Parla Dora l'ultima donna che amò Kafka

Immagini e documenti in due biografie Immagini e documenti in due biografie Parla Dora l'ultima donna che amò Kafka Kafka per immagini, in due volumi usciti a poche settimane di distanza. Da Adelphi è apparso il libro di Klaus Wagenbach «Franz Kafka, immagini della sua vita. (196 pagine, 28.000 lire). Da Studio Tesi di Pordenone, per la collana Iconografia -Franz Kafka e 11 suo mondo», con un saggio di Michael Muller, a cura di Franco Farese (210 pagine, 35.000 lire). Da questo libro abbiamo tratto una preziosa testimonianza, resa nel 1448 da Dora Diamant, l'ultimo amore di Kafka, a J. P. Ilodin. Dora conobbe lo scrittore durante una vacanza sul Baltico, nel 1923, e visse con lui a Berlino. NELL'ESTATE del 1923, sulla costa baltica, feci il mio primo incontro con Kafka. Allora ero molto giovane, avevo solo diciannove anni, e lavoravo come volontaria nel campeggio estivo di una scuola berlinese, a Mùritz, non lontano da Stettino. Un giorno vidi sulla spiaggia una famiglia che giocava: i genitori con due bambini. L'uomo mi colpì in maniera particolare, e non riuscii più a liberarmi dall'impressione che aveva provocato in me. Finché un giorno il dottor Kafka venne a cena nei nostri locali. Ero appunto impegnata nelle cucine a preparare la carne. Alzai gli occhi dal lavoro perché qualcuno, in piedi fuori dalla finestra, mi stava facendo ombra: riconobbi l'uomo al quale ero obbligata a pensare così spesso. Entrò e venne verso di me, ma ancora non sapevo che avevo di fronte Kafka e, naturalmente, ancor meno sapevo che la signora In compagnia della quale lo avevo visto sulla spiaggia era sua sorella. Mi disse in tono dolce: .Mani così morbide costrette a un lavoro cosi cruento!. (Kafka era allora vegetariano). La sera ci sedevamo tutti sulle panche delle lunghe tavolate. Un ragazzino si alzò in piedi e fu talmente impacciato neWuscire che cadde lungo disteso. .Come sei stato abile a cadere e rialzarti!, gli disse Kafka con occhi raggianti. In seguito pensai nuovamente a queste parole: U loro reale significato mi sembrò essere che per Kafka tutto poteva essere salvato: tutto, eccetto Kafka stesso. Kafka non poteva essere salvato. Era alto, snello, scuro di carnagione e camminava a passi lunghissimi. Sembrava quasi un giunco ondeggiante, ma il suo portamento era eretto. Teneva solo il capo leggermente inclinato da una parte, e questa sua caratteristica sembrava quasi espressione di un'affine inclinazione interiore. L'udito di Kafka era quello di un uomo che, nella più perfetta solitudine, è comunque in ascolto di qualcosa che proviene dall'esterno. Non è che se ne stesse sempre con l'orecchio teso, ma questo suo atteggiamento rivelava una disposizione amorevole e benevola: mi piacerebbe soprattutto pensare che questo fosse un sintomo del suo desiderio di stabilire dei rapporti, quasi volesse dire: .Solo, non sono nulla; sono qualcosa unicamente in contatto con il mondo esterno.. [...] Per Kafka, scrivere era una necessita Non poteva fare diversamente, perché quella era la sua forma di vita. Se diceva di aver scritto per quattordici giorni, significava che aveva scritto per quattordici sere o notti consecutive. Allora parlava poco, mangiava senza appetito, non mostrava alcun interesseperil mondo esterno ed era malinconico. La tana, uno dei suoi ultimi racconti, nacque in una sola notte. Era una storia autobiografica, quasi il presentimento del suo ritorno alla casa paterna. L'incombente fine della libertà risvegliò in lui una specie di timor panico. Spesso mi leggeva quello che aveva scritto, sema analisi né commenti. Talvolta mi sembrava ironico, quasi volesse prendere in giro sé stesso. .Sono davvero sfuggito agli spiriti?, si chiedeva di tanto in tanto. [...J Mi è stato spesso rimproverato di aver bruciato alcuni scritti di Kafka. Ma allora ero molto giovane, e i giovani credono al presente, forse al futuro. E poi, quello era divenuto per lui semplicemente un mezzo per liberare sé stesso. A quel tempo non provava più né rispetto né amore per suo padre, Immagini e documenti in due biografie Immagini e documenti in due biografie Parla Dora l'ultima donna che amò Kafka Kafka per immagini, in due volumi usciti a poche settimane di distanza. Da Adelphi è apparso il libro di Klaus Wagenbach «Franz Kafka, immagini della sua vita. (196 pagine, 28.000 lire). Da Studio Tesi di Pordenone, per la collana Iconografia -Franz Kafka e 11 suo mondo», con un saggio di Michael Muller, a cura di Franco Farese (210 pagine, 35.000 lire). Da questo libro abbiamo tratto una preziosa testimonianza, resa nel 1448 da Dora Diamant, l'ultimo amore di Kafka, a J. P. Ilodin. Dora conobbe lo scrittore durante una vacanza sul Baltico, nel 1923, e visse con lui a Berlino. NELL'ESTATE del 1923, sulla costa baltica, feci il mio primo incontro con Kafka. Allora ero molto giovane, avevo solo diciannove anni, e lavoravo come volontaria nel campeggio estivo di una scuola berlinese, a Mùritz, non lontano da Stettino. Un giorno vidi sulla spiaggia una famiglia che giocava: i genitori con due bambini. L'uomo mi colpì in maniera particolare, e non riuscii più a liberarmi dall'impressione che aveva provocato in me. Finché un giorno il dottor Kafka venne a cena nei nostri locali. Ero appunto impegnata nelle cucine a preparare la carne. Alzai gli occhi dal lavoro perché qualcuno, in piedi fuori dalla finestra, mi stava facendo ombra: riconobbi l'uomo al quale ero obbligata a pensare così spesso. Entrò e venne verso di me, ma ancora non sapevo che avevo di fronte Kafka e, naturalmente, ancor meno sapevo che la signora In compagnia della quale lo avevo visto sulla spiaggia era sua sorella. Mi disse in tono dolce: .Mani così morbide costrette a un lavoro cosi cruento!. (Kafka era allora vegetariano). La sera ci sedevamo tutti sulle panche delle lunghe tavolate. Un ragazzino si alzò in piedi e fu talmente impacciato neWuscire che cadde lungo disteso. .Come sei stato abile a cadere e rialzarti!, gli disse Kafka con occhi raggianti. In seguito pensai nuovamente a queste parole: U loro reale significato mi sembrò essere che per Kafka tutto poteva essere salvato: tutto, eccetto Kafka stesso. Kafka non poteva essere salvato. Era alto, snello, scuro di carnagione e camminava a passi lunghissimi. Sembrava quasi un giunco ondeggiante, ma il suo portamento era eretto. Teneva solo il capo leggermente inclinato da una parte, e questa sua caratteristica sembrava quasi espressione di un'affine inclinazione interiore. L'udito di Kafka era quello di un uomo che, nella più perfetta solitudine, è comunque in ascolto di qualcosa che proviene dall'esterno. Non è che se ne stesse sempre con l'orecchio teso, ma questo suo atteggiamento rivelava una disposizione amorevole e benevola: mi piacerebbe soprattutto pensare che questo fosse un sintomo del suo desiderio di stabilire dei rapporti, quasi volesse dire: .Solo, non sono nulla; sono qualcosa unicamente in contatto con il mondo esterno.. [...] Per Kafka, scrivere era una necessita Non poteva fare diversamente, perché quella era la sua forma di vita. Se diceva di aver scritto per quattordici giorni, significava che aveva scritto per quattordici sere o notti consecutive. Allora parlava poco, mangiava senza appetito, non mostrava alcun interesseperil mondo esterno ed era malinconico. La tana, uno dei suoi ultimi racconti, nacque in una sola notte. Era una storia autobiografica, quasi il presentimento del suo ritorno alla casa paterna. L'incombente fine della libertà risvegliò in lui una specie di timor panico. Spesso mi leggeva quello che aveva scritto, sema analisi né commenti. Talvolta mi sembrava ironico, quasi volesse prendere in giro sé stesso. .Sono davvero sfuggito agli spiriti?, si chiedeva di tanto in tanto. [...J Mi è stato spesso rimproverato di aver bruciato alcuni scritti di Kafka. Ma allora ero molto giovane, e i giovani credono al presente, forse al futuro. E poi, quello era divenuto per lui semplicemente un mezzo per liberare sé stesso. A quel tempo non provava più né rispetto né amore per suo padre, Immagini e documenti in due biografie Immagini e documenti in due biografie Parla Dora l'ultima donna che amò Kafka Kafka per immagini, in due volumi usciti a poche settimane di distanza. Da Adelphi è apparso il libro di Klaus Wagenbach «Franz Kafka, immagini della sua vita. (196 pagine, 28.000 lire). Da Studio Tesi di Pordenone, per la collana Iconografia -Franz Kafka e 11 suo mondo», con un saggio di Michael Muller, a cura di Franco Farese (210 pagine, 35.000 lire). Da questo libro abbiamo tratto una preziosa testimonianza, resa nel 1448 da Dora Diamant, l'ultimo amore di Kafka, a J. P. Ilodin. Dora conobbe lo scrittore durante una vacanza sul Baltico, nel 1923, e visse con lui a Berlino. NELL'ESTATE del 1923, sulla costa baltica, feci il mio primo incontro con Kafka. Allora ero molto giovane, avevo solo diciannove anni, e lavoravo come volontaria nel campeggio estivo di una scuola berlinese, a Mùritz, non lontano da Stettino. Un giorno vidi sulla spiaggia una famiglia che giocava: i genitori con due bambini. L'uomo mi colpì in maniera particolare, e non riuscii più a liberarmi dall'impressione che aveva provocato in me. Finché un giorno il dottor Kafka venne a cena nei nostri locali. Ero appunto impegnata nelle cucine a preparare la carne. Alzai gli occhi dal lavoro perché qualcuno, in piedi fuori dalla finestra, mi stava facendo ombra: riconobbi l'uomo al quale ero obbligata a pensare così spesso. Entrò e venne verso di me, ma ancora non sapevo che avevo di fronte Kafka e, naturalmente, ancor meno sapevo che la signora In compagnia della quale lo avevo visto sulla spiaggia era sua sorella. Mi disse in tono dolce: .Mani così morbide costrette a un lavoro cosi cruento!. (Kafka era allora vegetariano). La sera ci sedevamo tutti sulle panche delle lunghe tavolate. Un ragazzino si alzò in piedi e fu talmente impacciato neWuscire che cadde lungo disteso. .Come sei stato abile a cadere e rialzarti!, gli disse Kafka con occhi raggianti. In seguito pensai nuovamente a queste parole: U loro reale significato mi sembrò essere che per Kafka tutto poteva essere salvato: tutto, eccetto Kafka stesso. Kafka non poteva essere salvato. Era alto, snello, scuro di carnagione e camminava a passi lunghissimi. Sembrava quasi un giunco ondeggiante, ma il suo portamento era eretto. Teneva solo il capo leggermente inclinato da una parte, e questa sua caratteristica sembrava quasi espressione di un'affine inclinazione interiore. L'udito di Kafka era quello di un uomo che, nella più perfetta solitudine, è comunque in ascolto di qualcosa che proviene dall'esterno. Non è che se ne stesse sempre con l'orecchio teso, ma questo suo atteggiamento rivelava una disposizione amorevole e benevola: mi piacerebbe soprattutto pensare che questo fosse un sintomo del suo desiderio di stabilire dei rapporti, quasi volesse dire: .Solo, non sono nulla; sono qualcosa unicamente in contatto con il mondo esterno.. [...] Per Kafka, scrivere era una necessita Non poteva fare diversamente, perché quella era la sua forma di vita. Se diceva di aver scritto per quattordici giorni, significava che aveva scritto per quattordici sere o notti consecutive. Allora parlava poco, mangiava senza appetito, non mostrava alcun interesseperil mondo esterno ed era malinconico. La tana, uno dei suoi ultimi racconti, nacque in una sola notte. Era una storia autobiografica, quasi il presentimento del suo ritorno alla casa paterna. L'incombente fine della libertà risvegliò in lui una specie di timor panico. Spesso mi leggeva quello che aveva scritto, sema analisi né commenti. Talvolta mi sembrava ironico, quasi volesse prendere in giro sé stesso. .Sono davvero sfuggito agli spiriti?, si chiedeva di tanto in tanto. [...J Mi è stato spesso rimproverato di aver bruciato alcuni scritti di Kafka. Ma allora ero molto giovane, e i giovani credono al presente, forse al futuro. E poi, quello era divenuto per lui semplicemente un mezzo per liberare sé stesso. A quel tempo non provava più né rispetto né amore per suo padre,

Luoghi citati: Berlino, Pordenone, Stettino