Match mortale dì quattro uomini nel cantiere-lager di Missiroli

Match mortale dì quattro uomini nel cantiere-lager di Missiroli Match mortale dì quattro uomini nel cantiere-lager di Missiroli TORINO — Bisogna rendere alto al Gruppo della Rocca del rigore delle proprie scelte, in una stagione tuttaltro die severa, ansi dall'azzardo facile. Dopo essersi cimentala con Joseph K, fu Prometeo, progetto drammaturgico originale da Eschilo e Kafka, ecco die questa compagine, in uno dei suol due rami, si prova con Negro contro cani del trentacinquenne parigino Bernard-Marie Koltés, regia di Mario Missiroli: uno dei più esigenti copioni della scorsa stagione teatrale francese, non a caso messo in scena da quel pugnace regista ch'è Patrice Chereau. Se la formula non rischiasse di sembrar logora, lo dovremmo chiamare il dramma della non comunicazione. In un moderno lager industriale, un cantiere francese di opere pubbliche , strade e ponti, in un paese dell'Africa occidentale, Ire bianchi e un nero sfogano, l'uno contro l'altro, la propria disperata solitudine. C'è di mezzo un morto, ucciso da uno dei due bianchi maschi, un capo-cantiere e un ingegnere (la terza è una donna, una cameriera d'albergo, sbarcata laggiù da Parigi su un flebile miraggio d'amore del capocantiere) e il nero, die ne è il fratello, reclama il cadai'cre: l'assassino, l'ingegnere appunto, finirà a sua volta ucciso dai guardiani. Ma tutto ciò è mero intreccio, senza particolare rilevanza: quel che conta è la parola, d'attacco e di difesa, disarmata e ferita, aggressiva e lacerante, e, nella sua ripetitività ossessiva, parola d'angoscia e di morte. Coadiuvato da un'eccellen¬ te traduzione di Saverio V'ertone, die smorza qualdie patina di eccessiva letterarietà che qua e là aduggla l'originale, riconducendolo ad una medietà quotidiana sinistra ma inai volgare, il regista Missiroli ha chiuso questo agone spietato in venti secchi' rounds (a due, talvolta a tre personaggi) nello spazio raccolto di un normale palcoscenico all'italiana, quello dell' Adua, con l'efficace collaborazione dello scenografo e costumista Pàolo Bregni. Una griglia di ferro, col suo filo spinalo, chiude a fondo il palco, una garitta quadrata d'alluminio ne è il centro focale (quasi la sua lanterna magica), la sovrasta un pontile di ferro per le guardie nere. e dinanzi vi si stende un incompiuto traliccio in cui, di continuo, saltellano e inciampano l quattro protagonisti. Su codesto inciampo, metafora di altro più fondo balbettio esistenziale, come su tutti i gesti della complessa strategia dei personaggi, e sulla loro parola, come s'è detto, Missiroli ha lavorato con una minuziosità e una concentrazione rigorose, a tratti persin rigoriste: che da sole smentiscono la facile formula che qualcuno gli ha appioppato del -regista specificante-, cioè del prevaricatore, in chiave di immaginifico e di grottesco, di varii copioni. Qui tutto, al contrario, è nudo, essenziale, di un'astrazione secca e pungente: e il dramma di quelle quattro separatezze, la loro gonfia voglia di trasporlo, la piena del loro sgomento ne escono netti, irresolubili. Bella regia a sorpresa, insomma, di un copione ampio, ma non prolisso (durata di poco meno di tre ore), che esige certo dallo spettatore concentrazione ma non lo annoia, ami lo stimola ad una sorda simpatia nella sofferenza. E gran bella prova d'attori, sottoposti tra l'altro ad uno sfibrante esercizio di memoria, per quell'accumulo fitto di dialoghi, e ad un'attenzione estrema all'etologia, se ci si passa il termine, del loro -animale- (anche l'uomo è una specie animale, Lorenz ce 10 ha spiegato) comportamento. Armando Spadaro è Horn, 11 vecchio capocantiere, delirante umanista, fiducioso nell'impervio miracolo del dialogo tra gli uomini, con una misura dolorante di fissa vacuità; Ireneo Petruzzi è il trentenne ingegnere omicida, lutto virulenza e istinto, tutto passione e roboante impotenza. Dorotea Aslanidis è Leone, ingenua e incantata, fragile e disponibile sino alla punizione di se stessa; e Dino Desiata è il nero Alboury, che il regista ha felicemente deciso di non truccare, ma di segnare di un'ombra appena di diversità, una masdierina nera di cuio: e l'attore asseconda assai bene questa levità di simbolo, rendendo ambiguo quel die basta questo personaggio, die è per Koltès forse il solo positivo della sua commedia. Alla prima pubblico folto, molti applausi e perplessità. g. d. b.

Luoghi citati: Africa, Parigi, Torino