Città dormitorio con fantasmi

Città dormitorio con fantasmi ARCHITETTURA MODERNA E NUOVI QUARTIERI; UN FALLIMENTO? Città dormitorio con fantasmi A Milano, il quartiere Gallaratese ha torri di dodici piani e spazi vastissimi solo in parte arredati - Il porticato di Aldo Rossi è vuoto e silenzioso -1 camminamenti aerei di Aymonino non tolgono al complesso Monte Amiala l'aspetto di fortilizio chiuso - «Dobbiamo sostituire ai modelli astratti lo studio del reale e dell'umano» DAL NOSTRO INVIATO MILANO — Una spruzzata di neve, poi la nebbia. La luce bianca e s/umuta accentua il fascino spettrale del famoso porticato di Aldo Kossi nel complesso progettato all'interno del quartiere Gallaratese, sotto-città dormitorio da 60 mila abitanti. Immancabile nei manuali di architettura, geometricamente puro, il porticato mi appare vuoto e silenzioso, sospeso tra fotografia e realtà. Da lontano risuonano i tacchi di una donna, invisibile. Quando mi è vicina le rivolgo alcune domande; esita, piena di paura. In una mattina di nere e di nebbia anche i portici di una cillà antica, piena di vita, possono essere ragionevolmente deserti. Ma qui si respira un'aria di mistero e di pace disumana (Aldo Rossi è affascinato dalla forine che. esprimono funzioni repressive e. dai cimiteri, vedi il famoso progetto di Modena), accentuata dalla nudità dell'arredo e dalla povertà dei materiali. Il cemento a vista o appena imbiancato, le macchie d'umidità, i pavimenti già logori, tiisti tubi al neon. La stiletta per i giochi del bambini è chiusa da una cancellata rossa, unica nota di colore di questa galleria metafisica che avrebbe dovuto offrire le suggestioni della vita di paese ai residenti nel sovrastante edificio in linea, movimentato soltanto dai buchi regolari delle balconate. Antri bui Un percorso incerto e ancora deserto conduce alle piazze interne, agli antri bui, ai camminamenti aerei ideali da un altro architetto di fama mondiale, Carlo Aymonino, per collegare le case del complesso Monte Amiata. In contrasto con l'ascetismo geometrico di Aldo Rossi qui si alzano torri cilindriche, i volumi sono mossi, le facciate brune sono interrotte da pannelli con liste rosse, i portici tianno soffitti giallozolfo. La scenografia è arricchita da una terrazza ad anfiteatro, o teatrino all'aperto. «Fa un po' ridere. Viene usata raramente. Qualche volta viene a suonare una banda. D'estate qui giocano 1 bambini-, mi dice un ragazzo, per nulla intimidito dalla solitudine. «Io vivo in questo complesso e mi trovo bene. Però ci sentiamo chiusi In un fortilizio, diversi dagli altri abitanti del Oallaratesc e questo pesa molto». Il complesso è cintato; ha una entrata monumentale con guardiano. Progettato nel 1970 per 2400 abitanti, ultimato nel 1974 come una parte a sé del Gallaratese, il Monte Amiata stentò a trovare inquilini o acquirenti. Soltanto la riduzione drastica dei prezzi riusci a tirare famiglie poi emigrale in parte verso altri quartieri. All'ingresso sono appesi i cartelli che offrono in vendita numerosi appartamenti. «All'Inizio c'era un netto rifiuto. Questi complessi, creati da celebrità, Intimorivano la gente per 1 loro spazi vuoti. Disorientavano. I bambini preferivano le case popolari di vecchio tipo», mi dice Andreina Daolio, docente di sociologie urbana e studiosa dei fenomeni originati dalla fame di case in Italia. Incontro un pensionato sui 70 anni, residente nelle case bianclie di Aldo Rossi: «Vivo qui da sei anni e non mi sono ancora abitualo. Il mio alloggio è mollo bello. Ma fuori non mi trovo, quei portici e quel passaggi sono un incubo. D'estate c'è un po' di animazione, i bambini si divertono. Ma d'inverno, ha sentito che arietta gelida In quei portici aperti sul due lati? Perché non hanno pensato al clima di Milano?». Intorno le case anonime del Gallaratese sfumano nella nebbia. Torri, scatoloni di dieci o dodici piani, spazi vastissimi solo in parte arredati. «Il fallimento della pianificazione: era prevista una spina dorsale con tutti i servizi, per dar vita a un quartiere sorto caoticamente. In pratica il Gallaratese è rimasto un dormitorio, sia pure ben collegato alla città grazie alla metropolitana», mi dice l'architetto Luigi Caramella, direttore della progettazione all'Istituto autonomo della case popolari che possiede a Milano 38.071 alloggi e ne gestisce 100.984, compresi quelli del Comune. Caramella ha una lunga esperienza, con una media di 2000 alloggi progettati ogni anno. Pensa che le architetture firmate da celebrità siano poco comprensibili dagli utenti e perciò meno vivibili? «Non dimentichiamo che 11 nuovo, anche se eccellente, non viene mal capito subito. Ma In questi quartieri non slamo chiamati a produrre il pezzo di bravura. Dobbiamo tener conto delle aspirazioni, del bisogni, del modo d! vivere di chi ci andrà ad abitare». Come immaginare o conoscere queste aspirazioni? «Non è mal stato fatto qualcosa in questa direzione, su vasta scala. Il nostro Umile è la soggettività dell'architetto, 11 quale cerca di Intuire o Immaginare. Non sappiamo se negli alloggi progettati a migliaia andranno giovani coppie, famiglie di ex contadini, pensionati. Non sappiamo nulla. A peggiorare la situazione sta un fatto poco considerato: nessuno guida l'Inquilino o l'assegnatario all'uso della nuova casa e alla vita del nuovo quartiere». Un esperimento di progettazione concertata preventivamente è stato fatto su piccola scala da un altro architetto famoso che vive a Milano, Giancarlo De Carlo: «E' il quartiere Matteotti, a Terni. All'inizio era molto difficile stabilire un rapporto con i futuri utenti. Poi. attraverso le discussioni vennero fuori 1 bisogni, ma non erano autentici». Le donne Continua De Carlo: «La gente desiderava la casa vista al cinema. Immaginata leggendo 1 rotocalchi. Le donne si mostrarono più sensibili al problema dell'ambiente In cui dovevano vivere. Col loro aluto riuscimmo a studiare 1 rapporti con l'esterno, le suddivisioni interne. Quasi tutti volevano un pezzo di terra davanti a casa. Alcuni lo pavimentarono, poi decisero di eliminare le piastrelle per coltivarlo. Da questi esempi minuti emerge quanto sia difficile distinguere I bisogni reali della gente da quelli immaginari. Quanto agli spazi esterni dovremmo tener conto della lezione del passato. La città esistente ci dice tutto ma è come un disco: ci vuole la puntina per sentirlo. Molti architetti credono di poterne fare a meno». Il problema è prima di tut- io urbanistico: si vive meglio, indipendentemente dalla qualità dei progetti, nei quartieri assimilati in modo razionale o spontaneo dall'ambiente urbano preesistente. Il QT8, quartiere sperimentale della Triennale (tra i progettisti c'era Piero Bottoni), è ormai parte della città, come diversi quartieri Ina-Casa. Sta lentamente avvicinandosi a /.filano II Gratosoglio, oggi sui trentamila abitanti, realizzato quindici anni fa su progetto del gruppo Bpr (Lodovico Belglojoso) con ricerca di equilibrio nelle forme, nei volumi e negli spazi. Due primati Al Gratosoglio manca però l'.effetto-città.. Quasi tuta i nuovi quartieri esterni restano isole per molti anni. L'architetto Bianca Batterò, docente di composizione, ha diretto indagini alla Bovisasca e a Litta Mogliani: «Manca il rapporto con la città. Il tessuto sociale è inesistente o fragilissimo. OH architetti hanno creato grossi problemi agli abitanti, con l'aggravante della cattiva qualità dell'edilizia. Molti fabbricati mostrano Infiltrazioni d'acqua, per lare un esempio. Ci sono negozi e servizi ma non si è creato un vicinato paragonabile a quello del vecchio rione, benché siano passati vent'anni. Le donne, in particolare, soffrono l'Isolamento: pesa molto più 11 timore della delinquenza o della droga. Negli edifici a molti piani il rapporto tra le famiglie è più difficile». Si potrebbe dedurne che il fallimento è generale, anche in questa Milano che vanta due primati: un patrimonio di edilizia pubblica equivalente a una città da 300 mila abitanti, una tradizione che risale al 1903, quando il Comune istituì un'azienda speciale per le case popolari, e ai primi quartieri realizzati dalla filantropica Società Umanitaria. Ma il giudizio va temperato alla luce delle iniziative recenti. L'assessore all'edilizia popolare, Angelo Capone, mi dice: «In passato sl è costruito per necessità, creando ghetti come Bagglo, Quarto Oggiaro e altri. Oggi si tende a quartieri misti, in cui l'integrazione sociale sia facilitata, e a fabbricati di minori dimensioni. Per conoscere 1 futuri abitanti e i loro bisogni abbiamo affidato un'Indagine all'Università Bocconi». E' mancata sinora, a Milano come altrove, un'idea formativa della città considerata organismo complesso, non fatto di sole case con servizi e spazi verdi più o meno abbondanti. Le grandi invenzioni degli architetti celebri non sono bastate a riempire il vuoto, tanto più quando hanno avuto il carattere di un «a solo». Giancarlo de Carlo mi dice: «Dobbiamo sostituire ai modelli astratti lo studio del reale e dell'umano. Dobbiamo ricondurci allo studio dell'ambiente, delle tradizioni, del clima e della gente. Nel progetti non devi piacere a te stesso, ma devi mettere i germi per far scattare la vita». Mario Fazio ' \ Per la seconda volta