Teheran celebra senza gioia i dieci «giorni dell'aurora» di Tito Sansa

Teheran celebra senza gioia i dieci «giorni dell'aurora» Un Paese isolato e in guerra dopo 5 anni di khomeinismo Teheran celebra senza gioia i dieci «giorni dell'aurora» , DAI NOSTRO INVIATO TEHERAN — Un'enorme sentii rossa «Dohh wiih the L'sm (Abbasso gli Usa) sul frontone di un hangar e il primo saluto in caiattcrì latini all'arrivo all'aeroporto Mehrahad di Teheran spazzato da turbini di neve gelata. La me-, desi ma scrìtta la si ritrova nelle «halli» dei grandi alberghi affoilatisimi di imprenditori occidentali. Sulle piazzale dell'aeroporto sono allineati in parcheggio una dozzina di «Jumbo» (americani) dell'«Iran Air- che regolarmente vanno a Francoforte per la revisione (qui scarseggia il personale >pccializzato)7 Nella bufera lavorano intirizziti operai iraniani, che di tempo in tempo rientrano per scaldarsi con un tè o dissetarsi con una "Coca-Cola". Teheran c un mare di bandiere, più numerose ancora dei ritratti dell'ayatollah Khomeini. La radio trasmette iiiusK he religiose e appelli (dicono) dai toni nazionalistici: allo televisione i contrasti tra l'Iran industrializzato e quclo ritornato alle tradizioni antiche sono ancor più evidenti: lanci di missili sul fronte della guerra con l'Iraq alternati a cerimonie nelle moschee, marce di soldati ed evoluzioni di «jets» seguiti da scene di folla osannante. Quando sullo schermo compare . Khomeini l'accompagnamento musicale c (chissà mai. perchè) l'«Avc Maria* di Sdnibcrt Le' bandiere, le prediche, le marce sono la coreografia dei festeggiamenti per il quinto anniversario della rivoluzione. Le celebrazioni dei 'dieci pomi dell'aurora» sono co¬ minciate il I" febbraio (giorno in cui Khomeini ritornò trionfalmente dopo 15 anni di esilio), si concluderanno sabato 11 febbraio per ricordare il passaggio dell'Iran da una monarchia assolutistica e corrotta a una repubblica islamica rigida e senza corruzione, austera e religiosa. Ma, a parte le migliaia di bandiere che sbattono nella luce accecante riflessa dalla montagna innevata, a Teheran non si avverte aria di festa. Anche coloro che cinque anni fa gioirono per la cacciata detto Scià Reza Patitevi e della sua corte spendacciona e decadente .immettono, in privato, che flutto sommato, prima si stava meglio: Taluno sostiene che le classi povere, contadini e operai, appoggiano la rivoluzione avversata dalle classi medie e dai pochi ricchi non fuggiti, altri invece affermano che i disagi economici (in buona parte conseguenza della sanguinosa guerra con l'Iraq, che dura ormai da ciò di tre anni* si fanno sentire soprattutto tra i meno abbienti e che il malcontento popolare aumenta. C'erto non sono felici le donne persiane, un tempo eleganti ed cumpcùzate, costrette a indossare il nero lugubre velo dello «chador» (tutte uguali, belle c brutte, giovani e vecchie, sembrano monache o stormi di cornacchie, quando si riparano dal freddo), e felici non sono coloro che all'alba sui marciapiedi ghiacciali fanno la fila per il pane o per il latte e il pomeriggio battono i denti per le sigarette. Ho visto una donna cadere sul ghiaccio, ma nessun uomo l'ha soccorsa, perchè la religione non rimette di toccare le donne, felici non sono i commercianti del Bazar, che hanno visto scomparire i turisti stranieri carichi di valuta, i fabricanti di tappeti, che non possono esportale, i proprietari di ristoranti, di bar (I alcol è tassativamente vietato), di locali notturni, che ai tempi dello Scià erano fiorenti Cinque anni di rivoluzione, e — soprattutto — tre di una guerra atroce, la rottura con gli Stali Uniti e con l'Unione Sovietica, il peggioramento delle relazioni con molti Paesi dell'Occidente, hanno emarginalo l'Iran. A fatica si stanno riprendendo i vecchi programmi di sviluppo economico e industriale, giapponesi, tedeschi e italiani si danno da fare, dopo che gli ayatollah si sono convinti della necessità di rilanciare il Paese nel moderno mondo industrializzato. Dopò cinque anni anche gli animi si sono calmati, i barbuti «nasdaran» (guardie della rivoluzione) ora conservano ciò che hanno conquistalo. A Teheran, megalopoli di 7-8 milioni di abitanti (quanti siano nessuno lo sa, perché arrivano sempre profughi dalle zone di guerra), le attività di lavoro e il traffico sono frenetici, benché austeri. Si ha l'impressione di essere in Occidente. Tra poco più di un mese ci saranno le elezioni politiche per il rinnovo del Parlamento nel quale (si dice) già oggi siederebbero molti oppositori che. per opportunismo, si sono allineati. Porteranno queste elezioni di marzo a un assestamento del regime o daranno indicazioni che un mutamento è possibile o in vista? E' la domanda che (quando riescono a parlare a quattr'occhi, senza testimoni) gli stranieri pongono agli iraniani, tutti piuttosto aperti e audaci. « Secondo la logica — mi dice un giovane funzionario che ha studiato in Germania — il regime si consoliderà». Ma poi mi confida, da buon credente nell'Islamismo, di temere motto la predizione del profeta Ncmat-ol-lah Vali, fc' scritto: » l'erra il regno mistico del turbante nero (quello attuale degli ayatoll.itn ma subito dopo: »S* et sarà un anno di siccità, non durerà fi primavere*. »r." nevicato assai a Teheran in questi giorni, è perfino piovuto al Sud — dice il funzionario ministeriale —. Speriamo che piova anche queu estate». Tito Sansa

Persone citate: Khomeini, Scià Reza Patitevi