Saggistica

Saggistica Saggistica II lavoro è stato considerato per secoli la maledizione di Qehova, via ora che scarseggia tutti H chiedono inquieti: «E adesso?: Il filoso. • xilacco Adam Scita// uiialìzza il problema nel suo Rapporto al Club di Roma sulle conseguenze sociali della seconda rivoluzione industriale (Il prossimo Duemila, Editori Riuniti, pp. 144, L. 12.000) e trova ragioni di sperare in una società migliore. Due sono per Scha// gli scenari possibili; perso il proprio ruolo all'interno della società, perso l'interesse per quel che accade nella vita politica, per lo stimolo ad apprendere, potrebbe restare solo la noia, inevitabile. /onte di patologia sociale. Oppure potrebbe nascere una nuova specie: Giorno studiosus interessato a quell'educazione permanente di stampo rinascimentale che porta a essere homo universale. Un nuovo sistema di valori è comunque alle porte. Per Scha//, sarà una società più ricca, più giusta, piti democratica. Magari anche ludens. ratura scientifica ha stabilito, di là da ogni dubbio, che lesioni o disfunzioni anche minime del cervello possono alterare gravemente il senso dell'io, la percezione di essere un centro unitario di coscienza e di volontà — appunto ciò die si intende di norma per «mente* — laddove perfino mutilazioni gravissime di altre parti del corpo lo lasciano intatto. Con ciò le difficoltà su cui i due abilissimi orchestratori del librp vogliono che il lettore rifletta sono soltanto all'inizio. Se si ammette che la mente, dopotutto, rappresenta un particolare modo di funzionamento del cervello, che richiede un diverso modo di descrizione, ma non è separabile dalle caratteristiche fisiche dì quest'organo, nasce il problema delle menti «altre». Anche gli animali hanno un cervello, e in molti esso è piuttosto slmile al nostro. ■ Posseggono anch'essi una mente, e la consapevolezza di averla, e dunque una coscienza? Se si risponde di no, è giocoforza impegnarsi a spiegare dove si colloca la discontinuità, l'evento evolutivo che ha assegnato a noi il possesso d'una mente, mentre ne ha lasciato del tutto privi gli anima.!. Ma forse la differenza è soltanto di grado, e allora a quale grado di sviluppo della coscienza avviene il passaggio in presenza del quale noi distinguiamo gli esseri coscienti • da quelli non coscienti? La domanda non è di poco conto, poiché una delle ra- ' glonl che adduciamo dì solito per giustificare le ter¬ INTRODUCENDO il libro da loro «composto e orchestrato; L'Io della mente — un'antologia con testi di due dozzine d'autori, ma compatta e filante' come pochi libri dovuti a una sola mano — D. R. Hof stadter, l'esperto di Intelligenza Artificiale auto-, re del notissimo Godei, Escher, Bach, e il filosofo. D. C. Dennett, suggeriscono al lettore di ripetersi due frasi: Io ho un cervello. Io sono un cervello. Provi poi, il lettore, a dire quale delle due frasi gli sembra più vicina alla verità. E' un buon punto di partenza per cercar di comprendere ciò che questo caleidoscopico libro cerca di dire, in una rotazione di prospettive sul fenomeno «mente» che induce, a tratti, sensazioni di capogiro. Per nove persone su dieci, se non per tutte, la risposta che suona meglio è ovviamente «io ho un cervello: Ma se «io» è il soggetto che possiede un cervello, dove risiede Ito? Diversamente dai greci che lo collocavano —; cWarrumctolo talvolta anima, ma la cosa non fa differenza — nel cuore o nei visceri, noi siamo inclini a presuppor-: re che Ito si trovi in qualche modo «dentro» al cervello. Ma, sé troviamo naturale pronunciare frasi come 'io ho un cervello», mostriamo anche di pensare che esso possa collocarsi al di fuori della massa cerebrale; oppure che esso stia dentro a questa, ma sia qualcosa di completa-, mente diverso, come un inquilino è diverso dall'alloggio in cui abita. D'altra parte una vastissima lette¬ miamo mente. Questo so-' strato potrebbe essere /orniti) da un calcolatore elettronico, oda un organismo extraterrestre /ondato su una chimica ed una /istologia a noi sconocìute. Sviluppando questa linea di ragionamento, molti testi de L'io della mente discutono di problemi quali il passaggio dall'hardware al software, cioè da un particolare tipo di sostrato, materiale della mente a menti indipendenti da un qualsiasi sostrato specifico: menti concepite e realizzate come puri programmi, la cui individualità e continuità non dipende da alcuna particolare concretizzazione fisica. Ed ecco qui pronte altre due implicazioni per alimentare riflessioni ed interrogativi Che ci mettono a disagio non perché la risposta è difficile, ma perché ci rendiamo conto di non avere strumenti per procedere con sicurezza se appena uno spillo buchi la superficie delle nostre reazioni più ovvie. La prima implicazione è che se la mente è un sistema di segni o di simboli indipendente dal supporto fisico in etti si realizza, anchei róboìposjeonaavere una menù^Jorise non quelli ancor primitivi che già conosciamo. ribili sofferenze che inflig-. giamo di regola agli animali è che essi sono privi di coscienza. In altre parole, quelle stesse che ci porge il titolo del libro di Hofstadter e Dennett, anche se gli animali avessero mai una mente, essa non appare dotata di un io, e ciò basta per autorizzarci a fare di essi dei mezzi al servìzio ' esclusivo della nostra vita. Si può per altro obiettare che la mente non è fatta di strutture fisiche, bensì di segni, di simboli, di informazioni. Anche se è emersa dal cervello umano, essa é un processo in/ormazìonale indipendente dal suo sostrato materiale. L'incauto che intraprendesse questa strada si troverebbe subito su un terreno scivoloso, almeno dal punto di vista del comune senso di che cosa sia una mente. In/atti, se la mente è soprattutto una struttura di segni, un sistema di simboli, occorre ammette- ■ re che essa potrebbe essere realizzata anche con altri sostrati materiali, non necessariamente identici a un organo biologico come il cervello, o come ti nostro particolarissimo cervello di tenèstri. basterebbe che ' il'nÙQVÒilOStrato'fòsse In ! grado di ospitare quel sistema di simboli che chia¬ Lavorare nel 2000

Persone citate: Bach, D. R. Hof, Dennett, Hofstadter

Luoghi citati: Roma