Il signore della moneta di Mario Deaglio

Il signore della moneta r RAFFAELE MATTIOLI. ULTIMO DEI BANCHIERI UMANISTI Il signore della moneta La nostra percezione della storia sta acquistando una nuova, preziosa dimensione: con la lodevole apertura agli studiosi di alcuni importanti archivi aziendali, i banchieri, i capitani d'industria, i manager* vengono finalmente ad occupare il posto di primo piano che a loro compete nella ricostruzione del nostro passato, dominata finora dal ruolo dei politici e dei diplomatici, degli intellettuali e dei militari. In questo nuovo filone di ricerche si colloca la pubblicazione, quasi contemporanea, delle biografie di due uomini chiave della vita economica italiana dagli Anni Trenta agli Anni Sessanta. Alla biografia di Vittorio Valletta scritta da Piero Bairati (Utet, Torino), fa, in un certo senso, da contrappunto quella di Raffaele Mattioli scritta da Giorgio Rodano (// Credito all'economia ■ Raffaele Mattioli alla Banca Commerciale Italiana - Ricciardi, Milano-Napoli). Mattioli e Valletta ebbero contatti intensi e costruttivi nell'arco di un'intera vita, eppure si può dire che le loro traiettorie non si incontrarono mai. 11 primo guardava all' economia dall'alto, al sistema nel suo complesso, alla direzione e all'intensità dei flussi finanziari; il secondo si concentrava sulla realtà aziendale, su ciò che serve a «farla funzionare». Per Mattioli il credito era la quintessenza dell'economia, per Valletta si trattava principalmente di un fattore esterno. «Voi che tenete il governo della politica, della banca, 'dei credito, scrisse una volta Valletta, parlando "a nome dell' industria razionalizzata", che fate voi... così manifestamente incapaci di assecondare la con Umiltà del mio sforzo tecnico?». Si può dire che Mattioli gli rispondesse, molto indii rettamente con un lieve pizzi co di sibillina e sorridente ironia molti anni più tardi. Quando a Valletta venne conferita la laurea honoris causa in ingegneria, gli inviò un telegramma in cui affermava che gli onori accademici a Valletta «nulla potevano aggiungere» e gli augurò di «conservare il tuo. spirito goliardico», quasi considerando l'amministratore delegato della Fiat poco più che un ragazzaccio nel mondo felpato della grande economia. E' proprio questa amabile, raffinata ironia, il senso, avvertibile ma non spocchioso, di un'eccellenza intellettuale e culturale il tratto epidermico che maggiormente colpisce nella personalità e nella prosa di Mattioli: lo scrivere limpido si associa a una messe di citazioni appropriate, le grandi intuizioni sul futuro si trovano unite all'arguzia. La tradizione Non è quindi un luogo comune il dire che Mattioli non solo ha continuato ma ha anche potentemente rinforzato la tradizione italiana del banchiere-umanista, per il quale la concessione di credito non è solo un fatto gestionale bensì un atto complesso nel quale si riflettono e dal quale traggono alimento le diverse sfaccettature della società. Certo, Mattioli avrebbe convenuto con Georg Simincl, il filosofo tedesco che più di ogni altro si occupò della natura della moneta e del credito, che «è nella moneta che lo spirilo moderno trova la sua espressione più perfetta». Dalle relazioni annuali di Mattioli all'assemblea della Banca Commerciale emerge infatti l'immagine di un banchiere che si colloca naturalmente ai vertici della società, interessato, ma mai totalmente assorbito, da ogni suo aspetto. La banca, prima anI cora che impresa, diventa istituzione autonoma, quella del banchiere da professione si trasforma in vocazione. In questo spirito va considerata l'azione di Mattioli nella gigantesca operazione di salvataggio e modifica istituzionale che diede origine all'In c di cui Mattioli stesso può essere considerato il primo ideatore. Mattioli infatti risulta essere il vero autore, dcll'«appunto Toeplitz», dove venne teorizzata per la prima volta l'economia regolata. Gran timoniere della Banca Commerciale, Mattioli trattò praticamente da solo, con Mussolini e Bcneduce, il passaggio dell'economia italiana dal vecchio capitalismo dei capitani d'industria al capitalismo manageriale. Se lalc passaggio fu relativa-' mente indolore, se le nuove concentrazioni aziendali, pubbliche e private, trovarono istituzioni finanziarie adeguate e non furono soffocate da uno statalismo dirompente, lo si deve in buona parte a lui. Mattioli si conquistò cosi un notevole grado di autonomia nei confronti del fascismo, che gli permise di costituire quel mitico ufficio studi della Banca Commerciale nel quale si formò un'intera generazione di politici italiani del postfascismo, una generazione laica e razionalizzatrice che proprio dell'economia regolata, del difficile equilibrio tra Stato e mercato fece il suo punto di riferimento. Si può certo correre il rischio di «santificare» Mattioli. Per evitarlo è bene non tacere il contrasto di fondo, peraltro garbato, articolato e sfumato, mai assurto a dimensioni clamorose, che oppose Mattioli a Einaudi. Questi due raffinati amatori di libri (Einaudi si lamentò una volta in tono semiserio perché Mattioli aveva «piluccato» un'edizione rara delle opere di un economista del Settecento) si trovarono su posizioni diverse quando Einaudi realizzò la stretta creditizia del 1947 che stroncò l'inflazióne italiana. Mattioli, contrario all'istituzione cinaudiana della riserva obbligatoria delle banche, seguì, come dice Rodano, più lo spirito che la lettera della linea della Banca d'Italia e «realizzò un parziale ma importante correttivo del drastico rigorismo liheristico». Si ebbe cosi anche in questa occasione una prova eloquente dell'indipendenza di Mattioli, che egli riteneva il bene più prezioso per una banca. Indipendenza Questa indipendenza fece sempre di Mattioli un personaggio scomodo e si spiega così come, vent'anni più tardi, i politici, nel gioco dei loro equilibri, ne imponessero la sostituzione senza eccessive cerimonie. Si può forse datare da queste dimissioni forzate la fine dell'indipendenza delle banche e l'inizio della loro lottizzazione. Mattioli lasciò con grande signorilità, rifiutando la presidenza onoraria della Commerciale, per non avallare tacitamente in tal modo la scelta del suo successore. Il capitalismo manageriale stava ormai degenerando nell'assistenzialismo, il mercato finanziario si sclcrotizzava, alla guida del Paese si formava un potente complesso politico-burocratico che estendeva alle banche il suo controllo. «Non ci resta, scrisse Mattioli à questo proposilo in una lettera destinata a Guido Carli, che riaprire il Vangelo e pregare il Signore Iddio: perdona loro perché non sanno quello che fanno». Guardando al successivo decennio, denso di guasti economici e di scandali bancari 6 ben difficile non dargli ragione Mario Deaglio

Luoghi citati: Milano, Napoli, Torino