500 milioni (di allora), più di metà del le,entrate complessive dello Stato. Poi, di risparmio in ri parmio, di lesina in lesina, con un'azione fiscale spietata e generalizzata, quel deficit era sceso intorno ai 300 nel '68, sotto i 300 nel '69. 1 militari protestavano. Il re, che sceglieva sempre il ministro della Guerra (uso che durò fino a Giolitti), mordeva il freno.. Si usciva da un go- verno Mcnabrea, un gcnaale di assoluta osservanza piemontese, anzi savoiarda. Si profilauna candidatura Caldini, va evocante tutte le rivalità e le meschinità della guerra del 66. «Le parole di Caldini sono forse una minaccia di pronunciamento?»: era insorto sdegnato Sella, che aveva cosi alto il senso della prevalenza del potere politico sul potere militare, quando il generale modenese reduce dal '59 aveva dichiarato in Senato che «il ministro della Guerra non godeva più la fiducia dell'aeralo». Sella stabili, insomma, chi doveva essere il presidente del Consiglio. Tenne solo le Finanze: per attuare, a testa alta, sapendo di sfidare l'impopolarità, il suo motto, fermo e con una vena protestantica: «Paghi chi deve e non già chi vuole» Contro ogni tentazione di «finanza allegra»: che poi tornerà. E quante volte! «Si impongono aggravi ai contribuenti, usava dire, non quando si votano imposte, ma quando si votano spese». Una lucida profezia dell'art. 81 della Costituzione repubblicana. Interprete di una religiosità laica, che ebbe pochi esemplari di altrettanta forza e coerenza. Arrivato dalla politica alla cultura, e non dalla corte o dai cortili dei cortigiani. Professore di geometria applicata Torino; geologo, mineralogo; grande scalatore; grande animatore e riformatore dell'Accademia dei Lincei, col culto sperimentale e problematico della Lince. Credente nel ruolo di Roma come capitale della scienza e dell'incivilimento umano: con una vibrazione mazziniana ma riscattata da ogni residuo teologico. Molto più germanofilo che francefilo. Capace di scrivere in latino come in italiano (a Dollinger, fondatore della Chiesa dei vecchi cattolici, che rifiutò di piegare all'infailibilismo pontificale,, scrisse nel. 1872 una lettera, tutta in latino, sulla Nuova'Antologia). *•'•>>«.. Non economista tecnico o professionale ma scienziato. Uno scienziato che vive nell'epoca positivista senza diventarne tributario. Fautore della separazione fra sacro e profano, senza impennate anticlericali; difensore dello Stato, senza pose giacobine; interprete dell'etica risorgimentale, senza smorfie di reducismo. Il concetto dello Stato come casa di tutti. Il principio del denaro pubblico come Qualcosa di sacro (non appena iventò ministro, la prima volta, impose alla sua numerosa famiglia — una famiglia che si prolunga oggi — di rinunciare a ogni fornitura diretta o indiretta, allo Stato, a ogni e qualsiasi rapporto coi poteri pubblici). La sua moralità era cosi profonda che non ebbe mai bisogno di ostentazioni «moralistiche». «Il tributo, diceva, è qualcosa di sacro, tanto come il sangue che sì sparge per la Patria». E riuscì a sostituire un'amministrazione delle risorse nazionali in un Paese che aveva tradizioni diverse quando non opposte e che sembrava alla metcè di tutti gli speculatori. Per Quintino Sella potrebbe valere quanto diceva Seneca nelle Lettere a Lucilio: *ln ogni uomo valente non si sa quale Dio, ma un Dio abita». Giovanni Spadolini

Luoghi citati: Casale Monferrato, Italia, Modena, Polonia, Roma, Torino