Un'Italia bifronte all'Unesco Si dimette il capo-delegazione di Ezio Mauro

Un'Italia bifronte all'Unesco Si dimette il capo-delegazione La storia della piccola guerra fra due ambasciatori e due politiche Un'Italia bifronte all'Unesco Si dimette il capo-delegazione Marco Favale se ne va per protesta contro la linea terzomondista, di appoggio al segretario M'Bow, sostenuta dal membro italiano del consiglio esecutivo, Gianfranco Pompei - Proteste degli Usa e della Germania Federale per la doppia linea della nostra politica a Parigi ROMA — Dietro la guerra ' di Ronald Reagan contro 11 .terzomondismo strisciantedell'Unesco e il flirt del segretario M'Bow con i Paesi dell'Est, c'è una piccola guerra italiana di retrovia, combattuta tra Roma e Parigi, all'ombra di Giulio Andreotti. E' una strana guerra tra ambasciatori, a colpi di telegrammi, di voti e di delibere, che si è conclusa con la resa e le dimissioni di uno dei due contendenti, il capo della delegazione italiana all'Unesco. Marco Favale. Sessantadue anni. di. cui 35 in carriera, un passato di ambasciatore a Varsavia, un rango diplomatico di grado secondo, Favale per mesi ha protestato, poi si è sentito isolate e alla fine ha spedito un telegramma di addio alla Farnesina di poche righe: «Non essendo nella poslbi/itó di esercitare il mio mandato governativo preferisco dimettermi piuttosto che far subire al mio Paese questa situazione di irresponsabilità e di confusione-. Trasmesse a Roma a fine settembre, le dimissioni sono state accettate a tambur battente, e non solo dalla funzio- cllvne ma anche dalla carriera. E nonostante la prassi (sia pure con pochissimi precedenti) richieda una lettera di motivazione, questa voita è bastato il telegramma da Parigi per sciogliere, sia pure in modo traumatico, il nodo di una situazione che era diventata insostenibile non solo sul piano diplomatico, ma — ciò che più conta—sul piano politico. Poco alla volta, infatti, la piccola rappresentanza italiana all'Unesco si era trovata ad avere due voci ufficiali, due volti, e soprattutto due linee e due politiche. Il fatto è che 11 nostro Paese doveva far convivere due ambasciatori (uno alla fine della carriera, l'altro appena in pensione) in una sede che richiede unità di comando e chiarezza di guida e in cui Ogni decisione' è diventata politicamente- rilevante. Favale era il capo della delegazione italiana, cioè 11 •terminale, diplomatico e politico del governo di Roma all'Unesco. Ma nel ruolo, in precedenza sempre considerato ■tecnico., di membro del Consiglio esecutivo dell'Unesco. c'era (e c'è) un altro diplomatico di primissimo piano. Glanfranco Pompei, ex am- l basciatore presso la Santa Sede, e poi a Parigi, già consigliere di Moro. Un conflitto di competenze tra 1 due ambasciatori era a questo punto forse inevitabile. Ma all'Unesco, nasce qualcosa di più: in una serie di telex che da Parigi indirizza alla Farnesina, Favale parla di vera e propria -diarchia-, denuncia uno stato di -confusione-, spiega che non c'è -chiarezza- nelle attribuzioni e nel compiti, tanto che -persino i nostri pattners europei e americani si domandano chi comanda nella delegazione italiana all'Unesco-. Da Roma non arrivano chiarimenti e Favale si rassegna a tirare avanti. La diarchia è scomoda e fastidiosa, tuttavia la si può tollerare. Ed ecco che negli ultimi mesi alla diarchia si aggiunge qualcosa di più: i due ambasciatori — sostiene Favale, motivando la sua decisione di andarsene — incominciano a parlare due linguaggi diplomatici diversi e a incarnare due linee politiche ben distinte. Favale, in sostanza, spiega di essersi sempre battuto In sede Unesco per quella che definisce una posizione di coerenza occidentale. Ma negli ultimi mesi, dalla Farnesina con la gestione Andreotti partono aperture verso il Terzo Mondo che trovano un'eco e unaj conferma nella linea italiana all'Unesco: e questa linea, che favorisce lo «scivolamento terzomondista, guidato da M'Bow, secondo Favale, trova sempre più come canale e Interprete della Farnesina l'ambasciatore Pompei. Esempi? Favale ne ha fatti molti, per spiegare al ministero degli Esteri che la .doppia vita» della delegazione italiana alla corte di M'Bow era Insopportabile. L'ultimo riguarda il bilancio dell'Unesco, che gli europei avevano deciso concordemente di mantenere fermo, senza aumenti, anche come pressione politica per frenare il dialogo ad Est di M'Bow: lo sono rimasto fedele a questa linea decisa In sede Cee e In sede Nato, dice Favale. Pompei ha Invece votato a favore dell'aumento del bilancio, questo schieramento anomalo dell'Italia ha provocato due passi di protesta degli Usa e della Germania Federale, tanto che Roma ha dovuto annullare la decisione. A questo punto il capo della delegazione italiana a Parigi decide di andarsene. Non per una rivendicazione di potere, spiega nel suo «testamento, diplomatico, e nemmeno solo per la rivendicazione di un mandato ricevuto dal governo: ma perché non è tollerabile che l'Italia a Parigi abbia due politiche In contrasto tra loro, una di solidarietà con gli Usa e l'Occidente, una di tacito consenso alle tendenze terzomondiste dell'Unesco di M'Bow. Adesso tutta la documentazione di questa battaglia diplomatica condotta via telex è alla Farnesina, ma nessuno ha convocato a Roma per un colloquio l'ex capo della delegazione prima di accettare le sue dimissioni. Fuori dalla carriera, Favale che cos'ha da dire? -Solo una cosa: sono stato messo alla porta della mia residenza nel giro di 20 giorni. Mi hanno trattato peggio dell'ultimo bersagliere di Beirut. Ma si spiega: quelli mobilitano l'opinione pubblica, un alto funzionario che va in pensione non interessa a nessuno-. Ezio Mauro