Rai, una caotica gestione assembleare di Andrea ManzellaGiuseppe Fedi

Rai, una caotica gestione assembleare Rai, una caotica gestione assembleare La RAI è una società per azioni. Il 99 per cento di queste azioni c di proprietà dell'Iri. Ma è anche una società di tipo speciale, «di interesse nazionale», in quanto concessionaria di servizio pubblico essenziale. Perciò, la legge prescrive che la maggior parte dei componenti del consiglio di amministrazione (10 su 16) siano di nomina politica, eletti in Parlamento da un organo misto di deputali e senatori: la «Commissione per l'indirizzo generale e la vigilanza dei sei-vizi radiotelevisivi». Questo esproprio parziale' dei diritti dell'azionista di maggioranza diviene però totale quando Uri è costretto a rinunciare, per imposizione politica, anche alla propria quota di 6 consiglieri di amministrazione. Questo diktat partitico è motivato da due ragioni, diciamo cosi, «tecniche»: la prima, che i dieci nomi a disposizione della Commissione non bastano a «coprire» l'arco proporzionale della lottizzazione ed occorre quindi che l'equilibrio sia assicurato anche dai sei nomi in mano (normalmente) dell'Iri; la seconda, che la sede Iri è ritenuta più idonea a far passare taluni nomi di per sé discussi (come, ad esempio, quelli di presunti appartenenti alla loggia P2) e dunque tali da poter suscitare «casi di coscienza», con pericolo di rottura dell'accordo generale di lottizzazione, tra i parlamentari della Commissione. L'Iri è perciò considerato una dependence della Commissione, con ordini di servizi provenienti, a quel che pare, direttamente (e sorprendentemente) da essa. Si verifica, così, la paradossale condizione di un proprie- .tario, Viri, che paga i débiti di una propria azienda, accollandosi l'onere di un precipitoso passivo, senza potere minima-! niente influire sulla gestione,; affidata interamente a mani non controllabili. Questo risultato contro legem, cui conduce l'espropriazione spartitoria dei partiti, sa-' rebbe però ancora il male minore se la struttura stessa della Rai consentisse un governo efficiente dell'ente. ; Non è così, perché la conce-J ? ione che regge la gestione della Rai c una concezione «as-1 sembleare». Vi è l'assemblea parlamentare dei quaranta! membri della Commissione di vigilanza; e vi è l'assemblea' «politica» costituita dal consiglio di amministrazione, eletto nel modo che si è visto. Cinquantasei persone variamente intrecciate, con griglie di com¬ petenza spesso sovrapposte,; con parlamentari che fanno gestione e consiglieri d'animi-; nistrazionc che fanno «politi-; ca». In questa situazione, i poteri del direttore generale sono sicuramente insufficienti. Il mercato a libera concorrenza in cui la Rai si trova ora' a competere, con foni e fantasiosi network privati, rende la [situazione ancora più astrusa, i Ci si attendeva, e progetti di legge interessanti non mancano, un intervento pubblico che esonerasse la Rai dai vincoli incredibili, che le impone la legge, di duplicazione o triplicazione di servizi e le conferisse la fisionomia di impresa competitiva (libera, dunque, da un organo di gestione lottizzato e soltanto controllata da' un board di garanti parlamentari) e, invece, ci si trova di 'fronte ad un annullamento, delle residue possibilità della proprietà azionaria. L'atteggiamento del presidente dell'Ili, Prodi, lo ha sottolineato con tutta efficacia. Ci si attendeva una regola-! zione legislativa della radiotc-; levisione secondo un filo di interesse pubblico che tutti legasse, privati e Rai, e invece ci troviamo di fronte ad un ulte-, riore affossamento dell'ente cui, per legge, è affidata la tu- ' tela degli interessi generali esi- [ stenti in questo essenziale, campo. Non è più questione di moralismo, ma di inadeguatezza di un sistema politico alle attese della gente e ai bisogni della comunità. Cioè la cosa più gra- ' ve che possa capitare in uno( ,a,°" ' Andrea Manzella (a pagina 2: «Fuoco Incrociato sulle nomine Rai», di Giuseppe Fedi).

Persone citate: Prodi