L'ex colonia che ama l'Italia di Sandro Doglio

L'ex colonia che ama l'Italia La Somalia, «italiana» per meno di 50 anni, è rimasta legata al nostro Paese non solo per motivi commerciali L'ex colonia che ama l'Italia «Di voi ci fidiamo», dicono i leader di Mogadiscio - Gli spaghetti sono diventati il piatto nazionale anche dei nomadi • Per trovare una chiave di scrittura alla lingua (che era solo parlata) è stato chiamato un italiano - Nel «Villaggio Abruzzi» la casa e la tomba di Luigi Amedeo di Savoia: il vecchio guardiano somalo ne mostra i cimeli chiamandolo «il nostro Duca» DAL NOSTRO INVIATO MOGADISCIO — La Somalia è stata italiana per neppure mezzo secolo; qualche anno di più se si calcola 11 periodo degli accordi stretti dai nostri esploratori alla fine dell'Ottocento con il sultano di Zanzibar, antico dominatore della costa, e se si tiene conto del due lustri del protettorato nell'ultimo dopoguerra prima dell'indipendenza. .L'Italia ci ha dimenticati, ha gettato nell'oblio la storia e le vicende che abbiamo vissuto assieme» sostiene il vicepresidente somalo Kolmie Afran, .ma noi no. E saremmo fieri di essere ancora legati aWltalia.. Degli uomini che oggi guidano il Paese, Kolmie è forse il più vicino al nostro Paese; ma anche 11 presidente Slad Barre e l'altro vicepresidente, Samantar, non lesinano le lodi al passato e al presente di Roma, dimenticando anche gli episodi più bui del periodo coloniale. Tutti hanno studiato in Italia e parlano la, nostra lingua. In questo loro atteggiamento filo-Italiano vi è una grossa componente di interesse (sperano che Roma li aiuti più di quanto ha fatto finora), ma c'è anche sincerità. Del resto di italiano qui è rimasto e c'è tuttora molto; ben più di quanto non si creda. -Lavorare qui è più facile se si è un'impresa italiana» sostiene il cavaliere del lavoro Paolo Muri-i la cui famiglia da almeno cinquantanni ha casa a Mogadiscio e i cui interessi di imprenditore si estendono lungo tutta la costa dell'Africa che si affaccia sull'Oceano Indiano. Il marchese Bonaccorso Rosselli Del Turco, che ha un'azienda agricola nella Valle del Giuba, è dello stesso parere; e con loro un po' tutti gli italiani che incontriamo a Mogadiscio, e che di fatto detengono molte leve del potere economico e del commercio nel Paese. I ristoranti italiani sono alla moda e fanno affari; gli spaghetti sono diventati il piatto nazionale dei somali, anche dei nomadi che vivono a centinaia di chilometri dal- le città. I migliori pesci e le più squisite aragoste (che gli indigeni non amano e non mangiano) si comprano da Vincenzo Caputo; un altro nostro connazionale, Guerci, importando film italiani e cassette registrate degli spettacoli tv dà un contributo allo sviluppo della nostra lingua forse superiore a quello dell'Istituto di cultura. Negli ospedali, infermiere e suore sono italiane; la nuova maternità — costruita e regalata alla Somalia dal cinesi — non è stata aperta dal gover- i no fino a che da Roma non ' sono arrivate venti suore cattoliche per gestirla. .Degli italiani ci fidiamo», ripete il vicepresidente Kolmie. Nei confronti degli inglesi, invece, sembra sussistere un sentimento di rancore; si attribuisce loro la responsabilità dell'ingiusto confine che ha lasciato i somali dell' Ogaden sotto 11 dominio etiope. Quanto al russi, che sono stati qui sette o otto anni come despoti, 1 somali 11 chiamavano .figli di fame» : .Anziché aiutarci ci sfruttavano, erano più poveri di noi, si portavano via navi intere di bestiame». Un po' tutti — soprattutto a Mogadiscio, Brava, Merca, Chislmaio e lungo la costa oceanica — parlano o parlicchiano italiano, anche se l'in glese sta diffondendosi e se, per ragioni religiose — i somali sono musulmani .osse/-' vanti, ma non fanatici», sostiene Murri — si sta ampliando la conoscenza dell arabo. Ma a tener viva la nostra lingua in questo lontano Corno d'Africa non è soltanto la presenza di imprese italiane o di connazionali che gestiscono commerci; non sono soltanto 1 residui dell'epoca coloniale (qualche fascio sbocconcellato nel marmo degli edifici pubblici; qualche scritta di Mussolini che ancora si intravede sui muri nonostante abbiano tentato di cancellarla con la calce e 11 tempo abbia roso l'intonaco; il modesto arco di trionfo con la presuntuosa scritta .romanamente», eretto a suo tempo nel centro della capitale per il Principe di Piemonte). Il veicolo più importante è l'università di Mogadiscio, 1' unica del Paese che ha come lingua di insegnamento proprio l'italiano: italiani sono anche quasi tutti gli insegnanti, che vengono qui con un grosso contributo del governo di Roma. Tutti i laureati del Paese, insomma, devono conoscere l'Italiano a perfezione, il che assicura per gli anni a venire una presenza imponente della nostra cultura fra le classi dirigenti della Somalia. E' una realtà che probabilmente non ha eguali nel mondo. Anche per trovare una chiave di scrittura alla loro lingua — parlata da secoli, ma mal scritta — 1 somali sono ricorsi, in pieno dominio sovietico, all'abilità di un insegnante italiano, certo Panza, che in pochi mesi riuscì a tradurre 1 suoni dei dialetti somali in lettere latine, e a costruire dal nulla una gram¬ matica e una sintassi che oggi sono adottate per la lingua ufficiale del Paese. Il sacrarlo dell'italianità in Somalia si trova tuttavia a novanta chilometri da Mogadiscio, nel villaggio fondato negli Anni Venti da Luigi Amedeo di Savola, Duca degli Abruzzi. La vecchia guida del Touring sull'Africa Orientale Italiana lo definiva .il più vasto e metodico esperimento di colonizzazione dell'Italia in Aol». Costò un investimento di venti milioni' di lire di allora per creare dal nulla una fabbrica di zucchero, per dissodare e irrigare venticinquemlla ettari di boscaglia, per costruire una rete di .decauville» lunga 62 chilometri. I giganteschi termitai, che ritrovi in ogni angolo a queste latitudini, alti anche più di tre metri, furono distrutti con il tritolo. Al Villaggio Abruzzi 11 tempo sembra non essere trascorso: c'è la fabbrica, ancora funzionante; ci sono i campi di canna da zucchero, i bananeti, le case per il personale erette nel verde, tra alberi e trionfi di bouganviilee. Non c'è più Invece la ferrovia — 1' unica della Somalia — che univa Mogadiscio al villaggio: gli Inglesi, subito dopo la guerra, l'hanno smontata e 1' hanno trasportata In Kenya. Al centro del Villaggio Abruzzi, restaurata e tutelata dall'Ordine di Malta, c'è la casa abitata dal principe, oggi trasformata in patetico museo. Hussein Nur Mahdi, il custode di oltre sessant' anni, che da bambino ha conosciuto il Duca, ci guida con commozione tra le stanze, zeppe di oggetti e di ricordi. Ci sono caschi coloniali, fioretti, sedie pieghevoli, letti con zanzariere; c'è la raccolta dei libri delle esplorazioni del Duca (l'alto Uebi Scebeli, 11 Ruwenzorl, l'avventura della Stella polare...): c'è un rudimentale telefono, il lampadario costruito attorno a un' ancora di nave; sulla veranda c'è la campana che suonavano quando il Duca convocava indigeni e collaboratori. Una scala dalla guida consunta porta a una torretta con un telescopio. Su un tavolo c'è il busto di una bella indigena: .E' Fatima, la mo¬ glie somala del nostro Duca», dice gonfiandosi di orgoglio Mahdi. Sul libro delle firme, tra 1 nomi delle poche decine di Italiani venuti fin quassù in questi anni, tra frasi spesso ridondanti di nostalgia, 11 custode tiene a mostrare quella di Emilio Colombo. Nel piccolo cimitero degli Italiani la tomba del Duca degli Abruzzi è coperta da una lastra di granito; dietro, schierati quasi militarmente, ci sono i sepolcri del suoi collaboratori e delle suore Italiane dell' ospedale che era stato creato nel villaggio. Sull'Ingresso della piccola casa di Luigi di Savola campeggia ancora la scritta dettata dalla regina Margherita: .Ovunque un raggio della gloria d'Italia». Il governatore somalo della regione, Mohamed Aden, che ci accompagna, la legge ad alta voce, quasi con fierezza: non si avverte nessuna rettorlca. Sandro Doglio