LA FEDE DI TOLSTOJ E DOSTOEVSKIJ di Sergio Quinzio

Due russi nell'abisso LA FEDE DI TOLSTOJ E DOSTOEVSKIJ Due russi nell'abisso Nel cuore della Russia, I' antico monastero di Optyna Pustyn stava con le sue muta bianche, le cupole azzurre e le ctoti d'oro sulla riva di un fiume profondo, tra grandi bocchi. Lo stane Àmvrosij vi accoglierà Gogol' e Lcont'ev, Dostoevskij, Solov'èv, Rozanov. E anche Tolstoj, p s tre volte: alla terza, esausto, «re spirando affala», lo definirà '«moilo orgoglioso». . A ventisette anni — lo riferisce nel Diario — Tolstoj mi'fava gii alla «fondazione di una nuova religione, corrispondente al presente stato dei generi umano: la religione di Gesù, ma depurata del dogma e del mistero, una religione pratica che non prometta beatitudine futura, ma dia beatitudine sulla terra», battendo ogni progetto politico di trasformazione della società. Tolstoj è immenso come la Russia: immensi anche il suo orgoglio e la sua contraddizione. Il suo progetto di «nuova religione* dopo lunghi anni di crisi religiosa e morale lo porterà, com'è ben noto, alla scomunica del 1901 da parte della Chiesa ortodossa, e infine, nel 1910, alla ridicola e tragica fuga da casa del vegliardo, che morirà nella stazione di Astapovo. Tolti l'orgoglio e la contraddizione, il progetto tolstoiano rivela la sua pochezza. Lo si può constatare leggendo, tradotto per la prima volta in italiano per le edizioni Quattro Venti, // Vangelo di Tolstoj. Si tratta della Breve esposizione del Vangelo che Tolstoj ha composto traducendo o parafrasando i vangeli canonici, che circolò in Russia manoscritta o litografata fin dal 1885, per essere poi stampata in russo a Ginevra nel 1890. Liberato «dalla conciliazione artificiosa e assolutamente ingiustificata con il Vecchio Testamento» e dalle «strane interpretazioni -della Chiesa» (a cominciare da «Paolo, il quale non aveva compreso troppo bene la dottrina di Cristo»), liberati gli stessi vangeli dai «molti passi scadesti», iitmessaggto di Gesù risulta il messaggio dell'amore " Intimo come non-violenza, accessibile alla ragione di ogni uomo. ** Sebbene, come dice lo stesso Tolstoj, «ogni grano abbia la sua crusca», la quintessenza evangelica da lui distillata riducendo tutto al senso comune è priva di qualunque residuo oscuro e offre «le risposte complete agli interrogativi sul senso della vita». In realtà, in un'apparcntcmcntc semplice conclusione confluiscono influssi diversi ed elementi inconciliabili, come il fiducioso naturalismo di Rousseau e il disincarnato pessimismo di Schopenhauer. In Tolstoj e Dotinniti), Merezkovskij può cosi vedere nel secondo il «veggente dello spirilo» e in Tolstoj il * veggente della carne»; mentre la Sonala a Kreulzer mostra che per Tolstoj il cor' poi negatività. Vcdadutvs«lmsp( a a e l n e o l i ò l ; r Scrivendo l'introduzione al Vangelo di Tolstoj, Italo Mancini lo distingue nettamente dal vangelo di Cristo, ma si appassiona all'idea tolstoiana di una «comprensione della vita» universalmente partecipata a tutti gli uomini. Soprattutto, vede bene la lacerazione che spinse il vecchio scrittore, per Ij dolorosa esperienza della «invivibilità della vera vita da lui evangelizzala», alla fuga mortale. «Altevangelo senza "paradosso" teologico si lega la radicalità perfeltistica e quasi millenaristica (il rcgnum Dei qui, sulla terra e subito), sì che il messaggio se non ha violenza teologica ha violenza pubblica e sociale», imponendo già alla propria famiglia un impraticabile rigore, e già, anzi, a <sc stesso la continua, insostenibile esperienza della propria fatale incoerenza. E così, proprio ciò che do vrebbe essere più facilmente riconoscibile e universalmente accettabile si rivela incomprensibile e irrealizzabile; proprio ciò che doveva essere verità senza paradosso si rivela paradossale al massimo. «£' •//«>.'" l'enigma, dirà Scstov, ed e andx la chiave di lutta Coperà tolstoiana. Dietro i canti celesti si nasconde una lolla immensa e senza fine». Dopo ava cercato — paro le sue — una «religione stabilita d'accordo con la ragione e la scienza moderna», Tolstoj ama ciecamente Cristo e senza nessuna «ragione sufficiente» parte infine come Abramo senza saliere dove andare. In una lettera del 1901 a Zinaida Gippius, la moglie di Mcrczkovskij, aveva scritto: «Non so nulla, eccello che all'ultimo momento dirò: nelle Tue mani rimetto il mio spinto. Taccia Lui qudlo die vuole, custodirmi, distruggermi o ricostituirmi, solo Lui lo sa, non io...». Il ctistiancsimo di Tolstoj, ma senza più eccessi russi e senza più lotte interiori, ha storicamente vinto. Paradosso, miracolo, mistero sono largamente scomporsi dalla còscictv • za contemporanea che ditettamrnte o indirettamente si richiama ancora alla fede o ai «valori» cristiani. Proprio questa scomparsa rende possibile oggi una specie di tiepido e insignificante incontro fra masse laiche e masse genericamente dette cattoliche. C'è un altro cristianesimo, quello di Dostoevskij. La forza di una contrapposizione così viva e radicale poteva trovarsi solo nel fondo del crogiolo russo, il luogo in cui nel secolo scorso barbariche passioni jictmcatc ili secolari speranze cristiane s'incontravano quasi all'improvviso con la mexicrna cultura europea. Il paradosso e la contraddizione che Tolstoj vuol tener fuori dal discorso invadono il discorso di Dosrocvskij, tanto che il suo più acuto interprete .nella Russia postrivoluzionaria, Michail Bachtin, vede in esso la sperirnentabilità e la slu a scambiabilità di tutte le idee, l'infinita compresenza del discorde, l'impossibilità di qualunque identità, in definitiva un carnevalesco gioco linguistico. La storia delle interpretazioni dostoevskianc è tracciata da Sergio Givone in un libro appena edito da Laterza, Dculoevskij e la filosofia Percorrendo la via aperta da alcuni saggi molto recenti di Luigi Pareyson, Givone dà poi la sua interpretazione: un'interpretazione «religiosa», ma profondamente diversa da quelle clic hanno avuto fin qui corso. In Dostoevskij si <lì «la reale possibilità di un'esperienza dd nulla e del male dal punto di vista della fede». Se il tolstoiano «intendimento della vita» apre al bene e alla pace, l'intcndimcnto dostoevskiano ne spalanca invece l'abisso. La religione non e l'«altro» dall' esperienza abissale dell'uomo travolto dalla propria violenza e dalla propria mistificazione, che in Dio principio e garante del tutto troverebbe la sua giustificazione, ma anzi «è solo dal punto di vista della fede che il nichilismo si lascia pensare fino in fondo». ** «lìastoevsbj, dice Givone, supera risolutamente I"identificazione di Dio con la ragione ultima di tulle le cose, ossia con la possibilità di spiegare in Dio L impiegabile», come la «sofferai za inutile» del bambino inconsapcvole p del pazzo. Al contrario, «è solo di fronte a Dio che ti male è scandaloso, scanda toso al punto di piegare il divino a un assoluto soffrire». E perciò il nichilismo — secondo l'acuta e intimamente partecipe lettura che Givone fa di Dostoevskij — «nel momento staso in cui nega il senso diiressere, e cioè Dio, si lascia M M h fuori gioco da un pensiero' cIh nella stessa negazione di Dio scopre Dio negato e sprofondalo nell'abisso della negatività, ma dalla negatività stasa reclama lo». . , Qu a ndó Dostocvski j affet ma .che'Ira Cristo e la verità sceglierebbe Cristo, dice in de' liiuiiv.i che la verità «dev'essere ptmala al futuro, dal punto di vista del suo compimento, che può Un smentire il qui e ora, e darc'\ senso al non senso». Il nichilismo al quale Givone sa ricondurre mite le tendenze del pensiero contemporanco, anche le più apparentemente distanti, ha la sua essenza nell'essenza del Dio cristiano: «Dio die si annichilisce. Din il* muore, Dio die sperimtiila il nulla». Il «irisliantsima tragicamente apocalittico» di Dostoevskij risucchia cosi nel tragico «la vocazione terapeutica e consolatoria» con la quale li filosofia tenta di illuderci che l'uomo possa vivere nello spa zio vuoto di Dio senza surrogare il divino, senza disperata mente manipolare se stesso per «correggere l'opera dd citato- ""' Sergio Quinzio z

Luoghi citati: Dculoevskij, Ginevra, Russia