Parigi: ecco il grande Attore. Solo

Parigi: ecco il grande Attore. Solo DUE ALLESTIMENTI PI SUCCESSO PER FRANCIS HUSTER E CHARLES PENNER Parigi: ecco il grande Attore. Solo Il fascino imperioso del primo, nell'Amleto di Laforgue - La brusca crudeltà del secondo in un lavoro di Segai PARIGI — Non soltanto in Italia vanno di moda gli spettacoli per grande attore solo. Qui a Parigi due degli allestimenti .di cui si parla., tra addetti ai lavori sono basati, per l'appunto, su questa formula, ascetica fin che si vuole, ma che vale a restituire, se non altro, l'immediatezza del rapl>orto spettatore-interprete. Al Théàtre Antoine Francis Huster mette in scena quel piccolo gioiello che è l'Amleto di Jules Laforgue. Morto di tisi a ventisette anni nel 1887. questo compagno di strada, solitario e a suo modo dissidente, dei grandi poeti simbolisti francesi, non scrisse mai espressamente |ier il teatro. Ma già sul finire degli Anni Trenta Barratili aveva tratto un Amleto tla uno dei racconti delle «Moralilés le.gendalrcs». Huster deve averne tenuto conto nella sua riduzione, che tuttavia gli si adatta addosso come una maschera o una seconda pelle. Biondo, snello, dagli occhi glaciali su-un.viso di angelo e demone, questo trentasettenne (che tre anni la si prese il gusto di dare delle ..scandalose» dimissioni dalla Comédie Krancaise, dove era entrato dieci anni prima ed era stato un celcbratissimo Cinna, Britannicus, Rodrigo) si cala co- me un bel tenebroso nei panni del Principe di Elsinore, vivisezionando ad una ad una e portando alla luce le componenti del suo animo lacerato e contraddittorio. Prigioniero di due alti, immensi specchi dorati e bruni¬ ti, che ne rinviano e ne sdoppiano, di continuo, l'immagine, Huster cavalca con una padronanza leggera, quasi magica, in realtà, fortemente ironica, i fiotti di metafore della debordante prosa lirica di Laforgue Cosciente del proprio fascino imperioso, lo svilisce di continuo, involgarendo il profilo da dandy di questo antieroe simbolista con bruschi cambi tonali, con vistosi effetti timbrici sul filo del rasoio di un vero e proprio liber- tinaggio scenico. Brusco, aspro, crudele e, invece, Charles Denner (lo ricorderete come Landru in un film di Chabrol di vari anni fa) in Le marionettiste di Lodz di Gilles Segai al Théàtre de la Comniune di AubervilHers. Denner, che ha una decina d'anni più di Huster e viene dalla rude scuola del cinema, è un marionettista ebreo uscito da un campo di concentramento, dove sono morti sua moglie e suo figlio, ma che s'ostina a vivere «con loro-, come se nulla fosse accaduto, murato vivo nella propria stanza, a dispetto degli appelli che. al di là della porta, gli lanciano 1 compagni, reduci come lui dal gran massacro della guerra. Ancora un monologo di oltre un'ora e mezzo, con qualche inevitabile caduta nel lirismo di una troppo scoperta emotività, ma ancora un magnifico testa a testa di Denner col pubblico (la regia è di prestigio, la firma Jean-Paul Roussillon). Chiuso nella propria solitudine schizofrenica. Denner esce a tratti da quelle sue viscere con impennate di dolore furioso, martellate, parola dopo parola, con straordinaria tensione espressiva. Guido Davico Bonino

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