Quando l'abito faceva il fascista di Stefano Reggiani

Quando l'abito faceva il fascista IN UN LIBRO TUTTE LE DIVISE DEL DUCE DAL '22 ALLA GUERRA Quando l'abito faceva il fascista E' possibile fare le rivoluzioni con gli abiti di tutti i giorni? Quando i tempi stringono; ma è impossibile costruire un regime (rivoluzionarlo o reazionario) senza l restiti adatti, senza le dtitise, anzi, più propriamente, senza uniformi. Perché un regime è una divistone rigorosa delle apparenze, una gerarchla l'tslblle (dal capo assoluto al capi minori) e, insieme, una risibile' solidarietà nell'ubbidienza, una militarizzazione del comportamenti normali e dei più pigri pensieri. Non si immagina una rievocazione del nazismo senza una truce parata di SS, né una festa di partito sulla Piazza Rossa o nel Terzo Mondo senza splendore di medaglie e generali; ma, certo, il fascismo fu il regime più vestito di tutti, più dedito alle uniformi, alle decorazioni, al gradi, il più medagliaio, berrettato, e instivalato tra le grandi dittature moderne, tanto che alcuni propendono a credere che II fasetsmo non sia stato altro die la rappresentazione di se stesso, cioè divise,' mantelli, gradi, mostrine, berretti e fasce. Ed è sicuro che, anche nella caduta del fascismo, abbia avuto gran peso la disfatta simbolica delle uniformi e del distintivi, la prima cosa che si buttava vta nel 1913 era la 'Cimice-, il distintivo del Partito Nazionale Fasctsta. Perfino l'antifascismo da retrobottega (non quello autentico del fuorusciti) si nutriva di odio, ammirazione, irrisione verso la divisa. Il vecchio con gli stivali, dell'-, omonimo racconto di Brancatt, vedeva appunto nel gambali, ne-' cessart alla divisa, una umiliazione inflitta dal regime alla sua vocazione poco marziale, anche se, parzialmente, gregaria. Chi era bambino negli Anni Quaranta ricorda, tra le rimanenze del dopoguerra, certi cassetti ancora ingombri, nonostante le accurate epurazioni, di piccoli fasci di filo dorato, di mostrine, di stemmint, di orpelli, di una merceria fascistica comperata e mal usata. Ma quante erano le divise del fascismo? Tantissime, un numero incredibile, diverse secondo gli anni, le milizie e i gradi, secondo le stagioni e le nazioni (fascisti d' Africa e d'Albania), secondo i meriti e le età. Non sapevamo realmente quante fossero finché non abbiamo sfogliato con attenzione il libro di Ugo Pericoli, Le divise del duce, appena pubblicato da Rizzoli, uno sterminato campionario di uniformi, una ordinata sagra della moda di regime, un museo delle cere sotto i vestili, nello stesso tempo affascinante e angosciante. Pare che II regime non abbia fatto altro In vent'annt che studiare nuove divise e nuovi distintivi. In realtà Pericoli, che è valoroso costumista militare (ha lavorato molto per il cinemi i, ci spiega che la quantità delie divise è dovuta anche alla ricerca storica. Ideologica e figurativa che il fascismo fece su se stesso, senza avere le Idee ben chiare. SI comincia con gli squadristi, si finisce con la Milizia artiglieria contrae-, rea (Naca), secondo una evoluzione che non è solo del vestiti, ma anche di chi ci stava dentro (o vt era costretto). ; Il primo manichino della cosiddetta rivoluzione fasctsta fu il duce in persona, che faticò a trovare l'uniforme adatta. Nel libro di Pericoli non c'è II tight col quale Mussolini si presentò al re nel 1922 per ricevere l'incarico di formare il governo, ma c'è Mussolini In tenuta antemarcia con i suoi quadrumviri, ancora troppo slmili a reduci della Grande Guerra o a impiegati irritabili del nazionalismo per sembrare la stabile base di un regime in divìsa. Va già assai meglio, poclic pagine più avanti, con Mussoltnt «hi orbace col primo grado di capo del fascismo» (c'è il fez con l'orgogliosa frangia); non parliamo del Mussolini 1939 col berretto a visterà fregiato della famosa aquila, né del gerarchi in alta uniforme autarchica di orbace (meno male che c'erano le uniformi estive con la possibilità elegante della salutrlana bianca). Tuttavia la parte più contur¬ bante del libro non riguarda i gerarchi (ce ne sono ancora in, tutto il mondo con medaglie e visiere), riguarda noi popolo italiano, o, meglio, il popolo italiano di allora che, a un certo punto, 1936 e dintorni, sembrò tutto fascista e potenzialmente tutto in dwtsa, a cominciare dai bambini e dai ragazzi che, essendo nati fascisti, non avevano neppure ti problema di procurarsi una tessera retrodatata come erano costretti a fare, per ragioni di lavoro e di carriera, certi adulti. Ecco i balilla, i figli della lupa, le piccole italiane coi loro pantaloncini e le loro gonninc, ma anche coi piccoli dettagli importanti Meste di lupo di metallo giallo per il colletto.'cinturone in nastro bianco, fregiu in bachelite colorata da petto per piccole e giovani italiane»/ Ecco purtroppo le divise del Corpo volontari giovinezza (estate del 1940), ecco, meno pericolosa, la fiduciaria provinciale dell'Opera Nazionale Balilla, e la «donna fascista» in cappotto: ecco l'importante massaia rurale e anche ti delegato del Coni in camicia nera. Dice il Pericoli che la camicia nera del contadini emiliani fu adottata con entusiasmo da Mussoltnt nel '21 (c'era qualdie precedente tra gli Arditi della Grande Guerra), ma sostiene che la decorazione lugubre di teschi e tibie non era troppo bene accetta nel fasetsmo ufficiale, appariva e scompariva, ed era esibita solo nelle divise dei moschettieri del duce «clie si disciolsero nel nulla il 25 luglio '43». Viri/e e macabro, esibizionista e goffo, spettacolare e fragile, il fascismo sembra appunto, anche in guerra, una grande storia di divise, non di dhisloni. Stefano Reggiani Due Figli della Lupa, una Piccola italiana e una Giovane italiana. A destra: Balilla in tenuta da ginnastica

Persone citate: Mussolini, Pericoli, Ugo Pericoli

Luoghi citati: Africa, Albania