I segreti del Palazzo

I segreti del Palazzo L'ULTIMO LIBRO DI JOHN GALBRAITH I segreti del Palazzo Nel pensate all'atteggiameli-] to degli intellettuali nei con-! fronti del potere mi viene in mente l'atteggiamento di Pro-' copio di Cesarea. Procopio da un lato era stato ben vicino al potere, e lo aveva sostenuto ecelebrato con tutte le sue forze' intellettuali; dall'altro, cjuando' era stato messo da parte, aveva senza pietà (sempre che la Storia segreta sia proprio sua) svelato di quali miserie grondasse il potere di Giustiniano e Teodora. Per giudicate e decodificare il potere, bisogna in effetti di: staccarsene o non attaccarsi ad esso, poiché il potere sollecita le marce trionfali e non la penna raziocinante. Tanto è che quasi non vi è uomo di potere, piccolo o grande che sia, il quale non disprezzi in fondo gli intellettuali di cui si serve e non provi fastidio o non avversi apertamente gli intellettual che non lo servano. Ma per giudicare il potere bisogna però conoscerlo. John Kenneth Galbraith in dubbiamente ha molto pensato ai problemi del potere, e ne ha molto scritto, anche se non sempre in modo diretto. E' uno degli intellettuali più influenti della cultura occidentale contemporanea: uno di quegli in tcllcttuali i cui libri vengono letti c fanno opinione. I suoi studi sulla crisi del 1929, sulla «affluent society» sul «nuovo Stato industriale», sono diventati componenti diffuse del nostro sapere politicosociale. Egli ha anche esercitato il ruolo di «consigliere» di un principe come J. F. Kennedy e lia avuto l'interessante esperienza di ambasciatore in un grande Paese come l'India. E' insomma, una personalità che «conosce» il mondo, i suoi contrasti e i problemi del potere. Ed ecco che nel suo ultimo libro ha tentato la ben impegnativa impresa di fare l'«anatomia del potere» (The Anatomy of Power, Houghton Mifflin Company Boston, 198}) Misurarsi con il tema del potere nòrt ItVqùcsto o quel suo aspett'òVrtia'cóh la struttura del potere in sé è per uno studioso della società qualche cosa di paragonabile con lo studio da parte d un teologo della natura di Dia. Per riuscire nell'impresa bisogna davvero avere la stoffa Ilobbcs o Machiavelli, di Ile gel o di Marx, di Pareto o di Weber; altrimenti, quel che ne esce saranno considerazioni an che importanti, utili e stimo lami sul potere, ma non «l'anatomia del potere». **' II libro di Galbraith è indubbiamente un libro interessante e formativo, che, come i suoi precedenti, merita di essere letto e sarà letto. Ma a me sembra chiaro che l'autore qui non si ri vela né un Weber né un Pareto e persino non raggiunge i livel li che pure aveva raggiunto con i suoi lavori sulla società opu lenta e sul nuovo Stato indù sstriale. Quel che egli ci ha soprattutto dato di positivo — in ciò continuando pienamente in modo coerente la sua precedente produzione intellettuale — sono delle riflessioni penetranti su alcune caratteristiche del funzionamento del potere nelle società contemporanee occidentali e in primo luogo negl Stati Uniti. A questo proposito Galbraith si muove sul suo terreno in modo sicuro e con considera zioni acute. Ma, per condurre un discorso sulla natura del po tcre in quanto tale manca anzi tutto a Galbraith quello che mio avviso — e non sembri re jtorica — è il senso della dram maticità dei problemi del potè re. E forse ciò non è casuale; ed ha alla radice un preciso cond zionamento storico, politico ideologico, direi persino psico logico. Galbraith è un americano che, al di là della sua grande cultura e della sua statura intel lcttuale, non «sente» i problcm del potere in relazione alla drammaticità dei contrasti poi tici, ideologici e sociali propri in primo luogo dell'Europi contemporanea (ma non solo, certo). E non mi sembra un caso che, in questo studio che propone di fare «l'anatomia del potere», il fascismo, lo statini smo, le rivoluzioni e le controrivoluzioni rimangono oggetto idi osservazioni in fondo margi nali, quasi accademiche, che non occupano un ruolo centrale nell'analisi. Il tema decisivo del jK>tere come rovesciamento restaurazione dell'ordine rima ne in fondo assente. Galbraith nella prima parte dmdtztvmgc del suo saggio definisce in modo astratto i mezzi e le fonti del potere. Individua anzitutto tre modi fondamentali di esercizio del potere: il potere «coercitivo», il potere «compensativo», il potere «di condiziona-, mento»; e tre fonti del potere: personalità, la proprietà, l'organizzazione. Per definire che cosa sia il potere in generale, Galbraith fa riferimento alla celebre definizione di Weber secondo cui il potere è «lapossibilità di imporre la propria volontà così da determinare il comportamento di altre persone». Ma giustamente egli sottolinea la comlessità delle forme e degli «incroci» che il potere assume. Ciò che spinge al potere è il desiderio di promuovere l'affermazione dei propri interessi; sennonché, ad un certo punto, il potere diviene un interesse fine se stesso. ** Come dicevo, Galbraith di fatto, quando lascia il piano definitorio e astratto, e viene ad analizzare i modi in cui il potere si esprime, trascura grande-; mente molti aspetti decisivi delle manifestazioni del potere. Soprattutto egli non sembra troppo interessato a studiare il potere in relazione alle grandi crisi sociali e politiche, che non a caso hanno sempre costituito '1 principale oggetto dello studio del potere. Quello che lo attira essenzialmente — al di là delle pagine storiche che pure dedica alla questione — è il tema cui egli ha portato i mag-j giori contributi e su cui ha qua-] 'ificato la sua personalità di studioso: vale a aire il potere nelle' società democratiche industriali e anzitutto negli Stati Uniti. E qui Galbraith si inserisce pienamente e con autorità nel filone di coloro che hanno anaizzato il rapporto fra il potere e a democrazia nella società moderna. Ed egli finisce per aggiungere il peso della propria penna a quello di tutti coloro che da Calhoun a Marx, da Sumner a Mosca e Pareto, da Croce a Sorel, fino a Dahl e altri, hanno sottolineato,pur con,, grande varietà di accenti e diverse coerenze politiche, come la democrazia sia per parte sostanziale un mito ideologico e 'a struttura del potere contem •voranco anche nelle società più ibcre lasci ben poco spazio alle «idee» di eguaglianza e sovra nità popolare. Non sono i cittadini in quanto individui eguali fra loro che contano nel sistema politico e sociale, non la sovranità del popolo anonimo, ma le organizzazioni, i gruppi, le associazioni. Perciò il linguaggio realistico della lotta politica non è l'opinione individuale, il voto del singolo, ma il movi mento organizzato degli interessi e le azioni collettive. Nel quadro quindi di una realistica concezione della li berta politica moderna, Gal braith afferma che la libertà stessa vive non affidandosi agli astratti principi ma ad una virile e possente dialettica fra «poteri» e «contropoteri». La storia della libertà moderna mostra che la via per combattere l'abuso del potere non è l'affidarsi all'autolimitazione del potere stesso in nome di un sistema di regole, ma la produzione di «contromovimenti» rispetto ai movimenti del potere. Il potere della burocrazia lo si limita con la mobilitazione della società civile; quello dei produttori con la capacità di controllo dei consumatori; il potere dei maschi con la mobilitazione delle donne; il potere dei bianchi con la mobilitazione dei neri; e così via. Insomma: il progresso politico e civile è il frutto di un forte pluralismo sociale da un lato e dall'altro della lotta fra interessi e controinteressi. E' questa la sostanza di una «democrazia» moderna. Nelle pagine che trattano tali problemi sta a mio avvisodi gran lunga il meglio del libro di Galbraith. Nell'ambito di questa problematica, Galbraith rileva come nella moderna società industriale si assista ad un «declino relativo di importanza sia della personalità sia, sebbene in misura minore, della proprietà quale fonte di potere». Seguendo esplicitamente le tracce di Berle Means, egli conclude che la nostra è l'età del primato dell'organizzazione e che chi controlla le grandi organizzazioni ha in mano le leve essenziali del potere. E la base del potere nell'età dell'organizzazione è anzitutto la capacità di «condizionamen to sociale» dei membri delle or ganizzazioni stesse da parte de vertici del potere. Massimo !.. Salvador!

Luoghi citati: Boston, India, Mosca, Pareto, Stati Uniti, Weber