Battaglia tra i pozzi di petrolio di Mimmo Candito

Battaglia tra i pozzi di petrolio L'esercito iracheno tenta di riconquistare i giacimenti di Majnun ancora occupati dagli iraniani Battaglia tra i pozzi di petrolio Per Io stato maggiore di Baghdad il controllo degli isolotti che emergono dalla grande palude avrebbe il valore di una vittoria determinante - Da ieri i cannoni e gli elicotteri tempestano di proiettili e di razzi le postazioni dei «pasdaran» di Khomeini - Ma la presenza, sotto la sabbia, di un sesto delie riserve di greggio del Paese condiziona le operazioni belliche DAL NOSTRO INVIATO BASSORA — In guerra si muore anche nei giorni di festa, come ieri che era un venerdì e per i musulmani vale la domenica di noi cristiani. Le cannonate non conoscono il nome del Signore neanche quaggiù. Anzi, è forse in. un giorno di festa come ieri che si muore di più, perché la battaglia di Majnun è diventata il cuore della guerra, in quest'ultima disperata settimana di combattimenti. Si sa che gli iraniani stanno ammassando altre migliala di uomini sul confine, si sa anche che su Kargh, il grande terminale del petrolio dell'Iran, e sulle navi del Golfo vola la minaccia dei missili iracheni; ma né quella né questa notizia valgono per ora il controllo delle isole di Majnun, che hanno preso ormai il valore simbolico di una vittoria determinante. Chiamarle isole è già una truffa della geografìa perché sono poco più di pezzi di terra che emergono dalle paludi, ptazzole fangose coperte solo da qualche capanno di lamiera e dai resti di attrezzature petrolifere. Stanno nella stessa laguna in cui si è combattuta la grande battaglia di fine febbraio, quella dei cinquantamila morti; ma da Majnun le truppe irachene e i para non sono ancora riusciti a snidare i pasdaran suicidi di Khomeini. C'è chi dice che la colpa è del petrolio che sta sotto le isole, che costringe i soldati ad usare ogni cautela. E l'ipotesi ha una sua logica convincente: le riserve della zona sono sette miliardi di barili di greggio, un sesto dell'intera riserva di idrocarburi del Paese, una vera ricchezza da non sciupare. Però poi, quando si arriva qui al fronte e si pesa il volume di fuoco che i cannoni iracheni lasciano partire verso le paludi di Majnun, si ha l'impressione che i campi di battaglia forse dimenticano la logica studiata a tavolino. Su Majnun ieri si è combattuto intensamente per l'intera giornata. Non solo i cannoni, ma anche gli elicotteri corazzati Ml-24 hanno tempestato di bombe e razzi le posizioni iraniane, tanto che nel tardo pomeriggio sembrava ormai fatta e ci si stava anche preparando a spostarsi sul fronte, per raccontare direttamente le ultime fasi dello scontro. Lo sforzo militare di Baghdad è evidente, e la tentazione di gua¬ dagnare un colpo prestigioso davanti ai cento inviati speciali di tutto il mondo è assai allettante per qualsiasi comando. Figuriamoci per questo iracheno, che fino a una settimana fa veniva dato per spacciato dall'invasione del nemico. Quando gli iraniani sfondarono 11 fronte, 11 27 febbraio, e arrivarono fin sulla strada che da Bassora porta a Baghdad, la crisi apri un largo vuoto tattico tra la terza e la quarta armata; se la spaccatura fu ricucita il me¬ rito spetta all'intervento delle truppe speciali comandate dal responsabile dell'Intero fronte orientale del Tigri, 11 generale Husham Al Fakhrl. I suol uomini sono definiti in codice 'Golden Troops», cioè le truppe d'oro, una sorta di' quinta armata clandestina, una Task Force da usare come arma di riserva nei casi di intervento disperato. Per quanto si sa ora qui al fronte, l'operazione Majnun è ancora sotto il comando del generale Al Rasnid. capo della terza armata; le 'Golden Troops» sono mantenute di riserva nelle retrovie, ma un eventuale loro impiego farà, capire che lo scontro decisivo rischiava di farsi troppo incerto per i progetti iracheni. Resta aperto, naturalmente, 11 brutto a//<Hre delle armi chimiche. Qui a Bassora ci si ricorda delle frasi sibilline che aveva detto li presidente Iracheno Saddam Hussein nell'autunno scorso, quando aveva parlato di ^un'arma segreta in preparazione avanzala: Qualcuno interpreta quelle parole come un riferì- mento alle 'Golden Troops»; ma pare un'ingenuità eccessiva, per un Paese con l'economia assediata dalla guerra e con la seria minaccia di' un'invasione delle frontiere. Pensare al gas pare più pratico, La singolare contraddizione tra Saddam Hussein, che' ne ha smentito l'uso, e i suol generali che invece sono assai più ambigui In materia, aumenta il mistero e rinforza I sospetti. Abbiamo voluto fare una verifica con tre addetti militari, uno di un Paese della Nato, uno del «non allineati*, c uno del Patto di Varsavia. Le loro risposte sono state sostanzialmente slmili: non c'è Paese e non c'è esercito che non possiedano la tecnologia di questi gas paralizzanti, basta anzi ben poco a trasformare un'industria di pesticidi o di Insetticidi in una fabbrica di gas militari. II problema pare dunque non tanto 11 possesso di questi, gas, quanto un loro eventuale uso. La dichiarazione americana che ne conferma l'impiego nelle battaglie delle passate settimane, qui ha Indignato tutti: è apparsa ipocrita, e pericolosamente utile all'Iran. Ma nelle ambasciate europee di Baghdad (qui gli Usa non hanno ambasciata, almeno formalmente, perché poi mister Eagleton vale quanto un ambasciatore) si tenta Invece di capire quale sia l'obicttivo diplomatico reale di una mossa tanto sbilanciata in apparenza. E ci si chiede se un'internazionalizzazione della guerra sarebbe un'escalation o piuttosto Un'apertura di soluzione. Gli arabi hanno un proverbio: 'Quanto più sei in difficoltà, tanta più gente trascina dentro i tuoi guai. E' il modo migliore per risolverli'. Nelle ambasciate a Baghdad questo proverbio lo conoscono tutti. Mimmo Candito

Persone citate: Eagleton, Husham Al Fakhrl, Khomeini, Saddam Hussein

Luoghi citati: Baghdad, Bassora, Iran, Usa