Tibet, il Buddha ha sconfitte Mao di Manuel Lucbert

Tibet, Il Buddha ha sconfitte Meo Sotto il ferreo controllo del governo cinese, rinascono i monasteri distrutti durante la Rivoluzione Culturale Tibet, Il Buddha ha sconfitte Meo Dopo il '66, la maggior parte dei tremila edifici religiosi subirono la furia delle Guardie Rosse • Durante il regno del Dalai Lama c'erano 500 mila monaci - Ora stanno tornando (sarebbero 1300-1400), e a Lhasa arrivano 150 mila pellegrini l'anno - E' stato persino aperto un istituto teologico • Pechino non osa più dire che in questa regione indomita e ostile la religione è moribonda NOSTRO SERVIZIO LHASA — Le coloratissime bandiere della preghiera, superbi «cavalli del vento», sventolano sulle case nell' aria frizzante del mattino. Una contadina con il bilanciere sulla spalla va a prendere acqua, salutando gli stranièri con un gesto cordiale della mano, con la spontaneità tipica dei tibetani, uomini e donne, giovani e vecchi. Vicinissimo scorre, quasi in secca, tra banchi di sabbia, il Yarlung Zangbo, che dopo alcune centinaia di chilometri diventerà, un grande fiume, il Brahmaputra. E' l'immagine immutabile della vita pastorale sugli altipiani del Tibet. La strada asfaltata, l'elettricità, il ponte Quxu sullo Zangbo, pattugliato dal soldati, tutti questi segni di progresso non sembrano aver cambiato la vita quotidiana di questi «folli di Dio.., i pastori tibetani. Bisognava essere davvero un po' folli per stabilirsi in tempi immemorabili a queste altitudini inospitali. Lhasa, capitale dell'ex regno del Dalai Lama, che oggi ha 120 mila abitanti ed è il centro amministrativo di questa regione autonoma, è arrampicata a quasi 3700 metri di quota; Gyantse, la terza delle città antiche, è cento metri più in alto; e Shigatse, a 4 mila metri, ostenta lo sfarzo del Tashilumpo, un tempo residenza del Panchen Lama. E' stata dunque la «coscienza più intensa di meraviglie e orrori in contrasto nell'universo- di fronte a una natura straordinaria e crudele, come è stato scritto, a sviluppare negli abitanti di queste immensità desertiche rotte solo da poche, sottili pianure verdi una simile sete di spiritualità? La realtà è inoppugnabile: dopo quasi 25 anni di dominazione comunista da parte della Cina, la religiosità tibetana non è mai stata tanto fervente. Le manifestazioni saltano agli occhi: davanti al Jokhang, il monastero dai tetti dorati nella vecchia Lhasa, giorno e notte i fedeli esprimono apertamente la loro venerazione per il Buddha. Prima mormorano alcuni mantra con le mani giunte, poi si gettano a terra, si rialzano. ricominciano. Per óre. Alcuni, per ammortizzare l'urto con la pietra, hanno di fronte a sé una specie di letto fatto di abiti; altri hanno le mani infilate in pezzi di legno, per rendere più sonora la caduta. Non sono soltanto abitanti della capitale a venire al tempio per l'adorazione quotidiana. I dati riportati da una pubblicazione cinese rivelano che l'anno scorso a Lhasa sono venuti 150 mila pellegrini. Un tempo, nella città santa si veniva a cavallo; era un viaggio che poteva durare mesi, e presentava molti pericoli. Oggi le comunicazioni stradali sono migliorate, ma le limitazioni imposte al movimento della popolazione rendono il pellegrinaggio altrettanto difficile. E alcuni, una volta raggiunta la capitale tibetana, decidono di ri- manervl per un po', vivendo di espedienti Questa folla converge al Bagor, la strada circolare attorno al Jokliang, che si deve percorrere in senso orarlo: i discepoli di Shakyamunl gli testimoniano rispetto, per consuetudine, presentando sempre la destra al tempio che gli è dedicato. Lo stesso vale per i clitìten, reliquiari a forma di torre. La sera, lungo il Bagor, è una sfilata ininterrotta di volti bruciati dal vento delle montagne. Le donne, cariche di gioielli, sorridono spensierate o scoppiano a ridere di gusto davanti allo straniero. Alcune rendono più lunga la loro chioma con trecce di peli di yak. Gli uomini, alti, ben fatti, mostrano maggior ritegno, ma alcuni nascondono nelle pieghe dell'abito una statuetta del Buddha o altri oggetti di cullo che tentano di vendere con discrezione. Un commercio legale? Non sembra, ma Pechino, da quando tenta di allentare la morsa della dittatura in questo possedimento periferico, chiude gli occhi. Poi,' magari, sequestra gli oggetti al mo mento della partenza. Ogni tanto, un soldato getta timi damente lo sguardo sui gruppi che mercanteggiano, e la risposta è l'indifferenza, bambini continuano come se niente fosse a masticare i citukam, strisce di formaggio secco dure come sassi, dal gusto leggermente piccante. E' chiaro che qui 1 soldati cinesi sono un po' come pesci fuor d'acqua. La religione è tollerata, ma entro certi limiti, che da tre anni a questa parte si fanno più ampi. Oggi i monasteri aperti al pubblico sono più numerosi che nell'80, aumentano 1 lama, e soprattutto nessun esponente cinese osa | più prevedere la prossima morte del fenomeno religiose: ci sarà un declino, dicono, ma potrebbero occorrere «alcuni secoli*. Nel 1950, l'anno della Tigre di ferro, quando Mao annunciò la sua intenzione di «Hberare„ il Tibet, il regno del Dalai Lama aveva più di tremila monasteri. Alla vigilia della rivolta del '59, quando già era passato sotto la sovranità cinese, ce n'erano ancora 2200. Dopo il '66, la Rivoluzione Culturale portò a termine 1' opera avviata dalla politica decisa dopo quei tragici fatti: quando la tormenta fu passa- ta, sull'altopiano e nella valle dello Zangbo restavano In piedi solo una decina di questi edifici. A Gandcn, il monastero più famoso della «setta gialla», quella del Dalai Lama, squadre armate di picconi, sbarre di ferro ed esplosivi si diedero alla sistematica distruzione di questo «simbolo del feudalesimo e del lamaismo». Ora Ganden rinasce. Sulla distesa di rovine si ergono di nuovo, bianchissimi, tre edifici religiosi. Ma tra le macerie non è stato trovato alcun oggetto di culto, né opera d' arte. I primi dieci lama sono tornati nel '79, l'anno successivo erano 80. Oltre 400 volontari, lama compresi, sono impegnati nella ricostruzione. A partire dal 1980, lo Stato ha stanziato un fondo speciale di 500 mila yuan, 400 milioni di lire; e i doni ammontano al triplo di questa somma. Drepung e Sera, altri celebri monasteri dei Gelugpa, i «berretti gialli» seguaci di Tsong Khapa, il grande riformatore buddhista del XIV secolo, tornano a risplendere della loro magnificenza. Pur essendo vicini a Lhasa, erano stati meno devastati dall'ardore antireligioso delle Guardie Rosse. Prima del '59 Drepung, una vera città, aveva circa diecimila lama nel vari edifici collegati da una rete di ripidi vicoli. Dopo la rivolta, ne rimasero 3 mila. Oggi sono solo 233, ma sono in aumento rispetto all'82, e l'anno scorso sono arrivati un centinaio di nuovi monaci. E c'è un'innovazione Impensabile sino a poco tempo fa: il monastero ospita addirittura una decina di ragazzi fra i dieci e i 16 anni inviati dalle famiglie per imparare i rudimenti dell'educazione buddhista. Sono ora 45 i monasteri in attività, e per decisione del governo della regione autonoma diventeranno 53. Vi sarebbero 1300-1400 monaci, una cifra irrisoria se paragonata a quella dell'epoca precedente alla piena integrazione nella Repubblica Popolare, 500 mila monaci, oltre un decimo della popolazione. Per contribuire alla formazione di religiosi ad un livello teologico più elevato, entro quest'anno verrà aperto a Lhasa un Istituto di buddhismo, con 200 studenti. Di qui a pretendere, come fanno gli ambienti ufficiali, che c'è piena libertà di culto, il passo è lungo. L'attività dei monasteri continua a dipendere dall'Ufficio per gli affari religiosi della regione autonoma. Ogni monastero è diretto da una «commissione democratica-, spesso posta sotto la responsabilità di un lama spretato, abilitata a selezionare i candidati alla condizione di lama. A livello ufficiale, non si ammette esplicitamente che i nuovi monaci siano «contingentati», ma si riconosce che vi sono . limiti-. 'E gli ostacoli non sono soltanto quantitativi: per diventare lama bisogna soddisfare ad alcune condizioni, sette per l'esattezza, dice il vicedirettore dell'Ufficio per gli affari religiosi della regione. Wei Huang; e in primo luogo, gli aspiranti devono essere «patrioti-, cosa assolutamente inedita dal punto di vista della dottrina buddhista. E il patriottismo come si valuta? Porse con un impegno scritto a non far nulla capace di nuocere alla Cina Popolare e al partito? Su questo punto, le risposte sono Imbarazzate. A Drepung, il lama responsabile del monastero se la cava con abilità: «I giovani che vogliono accedere alla vita monastica generalmente hanno frequentato la scuola e ricevuto un'educazione socialista. Sanno che cosa devono fare*. Ma non riesco a vedere una copia del «programma d'esame» per i futuri studenti dell'Istituto. Manuel Lucbert Copyright (-1* Monde» e pur l'Italia ila Stampa»

Persone citate: Dalai Lama, Lama, Mao, Panchen, Sera, Tsong

Luoghi citati: Cina, Drepung, Gandcn, Italia, Pechino, Tibet