Nella fattoria di Orwell attenti ai maiali sono troppo autoritari di Franco Lucentini

Il classico dello scrittore inglese Il classico dello scrittore inglese gnella presentazione di Frutterò e Lucentini Nella fattoria di Orwell attenti ai maiali sono troppo autoritari e Orwe-ll in una caricatura di li.mil Ialine IO«TVr«r>it H Y Rrw» ni Hook» tipe ra Munti r pn llulu -la .Stampa Il IM44 non era. decisamente, «l'anno di Or «veli». La prima e pudica obiezione che l'autore si senti opporre dagli editori a cui presentò il manoscntto, e che rifiutarono di pubblicarlo, fu la mancanza di carta. Cioè (gli precisa rono) la carta veramente c'era, ma era nscrvala ad opere d'importanza prioritaria, connesse direttamente, o anche indirettamente, con lo sforzo bellico, mentre non si poteva dire che la Fattoria degli ammali... La seconda obiezione, gii più aperta, fu che la Fattoria non soltanto non era connessa con lo sforzo bellico, ma lo danneggiava. L'Inghilterra non era forse alleata dell'Urss. contro cui la satira di Orwell era diretta? E d'altra parkli d'altra parte come venne fuori, alla fine, per bocca non solo di funzionari editoriali e censori governativi, ma di autorevoli micllctliiali — la satira stessa era cosi mordente e feroce da risultare obbiettivamente «non obbiettiva» e quindi ingiusta, per non dire calunniosa. Con lutti i cuoi torti e i suoi difetti (che nessuno pensava a negare) il regime sovietico aseva anche dei grandi meriti, incarnava una grande speranza Metterlo sullo stesso piano delle dittature fasciste, fare di Stalin un porco megalomane e sanguinane' come quello della Fattoria, era dunque perlomeno «una mancanza di latto» (T.S. Eliot ) Fu cosi che il libro dovette aspettare la fine della guerra per essere pubblicalo Fu cosi che ricevette, anche allora, un'accoglienza nscrva- tissima. L fu cosi che ancora nel 1931. quando usci per la prima volta in edizione popolare, l'editore, vislo che Orwell non era più U per protestare, pensò bene di presentarlo sotto questa generica e stupefacente etichetta • Una bonaria satira sul tema della dittatura» [a tood naturili satireondiitatonhtp) Bonaria? Ma non s'era detto che era. anzi, ingiusta e calunnio.-a nella sua ferocia? E se è bonaria una satira come la Fattoria, quale altra poteva dirsi feroce? E se inoltre, come adesso si insinuava, il libro era una satira della dittatura in generale, perché tanto scandalo a suo tempo, e tanti scudi levati in difesa del regime sovietico? 4 Quello che abbiamo appena visto, e uno solo dei tanti tentativi che si fecero — e si fanno tuttora — per ridurre la Fattoria a una specie di brillante apologo settecentesco, di dtverttitemeni filosofico-morale («divertentissimo e ROMA — Qua/i sono le cose da non dire e da non fare mai. oggi, se si vuole essere considerati uomini e donne del bel mondo? Primo: pronunciare la parola piacere quando si presenta o si viene presentati. Secondo: mettere il foulard da tasca uguale alla cravatta. Tergo: chiedere un amaro dopo pranzo o dopo cena. Quarto dire fine e distinto per definire una persona Quinto: mandare fiori anonimi. Comincio cosi, con una sorta di decalogo molto piti lungo di quello biblico, però con solo quarantatre precetti. Bon ton. un nuoto dizionario delle buone maniere, scritto da Lina Sotis e illustrato da TuSlio Pencoli per la casa editrice Mondadori. in uscita a fine febbraio 1154 pagine. U.000 lire). Tra le proibizioni più curiose, legate più al flusso del tempo che alla educazione tradizionale, il dirtelo di usare espressioni di moda tipo -di: ino. .cazzo., .allucinante., .al limite-, .a livello, perché fa datato, quello di chiedere dopo il primo incontro amoroso .come i andata?., .ti è piaciuto?, perché fa cinematografo; quelle di pronunciare l'appellativo • cara, o .caro, perché fa pollivendolo Lina Sotis ha una scrittura secca e pungente, lapidaria e direffa; più che consigli i suoi sembrano essere sentenze. Chi, per sua sfortuna, scoprisse di essersi macchiato di una di queste infinite piccole e grandi mancanze, non potrebbe non arrossire Le «buone maniere» e la società possessano della fattoria e l'amministrano per conto proprio. L'esperimento ha pieno successo, a parte la sfortunata circostanza che qualcuno, ora. dovrà prendere il posto del padrone estromesso La guida viene assunta automaticamente dai maiali, il cui livello intellettuale e superiore a quello degli altri animali Disgraziatamente la loro moralità non e pan alla loro intelligenza, e da ciò nasce il principale sviluppo della storia. Nell'ultimo capitolo si produce il colpo di scena: un drammatico mutamento di cui. appena avvenuto, si capisce che era inevitabile fin dal principio» Naturalmente la storia t più complessa di cosi, i colpi di scena sono più d'uno, i mutamenti non sono soltanto drammatici ma sanguinosi, e ('«immoralità», d'altra parte, non e prerogativa dei soli maiali. Ma che cosa pretendere da un riassunto in tredici righe? L'intreccio del libro ne sicnc ugualmente fuon con chiarezza. L'unica cosa che non viene fuori e che i fatti della Fattoria corrispondono punto per punto a quelli della storia sovietica fino al 1944. Fino al IV45, anzi, se consideriamo la conferenza di Yalta alla luce di quella tra «eminenti maiali» e «uomini eminenti» con cui la narrazione si chiude, e i cui partecipami suini e umani appaiono d'un tratto indistinguibili gli uni dagli altri Nella stessa luce, appaiono prevedibili e scontale te traversie editoriali del libro; si capisce bene che la sua pubblicazione preoccupasse gli uomini eminenti che si preparavano a vendere ai maiali la fattoria dei polacchi, quella degli ungheresi, metà di quella tedesca, ecc. • * La «fiaba» non era dunque una fiaba. 11 sottotitolo era. e rimane, tragicamente ironìa). Ma una solla riconosciuta questa verità di fatto, non e poi detto che la si debba tener presente a ogni pagina come costante chiave di lettura della Fattoria. Diciamo piuttosto che le chiavi di questo classico, oggi, possono essere due e adopcrabili indipendentemente funa dall'altra Con la prima e con un compendio, preferibilmente attendibile, di storia dell'Urss alla mano, possiamo istruirci e divertirci a individuare tutte le sottili, ingegnose corrispondenze tra la pretesa fiaba e la realtà (tra le più ingegnose, si noterà quella tra l'improvvisa ricomparsa del corvo Mose e la parentesi di tolleranza religiosa aperta da Stalin durame la guerra). L'altra chiave consìsterà invece nella semplice e diretta partecipazione ni casi nari ali. al dramma nella sua autonomia di opera d'arte: un dramma che l'autore aceca già sofferto in prima persona e che non trascrisse meccanicamente «in cifra», ma ricreò dall'interno, rivivendolo attraverso i suoi personaggi. 1 quali per questa ragione, appunto, sono personaggi veri e non pure astrazioni. O forse perche i sentimenti di giustizia e solidarietà umana di Orwell non erano cosi limitati, esclusivi, da non potersi estendere agli animali — cavalli, capre, cani, maiali, mucche, pecore, corvi — della sua Fattoria o di qualsiasi altra. i trini ili »» intrinsecamente assennato», lo classificò subilo il .Manchester Guardian) senza alcun preciso riscontro storico Tulli questi tentativi presero facile avvio dal sottotitolo «Una fiaba»-(afam story) che Orwell premise ambiguamente al libro, i cui personaggi, sono animali parlanti come appunto nelle Fiabe. Ed e un fallo che la storia, presentata in questa luce, si lascia facilmente ridurre a storiella, a favola morale, acnza bisogno di alterarne in nessun modo la trama. Ecco p.-s il fedele riassunto che ne dette l'edizione dei Peneum Books nella seconda pagina di copertina, sotto la menzionata etichet'a • una bonaria satira ecc. •: • IT la storia di una rivoluzione andata a male, e delle ottime scuse che vengono man mano escogitate per giustificare ogni pcrccriimenti' della dottrina originaria. Gli animali di una fattoria scacciano il loro padrone, s'im¬ re parolacce, alludere col solo nome di battesimo a personaggi pubblici tipo Bettino per dire Crasi o Gianni per dire Agnelli, baciare rutti e tutto, parlare di diete, incidere canaloni zuffa propria segreteria telefonica, scegliereun amante per amore. Ma molte, anche le pagine occupate ' dai temi classici dei manuali di buone maniere come gli inviti a pranzo e a cena, i biglietti da visita, le precedenze, le presentazioni, le feste consacrate. Strano, nonostante .Bon ton. zia un libro appena fresco di stampa, la voce più estesa e particolareggiata è la voce matrimonio. Segno della società che non cambia, e segno, insieme, della società che. pur modificandosi, vuole mantenersi identica a se stessa. Selle sei pagine che Lina Sotis dedica all'argomento tnfatti si parte con fa consueta di tri «Ione delle spese matrimoniati per ribadire che alla famiglia di lei tocca il ricevimento, fa cerimonia, le bomboniere, l'automobile e l'autista mentre a quella di lui toccano le fedi, il bouquet, il i loppio di notte e l'arredamento per la futura casa, e si arriva al rito del secondo matrimonio, che per lo più oggi riguarda i divorziati: per spiegare che. a chi si «posa per la seconda volta, è proibito il corteo di damigelle e paggetti, l'abito bianco e fa torta con gli sposini di niccherò; i sconsigliato Unti to all'ex marito e all'ex mogli*, i obbligatorio, invece, quello ai figli nati da precedenti unioni. Simonetta Roblony che cambia Carlo Frutterò Franco Lucentini W Il classico dello scrittore inglese Il classico dello scrittore inglese gnella presentazione di Frutterò e Lucentini Nella fattoria di Orwell attenti ai maiali sono troppo autoritari e Orwe-ll in una caricatura di li.mil Ialine IO«TVr«r>it H Y Rrw» ni Hook» tipe ra Munti r pn llulu -la .Stampa Il IM44 non era. decisamente, «l'anno di Or «veli». La prima e pudica obiezione che l'autore si senti opporre dagli editori a cui presentò il manoscntto, e che rifiutarono di pubblicarlo, fu la mancanza di carta. Cioè (gli precisa rono) la carta veramente c'era, ma era nscrvala ad opere d'importanza prioritaria, connesse direttamente, o anche indirettamente, con lo sforzo bellico, mentre non si poteva dire che la Fattoria degli ammali... La seconda obiezione, gii più aperta, fu che la Fattoria non soltanto non era connessa con lo sforzo bellico, ma lo danneggiava. L'Inghilterra non era forse alleata dell'Urss. contro cui la satira di Orwell era diretta? E d'altra parkli d'altra parte come venne fuori, alla fine, per bocca non solo di funzionari editoriali e censori governativi, ma di autorevoli micllctliiali — la satira stessa era cosi mordente e feroce da risultare obbiettivamente «non obbiettiva» e quindi ingiusta, per non dire calunniosa. Con lutti i cuoi torti e i suoi difetti (che nessuno pensava a negare) il regime sovietico aseva anche dei grandi meriti, incarnava una grande speranza Metterlo sullo stesso piano delle dittature fasciste, fare di Stalin un porco megalomane e sanguinane' come quello della Fattoria, era dunque perlomeno «una mancanza di latto» (T.S. Eliot ) Fu cosi che il libro dovette aspettare la fine della guerra per essere pubblicalo Fu cosi che ricevette, anche allora, un'accoglienza nscrva- tissima. L fu cosi che ancora nel 1931. quando usci per la prima volta in edizione popolare, l'editore, vislo che Orwell non era più U per protestare, pensò bene di presentarlo sotto questa generica e stupefacente etichetta • Una bonaria satira sul tema della dittatura» [a tood naturili satireondiitatonhtp) Bonaria? Ma non s'era detto che era. anzi, ingiusta e calunnio.-a nella sua ferocia? E se è bonaria una satira come la Fattoria, quale altra poteva dirsi feroce? E se inoltre, come adesso si insinuava, il libro era una satira della dittatura in generale, perché tanto scandalo a suo tempo, e tanti scudi levati in difesa del regime sovietico? 4 Quello che abbiamo appena visto, e uno solo dei tanti tentativi che si fecero — e si fanno tuttora — per ridurre la Fattoria a una specie di brillante apologo settecentesco, di dtverttitemeni filosofico-morale («divertentissimo e ROMA — Qua/i sono le cose da non dire e da non fare mai. oggi, se si vuole essere considerati uomini e donne del bel mondo? Primo: pronunciare la parola piacere quando si presenta o si viene presentati. Secondo: mettere il foulard da tasca uguale alla cravatta. Tergo: chiedere un amaro dopo pranzo o dopo cena. Quarto dire fine e distinto per definire una persona Quinto: mandare fiori anonimi. Comincio cosi, con una sorta di decalogo molto piti lungo di quello biblico, però con solo quarantatre precetti. Bon ton. un nuoto dizionario delle buone maniere, scritto da Lina Sotis e illustrato da TuSlio Pencoli per la casa editrice Mondadori. in uscita a fine febbraio 1154 pagine. U.000 lire). Tra le proibizioni più curiose, legate più al flusso del tempo che alla educazione tradizionale, il dirtelo di usare espressioni di moda tipo -di: ino. .cazzo., .allucinante., .al limite-, .a livello, perché fa datato, quello di chiedere dopo il primo incontro amoroso .come i andata?., .ti è piaciuto?, perché fa cinematografo; quelle di pronunciare l'appellativo • cara, o .caro, perché fa pollivendolo Lina Sotis ha una scrittura secca e pungente, lapidaria e direffa; più che consigli i suoi sembrano essere sentenze. Chi, per sua sfortuna, scoprisse di essersi macchiato di una di queste infinite piccole e grandi mancanze, non potrebbe non arrossire Le «buone maniere» e la società possessano della fattoria e l'amministrano per conto proprio. L'esperimento ha pieno successo, a parte la sfortunata circostanza che qualcuno, ora. dovrà prendere il posto del padrone estromesso La guida viene assunta automaticamente dai maiali, il cui livello intellettuale e superiore a quello degli altri animali Disgraziatamente la loro moralità non e pan alla loro intelligenza, e da ciò nasce il principale sviluppo della storia. Nell'ultimo capitolo si produce il colpo di scena: un drammatico mutamento di cui. appena avvenuto, si capisce che era inevitabile fin dal principio» Naturalmente la storia t più complessa di cosi, i colpi di scena sono più d'uno, i mutamenti non sono soltanto drammatici ma sanguinosi, e ('«immoralità», d'altra parte, non e prerogativa dei soli maiali. Ma che cosa pretendere da un riassunto in tredici righe? L'intreccio del libro ne sicnc ugualmente fuon con chiarezza. L'unica cosa che non viene fuori e che i fatti della Fattoria corrispondono punto per punto a quelli della storia sovietica fino al 1944. Fino al IV45, anzi, se consideriamo la conferenza di Yalta alla luce di quella tra «eminenti maiali» e «uomini eminenti» con cui la narrazione si chiude, e i cui partecipami suini e umani appaiono d'un tratto indistinguibili gli uni dagli altri Nella stessa luce, appaiono prevedibili e scontale te traversie editoriali del libro; si capisce bene che la sua pubblicazione preoccupasse gli uomini eminenti che si preparavano a vendere ai maiali la fattoria dei polacchi, quella degli ungheresi, metà di quella tedesca, ecc. • * La «fiaba» non era dunque una fiaba. 11 sottotitolo era. e rimane, tragicamente ironìa). Ma una solla riconosciuta questa verità di fatto, non e poi detto che la si debba tener presente a ogni pagina come costante chiave di lettura della Fattoria. Diciamo piuttosto che le chiavi di questo classico, oggi, possono essere due e adopcrabili indipendentemente funa dall'altra Con la prima e con un compendio, preferibilmente attendibile, di storia dell'Urss alla mano, possiamo istruirci e divertirci a individuare tutte le sottili, ingegnose corrispondenze tra la pretesa fiaba e la realtà (tra le più ingegnose, si noterà quella tra l'improvvisa ricomparsa del corvo Mose e la parentesi di tolleranza religiosa aperta da Stalin durame la guerra). L'altra chiave consìsterà invece nella semplice e diretta partecipazione ni casi nari ali. al dramma nella sua autonomia di opera d'arte: un dramma che l'autore aceca già sofferto in prima persona e che non trascrisse meccanicamente «in cifra», ma ricreò dall'interno, rivivendolo attraverso i suoi personaggi. 1 quali per questa ragione, appunto, sono personaggi veri e non pure astrazioni. O forse perche i sentimenti di giustizia e solidarietà umana di Orwell non erano cosi limitati, esclusivi, da non potersi estendere agli animali — cavalli, capre, cani, maiali, mucche, pecore, corvi — della sua Fattoria o di qualsiasi altra. i trini ili »» intrinsecamente assennato», lo classificò subilo il .Manchester Guardian) senza alcun preciso riscontro storico Tulli questi tentativi presero facile avvio dal sottotitolo «Una fiaba»-(afam story) che Orwell premise ambiguamente al libro, i cui personaggi, sono animali parlanti come appunto nelle Fiabe. Ed e un fallo che la storia, presentata in questa luce, si lascia facilmente ridurre a storiella, a favola morale, acnza bisogno di alterarne in nessun modo la trama. Ecco p.-s il fedele riassunto che ne dette l'edizione dei Peneum Books nella seconda pagina di copertina, sotto la menzionata etichet'a • una bonaria satira ecc. •: • IT la storia di una rivoluzione andata a male, e delle ottime scuse che vengono man mano escogitate per giustificare ogni pcrccriimenti' della dottrina originaria. Gli animali di una fattoria scacciano il loro padrone, s'im¬ re parolacce, alludere col solo nome di battesimo a personaggi pubblici tipo Bettino per dire Crasi o Gianni per dire Agnelli, baciare rutti e tutto, parlare di diete, incidere canaloni zuffa propria segreteria telefonica, scegliereun amante per amore. Ma molte, anche le pagine occupate ' dai temi classici dei manuali di buone maniere come gli inviti a pranzo e a cena, i biglietti da visita, le precedenze, le presentazioni, le feste consacrate. Strano, nonostante .Bon ton. zia un libro appena fresco di stampa, la voce più estesa e particolareggiata è la voce matrimonio. Segno della società che non cambia, e segno, insieme, della società che. pur modificandosi, vuole mantenersi identica a se stessa. Selle sei pagine che Lina Sotis dedica all'argomento tnfatti si parte con fa consueta di tri «Ione delle spese matrimoniati per ribadire che alla famiglia di lei tocca il ricevimento, fa cerimonia, le bomboniere, l'automobile e l'autista mentre a quella di lui toccano le fedi, il bouquet, il i loppio di notte e l'arredamento per la futura casa, e si arriva al rito del secondo matrimonio, che per lo più oggi riguarda i divorziati: per spiegare che. a chi si «posa per la seconda volta, è proibito il corteo di damigelle e paggetti, l'abito bianco e fa torta con gli sposini di niccherò; i sconsigliato Unti to all'ex marito e all'ex mogli*, i obbligatorio, invece, quello ai figli nati da precedenti unioni. Simonetta Roblony che cambia Carlo Frutterò Franco Lucentini W Il classico dello scrittore inglese Il classico dello scrittore inglese gnella presentazione di Frutterò e Lucentini Nella fattoria di Orwell attenti ai maiali sono troppo autoritari e Orwe-ll in una caricatura di li.mil Ialine IO«TVr«r>it H Y Rrw» ni Hook» tipe ra Munti r pn llulu -la .Stampa Il IM44 non era. decisamente, «l'anno di Or «veli». La prima e pudica obiezione che l'autore si senti opporre dagli editori a cui presentò il manoscntto, e che rifiutarono di pubblicarlo, fu la mancanza di carta. Cioè (gli precisa rono) la carta veramente c'era, ma era nscrvala ad opere d'importanza prioritaria, connesse direttamente, o anche indirettamente, con lo sforzo bellico, mentre non si poteva dire che la Fattoria degli ammali... La seconda obiezione, gii più aperta, fu che la Fattoria non soltanto non era connessa con lo sforzo bellico, ma lo danneggiava. L'Inghilterra non era forse alleata dell'Urss. contro cui la satira di Orwell era diretta? E d'altra parkli d'altra parte come venne fuori, alla fine, per bocca non solo di funzionari editoriali e censori governativi, ma di autorevoli micllctliiali — la satira stessa era cosi mordente e feroce da risultare obbiettivamente «non obbiettiva» e quindi ingiusta, per non dire calunniosa. Con lutti i cuoi torti e i suoi difetti (che nessuno pensava a negare) il regime sovietico aseva anche dei grandi meriti, incarnava una grande speranza Metterlo sullo stesso piano delle dittature fasciste, fare di Stalin un porco megalomane e sanguinane' come quello della Fattoria, era dunque perlomeno «una mancanza di latto» (T.S. Eliot ) Fu cosi che il libro dovette aspettare la fine della guerra per essere pubblicalo Fu cosi che ricevette, anche allora, un'accoglienza nscrva- tissima. L fu cosi che ancora nel 1931. quando usci per la prima volta in edizione popolare, l'editore, vislo che Orwell non era più U per protestare, pensò bene di presentarlo sotto questa generica e stupefacente etichetta • Una bonaria satira sul tema della dittatura» [a tood naturili satireondiitatonhtp) Bonaria? Ma non s'era detto che era. anzi, ingiusta e calunnio.-a nella sua ferocia? E se è bonaria una satira come la Fattoria, quale altra poteva dirsi feroce? E se inoltre, come adesso si insinuava, il libro era una satira della dittatura in generale, perché tanto scandalo a suo tempo, e tanti scudi levati in difesa del regime sovietico? 4 Quello che abbiamo appena visto, e uno solo dei tanti tentativi che si fecero — e si fanno tuttora — per ridurre la Fattoria a una specie di brillante apologo settecentesco, di dtverttitemeni filosofico-morale («divertentissimo e ROMA — Qua/i sono le cose da non dire e da non fare mai. oggi, se si vuole essere considerati uomini e donne del bel mondo? Primo: pronunciare la parola piacere quando si presenta o si viene presentati. Secondo: mettere il foulard da tasca uguale alla cravatta. Tergo: chiedere un amaro dopo pranzo o dopo cena. Quarto dire fine e distinto per definire una persona Quinto: mandare fiori anonimi. Comincio cosi, con una sorta di decalogo molto piti lungo di quello biblico, però con solo quarantatre precetti. Bon ton. un nuoto dizionario delle buone maniere, scritto da Lina Sotis e illustrato da TuSlio Pencoli per la casa editrice Mondadori. in uscita a fine febbraio 1154 pagine. U.000 lire). Tra le proibizioni più curiose, legate più al flusso del tempo che alla educazione tradizionale, il dirtelo di usare espressioni di moda tipo -di: ino. .cazzo., .allucinante., .al limite-, .a livello, perché fa datato, quello di chiedere dopo il primo incontro amoroso .come i andata?., .ti è piaciuto?, perché fa cinematografo; quelle di pronunciare l'appellativo • cara, o .caro, perché fa pollivendolo Lina Sotis ha una scrittura secca e pungente, lapidaria e direffa; più che consigli i suoi sembrano essere sentenze. Chi, per sua sfortuna, scoprisse di essersi macchiato di una di queste infinite piccole e grandi mancanze, non potrebbe non arrossire Le «buone maniere» e la società possessano della fattoria e l'amministrano per conto proprio. L'esperimento ha pieno successo, a parte la sfortunata circostanza che qualcuno, ora. dovrà prendere il posto del padrone estromesso La guida viene assunta automaticamente dai maiali, il cui livello intellettuale e superiore a quello degli altri animali Disgraziatamente la loro moralità non e pan alla loro intelligenza, e da ciò nasce il principale sviluppo della storia. Nell'ultimo capitolo si produce il colpo di scena: un drammatico mutamento di cui. appena avvenuto, si capisce che era inevitabile fin dal principio» Naturalmente la storia t più complessa di cosi, i colpi di scena sono più d'uno, i mutamenti non sono soltanto drammatici ma sanguinosi, e ('«immoralità», d'altra parte, non e prerogativa dei soli maiali. Ma che cosa pretendere da un riassunto in tredici righe? L'intreccio del libro ne sicnc ugualmente fuon con chiarezza. L'unica cosa che non viene fuori e che i fatti della Fattoria corrispondono punto per punto a quelli della storia sovietica fino al 1944. Fino al IV45, anzi, se consideriamo la conferenza di Yalta alla luce di quella tra «eminenti maiali» e «uomini eminenti» con cui la narrazione si chiude, e i cui partecipami suini e umani appaiono d'un tratto indistinguibili gli uni dagli altri Nella stessa luce, appaiono prevedibili e scontale te traversie editoriali del libro; si capisce bene che la sua pubblicazione preoccupasse gli uomini eminenti che si preparavano a vendere ai maiali la fattoria dei polacchi, quella degli ungheresi, metà di quella tedesca, ecc. • * La «fiaba» non era dunque una fiaba. 11 sottotitolo era. e rimane, tragicamente ironìa). Ma una solla riconosciuta questa verità di fatto, non e poi detto che la si debba tener presente a ogni pagina come costante chiave di lettura della Fattoria. Diciamo piuttosto che le chiavi di questo classico, oggi, possono essere due e adopcrabili indipendentemente funa dall'altra Con la prima e con un compendio, preferibilmente attendibile, di storia dell'Urss alla mano, possiamo istruirci e divertirci a individuare tutte le sottili, ingegnose corrispondenze tra la pretesa fiaba e la realtà (tra le più ingegnose, si noterà quella tra l'improvvisa ricomparsa del corvo Mose e la parentesi di tolleranza religiosa aperta da Stalin durame la guerra). L'altra chiave consìsterà invece nella semplice e diretta partecipazione ni casi nari ali. al dramma nella sua autonomia di opera d'arte: un dramma che l'autore aceca già sofferto in prima persona e che non trascrisse meccanicamente «in cifra», ma ricreò dall'interno, rivivendolo attraverso i suoi personaggi. 1 quali per questa ragione, appunto, sono personaggi veri e non pure astrazioni. O forse perche i sentimenti di giustizia e solidarietà umana di Orwell non erano cosi limitati, esclusivi, da non potersi estendere agli animali — cavalli, capre, cani, maiali, mucche, pecore, corvi — della sua Fattoria o di qualsiasi altra. i trini ili »» intrinsecamente assennato», lo classificò subilo il .Manchester Guardian) senza alcun preciso riscontro storico Tulli questi tentativi presero facile avvio dal sottotitolo «Una fiaba»-(afam story) che Orwell premise ambiguamente al libro, i cui personaggi, sono animali parlanti come appunto nelle Fiabe. Ed e un fallo che la storia, presentata in questa luce, si lascia facilmente ridurre a storiella, a favola morale, acnza bisogno di alterarne in nessun modo la trama. Ecco p.-s il fedele riassunto che ne dette l'edizione dei Peneum Books nella seconda pagina di copertina, sotto la menzionata etichet'a • una bonaria satira ecc. •: • IT la storia di una rivoluzione andata a male, e delle ottime scuse che vengono man mano escogitate per giustificare ogni pcrccriimenti' della dottrina originaria. Gli animali di una fattoria scacciano il loro padrone, s'im¬ re parolacce, alludere col solo nome di battesimo a personaggi pubblici tipo Bettino per dire Crasi o Gianni per dire Agnelli, baciare rutti e tutto, parlare di diete, incidere canaloni zuffa propria segreteria telefonica, scegliereun amante per amore. Ma molte, anche le pagine occupate ' dai temi classici dei manuali di buone maniere come gli inviti a pranzo e a cena, i biglietti da visita, le precedenze, le presentazioni, le feste consacrate. Strano, nonostante .Bon ton. zia un libro appena fresco di stampa, la voce più estesa e particolareggiata è la voce matrimonio. Segno della società che non cambia, e segno, insieme, della società che. pur modificandosi, vuole mantenersi identica a se stessa. Selle sei pagine che Lina Sotis dedica all'argomento tnfatti si parte con fa consueta di tri «Ione delle spese matrimoniati per ribadire che alla famiglia di lei tocca il ricevimento, fa cerimonia, le bomboniere, l'automobile e l'autista mentre a quella di lui toccano le fedi, il bouquet, il i loppio di notte e l'arredamento per la futura casa, e si arriva al rito del secondo matrimonio, che per lo più oggi riguarda i divorziati: per spiegare che. a chi si «posa per la seconda volta, è proibito il corteo di damigelle e paggetti, l'abito bianco e fa torta con gli sposini di niccherò; i sconsigliato Unti to all'ex marito e all'ex mogli*, i obbligatorio, invece, quello ai figli nati da precedenti unioni. Simonetta Roblony che cambia Carlo Frutterò Franco Lucentini W

Luoghi citati: Inghilterra, Roma, Urss, Yalta