I divi americani nel Dolce cinema italiano

r « 1 - Z I americani HANNO FATTO FILM PA NOI, E COSI* CI RICORDANO IN UN PROGRAMMA PI RAIUNO PAI 311 FEBBRAIO ~ ~ 1 Z~ I ~ ~ r « 1 - Z I americani La Fontaine e Granger, Van Johnson e la Strasberg, Steiger e Borgnine: tutti parlano con incredulità de) nostro doppiaggio, con rispetto dei Registi ROMA — «Dolce cinema» è intitolato (come un libro di Tullio Kezich edito da Bompiani o come Dolce vita) un programma televisivo In tre parti, destinato ad andare in onda sulla prima rete della Rai-tv dal prossimo 21 febbraio, prodotto e diretto da Francesco Bortollnl e Claudio Masenza. Intervistati negli Stati Uniti, trenta famosi attori di Hollywood che negli ultimi trent'annl hanno lavorato In Italia in film italiani raccontano ricordi, storie, pettegolezzi, delusioni, scemenze e nostalgie, tormenti ed estasi della loro esperienza a Cinecittà. Negli Anni Cinquanta dei film storico-mitologici, gli americani invasero Cinecittà perché la nostra manodopera costava poco e perché la nostra legge li obbligava a reinvestire In Italia parte degli incassi raccolti sul mercato italiano. Negli Anni Sessanta e Settanta, a chiamare attori da Hollywood fu Invece il bisogno italiano di fare, con finanziamenti americani, film cosmopoliti, vendibili sul mercato internazionale. Tutti 1 divi che si confidano nel reportage di Bortolini e Masenza parlano con tenace stupefatta incredulità dell'anomalia italiana del doppiaggio, parlano con rispetto dell'impegno artistico e del grande potere del registi in Italia, parlano con piacere della popolarità di cui godevano. «Hanno preferito non parlare gli interpreti americani dei film di Felllni — dice Claudio Masenza —. Ad altri abbiamo dovuto rinunciare: Zsa Zsa Gabor e Cyd ( li ti !--<•, ad esempio, avevano chiesto 2000 dollari per lasciarsi intervistare». Tutti parlano con affetto dell'Italia. Nessuno parla dei soldi e degli amori. Anticipiamo qui alcune dichiarazioni dei divi americani del «Dolce cinema» Italiano- LL ANTHONY FRANCIOSA.' Nel 1958 la passione italiana per gli attori americani fiammeggiava. Ti trattavano come un'Altezza Reale o un Re: sul set di Maya Desnuda c'erano cinque àiUtó-reòlstró/i^-ini f«Vsnpcslapdspfffp facevano strada gridando «Silenzio! Silenzio!». In via Veneto, ogni sera era una festa. Oggi se passo per via Veneto vado di corsa, per la paura che ricomincino gli incubi della Dolce vita: preferisco l'Italia presente, anche se lia tanti problemi. JOAN FONTAINE: Órson Welles, quando girava Otello a Venezia nel 1950, si faceva pagare tutte le mattine prima' di cominciare a lavorare. Non si fidava, e aveva ragione. Per pasticci italiani di soldi, io finii persino arrestata, con gli abiti sequestrati e le pellicce confiscate: i gioielli però riuscii a salvarli. GUY MADISON: Ho avuto fortuna, in Italia ho girato 45 film, mitologici e storici. Il primo è stato La schiava di Roma di Marco Vicario, nel 1960: un'impresa terribile, a volte non c'era il camerino e neppure il cesso. Una ragazza die mi colpì fu Sandra Milo, era molto brava. STEWART GRANGER: In aereo, nel 1961, con noi e Ava Gardner c'era un tipetto, un certo Walter Chiari. Quando arrivammo all'aeroporto di Roma, i fotografi s'affannarono a spingere via me e David Ntven per fotografare quel ti petto con Ava. Strana accoglienza. In Italia feci anche un film spaventoso, Sodoma c Gomorra, che portò alla rovina il produttore. VAN JOHNSON: Nella mia prossima vita voglio essere italiano e vivere a Venezia, l ultima città esotica del inondo. Ma come si fa a chiudere in prigione quella poverella di Sophia Loren, una che tanto tagliata per gli affari, che vende così bene i suoi libri, i suoi profumi? Sono stramberie italiane che non capirò mai. SUSAN STRASBERG: Mia madre non potè accompagnarmi . in Italia nel 1958 e guidarmi nell'interpretazione di Kapò di Pontecorvo, perché stava impostando la recitazione di Marilyn Monroe. Arrivai sola, e la prima notte Linda Christian e Edmund Purdom mi portarono a fare un giro sull'Appia Antica. Avevamo dello cliampagne. Era meraviglioso. FARLEY GRANGER: La seru del 1953 in cui arrivai in Italia per girare Senso, andai a cena con Luchino Visconti, Tennessee Williams, Zeffirel- li, Rost: magnifico. Visconti aveva scarsa considerazione per il nostro stile dell'Actor's Studio, preferiva una recitazione più melodrammatica. Ci intendemmo molto bene. Aveva i suol momenti dira. Quando vedeva arrivare sul sci finanziatori o produttori, per impressionarli poteva prendere i fiori di scena ormai appassiti dopo una giornata di lavorazione, gettarli a terra e pestarli coi piedi oridando: «Ecco cosa mi mettete a disposizione: merda, merdai». Era un furbacchione. TAB HUNTER- Le cose non mi andavano tanto bene, cosl accettai di andare In Italia: per tanti di noi cìie non trovavano da lavorare, l'Italia era un punto d'incontro. La persona che ho amato di più è stato Luchino Visconti: nel 1964 mi fece un provino per Vaglie stelle dell'Orsa, ma poi la Columbia non mi volle nel film. Una meravigliosa occasione perduta. Speriamo che mi capiti un'altra volta di fare un film in Italia: in fondo, c'è sempre Zeffirelli. BARBARA STEELE: /. me nei Sessanta hanno fatto fare un'infinità di film horror. E' un genere die non mi piace, molto cupo e negatii'o, richie- de reazioni molto melodrammatiche. Lavoravamo sempre' in qualche cimitero, tra- le tombe di qualcuno: io sono anche superstiziosa, non mi sentivo a mio agio. Ma i ruoli importanti andavano tutti alle attrici che stavano con uomini, importanti: la , Vitti] con Antonlont, la Cardinale con CrUtaldi... KIRK DOUGLAS: Allora, nel 1954, quando ci andai per Ulisse, l'Italia era diversa, molto più romantica: si cominciava a lavorare a mezzogiorno, e lutti andavano in Vespa. ROD STEIGER: Con Le mani sulla città nel 1962 si rompeva la barriera tra due mondi, un attore di Hollywood si mescolava con naturalezza al popolo napoletano. Quando vado a vedere un film di Rosi, so che avrà sempre una ragione, che sarà intelligente, che sarà umano. TONY MUSANTE: Non credo che nessun italiano, con la pazzia del doppiaggio, abbia mai sentito la voce di Marion Brando, di Al Padno, idi Duslln Hoffman, mia. Il jpubblico s'è perso almeno la |a metà di ogni attore. CARROLL BAKER: / paparazzi erano inferiori alla loro fama: a Roma io stavo con Franco Nero, ma riuscimmo quasi del tutto e sema difficoltà a nascondere la nostra storia. PAMELA TIFFIN: Andavi a discutere i contratti e ti parlavano soltanto di nudo: è disposta al nudo integrale, consente a fare la doccia nuda, accetta il nudo a letto, nel nudo parziale sarà in ogni caso compreso il petto e il sedere... Per una americana della mia generazione era troppo. Pensai: non voglio più lal'orare in Italia. ERNEST BORGNINE: Adesso a Roìiia vedi sporcizia, vedi rifiuti, vedi scippi, vedi scritte sui muri inneggianti al socialismo e al comunismo... adesso è peggio di New York. STERLING HAYDEN: Dopo la fine di Novecento, Bertolucci dette un party. Io avevo fumato hashis, e bevuto whisky e magari anche Pernod. Bernardo, bevo alla tua salute: ho incontrato molti uomini meravigliosi. via urto come te,-nwU • . Ava Gardner a Roma. Ricorda Granger: «1 fotografi volevano solo lei e Chiari»