Un popolo di mattatori

Un popolo di mattatori Un popolo di mattatori pennarioncMa». All'attore non è rimasto che piegarsi, farsi plasmare dal regista, ormai vero e proprio 'demiurgo»; il quale, anche se spesso digiuno di nozioni tecniche, gli -insegna* come parlare, muoversi, recitare. Il regista trionfa dap¬ (Segue dalla l'pagina) La funzione alla quale il regista adempie, quella di accordare i diversi elementi della rappresentazione scenica, non è nuova; ma nuova è la posizione che egli assume nei confronti dell'autore e dell'attore. Generalmente parlando, si può dire che il regista non nasce, come il vecchio -direttore- di una volta, alllnterno della compagine degli attori, non viene, per dirla alla buona, dalla gavetta; il più delle volte non conosce il mestiere e non vuole conoscerlo, perché per lui -mestiere* è equivalente di 'routine-. Nuova è anche l'autorità che esercita, e che fa di lui, come scrisse Vilar, *tl vero creatore del teatro moderno» (non a caso il primo pioniere della regia teatrale è un capo di Stato, il duca Giorgio II di Saxe-Meiningen). Come tutte le rivoluzioni, anche quella operata dai riformatori del teatro ha finito per instaurare sulla scena un nuovo totalitarismo. Generazioni successive di registi hanno affermato in modo sempre più dispotico il loro dominio: Reinhardt proponendo lo -spettacolo totale-, Mejerchold inventando la 'biomeccanica-, Gordon Craig teorizzando addirittura l'avvento di una «su- pertutto, e perfino il pubblico, dopo qualche iniziate resistenza, accetta di sostituire un 'divo- all'altro. Da lutto ciò, nel bene e nel male, l'Italia resta tagliata fuori, almeno fino al termine del secondo conflitto mondiale. I tentativi di Bragaglia. Ferrieri, Tumiati sono soltanto dei tentativi, molto spesso dilettanteschi e comunque senza seguito. Bisogna arrivare all'ultimo dopoguerra, alle prime di Visconti e di Strehler, per conoscere anche da noi i trionfi della regia. Anche per queste ragioni nel nostro Paese la pianta del -grande attore*, anzi del -mattatore», ha continualo a fruttificare. Ne è prova la popolarità di cui lianno goduto figure come quelle di Zacconi, Ninchi, Ricci, Ruggeri e Benassi, certamente grandi, se si guarda al loro carisma personale, ma indubbiamente refrattarie ad ogni concetto di teatro moderno, indietro di secoli rispetto ai loro contemporanei d'Europa e d'America. Gli esempi in questo senso abbondano. Da Adelaide Ristori, die recitava la scena del sonnambulismo nel Macbeth di Sliakespeare facendone una romanza da concerto (peraltro applauditissima anche a Parigi e Londra), alla polemica Gobetti-Zacconi (l'illustre attore, insofferente delle critiche rivoltegli dal giovanissimo recensore, gli vietò l'ingresso in teatro), per finire con /'Amleto di Alemanno Morelli, nel quale il principe di Danimarca sopravviveva, per volontà dello Spettro, alla carneficina finale. Finché si arriva ai giorni nostri. Sotto la spinta della contestazione mossa dalle avanguardie, il potere del regista comincia a scricchiolare, poi a decadere inesorabilmente. E l'attore ne approfitta, passa al contrattacco. Stanco di sperimentazioni e ricerdie, il pubblico borghese, che an¬ cora detta legge, accetta con gioia questo ritorno al passato: il-riflusso*, si può dire, ha avuto un grande alleato nel -teatro di restaurazione». Non si vuol dire, con questo, che i Rondone, i Gassman, gli Albertazzl, gli Stoppa, i Santuccio, e naturalmente le Morelli, le Ferrati e le Brignone non siano degli interpreti sensibili, raffinati, moderni, culturalmente più aggiornati. No, ma il grande pubblico li ama soprattutto perclié sono -divi»: va a sentire Al ■ bertazzi e non Riccardo III o Enrico IV, Gassman e non Macbeth o Otello, De Filippo e non II berretto a sonagli. Sarà un discorso pessimista, ma è l'unico che si può fare. Il solo in grado di spiegare perché accadano episodi come quello di Pisa; destinato, purtroppo, ad avere un seguito soltanto sulle pagine dei giornali, perché a questo mostro senza volto che è il pubblico di massa, le cose stanno bene come sono. Che Riccardo III resti solo, al centro della scena e sotto le luci dei riflettori, e tutti gli altri siano semplici voci emergenti dal buio. Purché, naturalmente sotto i panni del re shakespeariano ci sia Alberlazii. E riconoscibilissimo. Luciano Lucignani Un popolo di mattatori Un popolo di mattatori pennarioncMa». All'attore non è rimasto che piegarsi, farsi plasmare dal regista, ormai vero e proprio 'demiurgo»; il quale, anche se spesso digiuno di nozioni tecniche, gli -insegna* come parlare, muoversi, recitare. Il regista trionfa dap¬ (Segue dalla l'pagina) La funzione alla quale il regista adempie, quella di accordare i diversi elementi della rappresentazione scenica, non è nuova; ma nuova è la posizione che egli assume nei confronti dell'autore e dell'attore. Generalmente parlando, si può dire che il regista non nasce, come il vecchio -direttore- di una volta, alllnterno della compagine degli attori, non viene, per dirla alla buona, dalla gavetta; il più delle volte non conosce il mestiere e non vuole conoscerlo, perché per lui -mestiere* è equivalente di 'routine-. Nuova è anche l'autorità che esercita, e che fa di lui, come scrisse Vilar, *tl vero creatore del teatro moderno» (non a caso il primo pioniere della regia teatrale è un capo di Stato, il duca Giorgio II di Saxe-Meiningen). Come tutte le rivoluzioni, anche quella operata dai riformatori del teatro ha finito per instaurare sulla scena un nuovo totalitarismo. Generazioni successive di registi hanno affermato in modo sempre più dispotico il loro dominio: Reinhardt proponendo lo -spettacolo totale-, Mejerchold inventando la 'biomeccanica-, Gordon Craig teorizzando addirittura l'avvento di una «su- pertutto, e perfino il pubblico, dopo qualche iniziate resistenza, accetta di sostituire un 'divo- all'altro. Da lutto ciò, nel bene e nel male, l'Italia resta tagliata fuori, almeno fino al termine del secondo conflitto mondiale. I tentativi di Bragaglia. Ferrieri, Tumiati sono soltanto dei tentativi, molto spesso dilettanteschi e comunque senza seguito. Bisogna arrivare all'ultimo dopoguerra, alle prime di Visconti e di Strehler, per conoscere anche da noi i trionfi della regia. Anche per queste ragioni nel nostro Paese la pianta del -grande attore*, anzi del -mattatore», ha continualo a fruttificare. Ne è prova la popolarità di cui lianno goduto figure come quelle di Zacconi, Ninchi, Ricci, Ruggeri e Benassi, certamente grandi, se si guarda al loro carisma personale, ma indubbiamente refrattarie ad ogni concetto di teatro moderno, indietro di secoli rispetto ai loro contemporanei d'Europa e d'America. Gli esempi in questo senso abbondano. Da Adelaide Ristori, die recitava la scena del sonnambulismo nel Macbeth di Sliakespeare facendone una romanza da concerto (peraltro applauditissima anche a Parigi e Londra), alla polemica Gobetti-Zacconi (l'illustre attore, insofferente delle critiche rivoltegli dal giovanissimo recensore, gli vietò l'ingresso in teatro), per finire con /'Amleto di Alemanno Morelli, nel quale il principe di Danimarca sopravviveva, per volontà dello Spettro, alla carneficina finale. Finché si arriva ai giorni nostri. Sotto la spinta della contestazione mossa dalle avanguardie, il potere del regista comincia a scricchiolare, poi a decadere inesorabilmente. E l'attore ne approfitta, passa al contrattacco. Stanco di sperimentazioni e ricerdie, il pubblico borghese, che an¬ cora detta legge, accetta con gioia questo ritorno al passato: il-riflusso*, si può dire, ha avuto un grande alleato nel -teatro di restaurazione». Non si vuol dire, con questo, che i Rondone, i Gassman, gli Albertazzl, gli Stoppa, i Santuccio, e naturalmente le Morelli, le Ferrati e le Brignone non siano degli interpreti sensibili, raffinati, moderni, culturalmente più aggiornati. No, ma il grande pubblico li ama soprattutto perclié sono -divi»: va a sentire Al ■ bertazzi e non Riccardo III o Enrico IV, Gassman e non Macbeth o Otello, De Filippo e non II berretto a sonagli. Sarà un discorso pessimista, ma è l'unico che si può fare. Il solo in grado di spiegare perché accadano episodi come quello di Pisa; destinato, purtroppo, ad avere un seguito soltanto sulle pagine dei giornali, perché a questo mostro senza volto che è il pubblico di massa, le cose stanno bene come sono. Che Riccardo III resti solo, al centro della scena e sotto le luci dei riflettori, e tutti gli altri siano semplici voci emergenti dal buio. Purché, naturalmente sotto i panni del re shakespeariano ci sia Alberlazii. E riconoscibilissimo. Luciano Lucignani Un popolo di mattatori Un popolo di mattatori pennarioncMa». All'attore non è rimasto che piegarsi, farsi plasmare dal regista, ormai vero e proprio 'demiurgo»; il quale, anche se spesso digiuno di nozioni tecniche, gli -insegna* come parlare, muoversi, recitare. Il regista trionfa dap¬ (Segue dalla l'pagina) La funzione alla quale il regista adempie, quella di accordare i diversi elementi della rappresentazione scenica, non è nuova; ma nuova è la posizione che egli assume nei confronti dell'autore e dell'attore. Generalmente parlando, si può dire che il regista non nasce, come il vecchio -direttore- di una volta, alllnterno della compagine degli attori, non viene, per dirla alla buona, dalla gavetta; il più delle volte non conosce il mestiere e non vuole conoscerlo, perché per lui -mestiere* è equivalente di 'routine-. Nuova è anche l'autorità che esercita, e che fa di lui, come scrisse Vilar, *tl vero creatore del teatro moderno» (non a caso il primo pioniere della regia teatrale è un capo di Stato, il duca Giorgio II di Saxe-Meiningen). Come tutte le rivoluzioni, anche quella operata dai riformatori del teatro ha finito per instaurare sulla scena un nuovo totalitarismo. Generazioni successive di registi hanno affermato in modo sempre più dispotico il loro dominio: Reinhardt proponendo lo -spettacolo totale-, Mejerchold inventando la 'biomeccanica-, Gordon Craig teorizzando addirittura l'avvento di una «su- pertutto, e perfino il pubblico, dopo qualche iniziate resistenza, accetta di sostituire un 'divo- all'altro. Da lutto ciò, nel bene e nel male, l'Italia resta tagliata fuori, almeno fino al termine del secondo conflitto mondiale. I tentativi di Bragaglia. Ferrieri, Tumiati sono soltanto dei tentativi, molto spesso dilettanteschi e comunque senza seguito. Bisogna arrivare all'ultimo dopoguerra, alle prime di Visconti e di Strehler, per conoscere anche da noi i trionfi della regia. Anche per queste ragioni nel nostro Paese la pianta del -grande attore*, anzi del -mattatore», ha continualo a fruttificare. Ne è prova la popolarità di cui lianno goduto figure come quelle di Zacconi, Ninchi, Ricci, Ruggeri e Benassi, certamente grandi, se si guarda al loro carisma personale, ma indubbiamente refrattarie ad ogni concetto di teatro moderno, indietro di secoli rispetto ai loro contemporanei d'Europa e d'America. Gli esempi in questo senso abbondano. Da Adelaide Ristori, die recitava la scena del sonnambulismo nel Macbeth di Sliakespeare facendone una romanza da concerto (peraltro applauditissima anche a Parigi e Londra), alla polemica Gobetti-Zacconi (l'illustre attore, insofferente delle critiche rivoltegli dal giovanissimo recensore, gli vietò l'ingresso in teatro), per finire con /'Amleto di Alemanno Morelli, nel quale il principe di Danimarca sopravviveva, per volontà dello Spettro, alla carneficina finale. Finché si arriva ai giorni nostri. Sotto la spinta della contestazione mossa dalle avanguardie, il potere del regista comincia a scricchiolare, poi a decadere inesorabilmente. E l'attore ne approfitta, passa al contrattacco. Stanco di sperimentazioni e ricerdie, il pubblico borghese, che an¬ cora detta legge, accetta con gioia questo ritorno al passato: il-riflusso*, si può dire, ha avuto un grande alleato nel -teatro di restaurazione». Non si vuol dire, con questo, che i Rondone, i Gassman, gli Albertazzl, gli Stoppa, i Santuccio, e naturalmente le Morelli, le Ferrati e le Brignone non siano degli interpreti sensibili, raffinati, moderni, culturalmente più aggiornati. No, ma il grande pubblico li ama soprattutto perclié sono -divi»: va a sentire Al ■ bertazzi e non Riccardo III o Enrico IV, Gassman e non Macbeth o Otello, De Filippo e non II berretto a sonagli. Sarà un discorso pessimista, ma è l'unico che si può fare. Il solo in grado di spiegare perché accadano episodi come quello di Pisa; destinato, purtroppo, ad avere un seguito soltanto sulle pagine dei giornali, perché a questo mostro senza volto che è il pubblico di massa, le cose stanno bene come sono. Che Riccardo III resti solo, al centro della scena e sotto le luci dei riflettori, e tutti gli altri siano semplici voci emergenti dal buio. Purché, naturalmente sotto i panni del re shakespeariano ci sia Alberlazii. E riconoscibilissimo. Luciano Lucignani

Luoghi citati: America, Danimarca, Europa, Italia, Londra, Parigi