De Felice, Abbagnano, Romeo, Strada, Pampaloni

De Felice, Abbagnano, Romeo, Strada, Pampaloni De Felice, Abbagnano, Romeo, Strada, Pampaloni Nicola Abbagnano e Renzo De Felice sono piuttosto scettici. Da Rosario Romeo e Vittorio Strada viene un «no» secco. Soltanto Geno PampaIoni si dice convinto che l'istituzione di una «nuova» Accademia d'Italia possa giovare alla cultura. Sui giudizi riferiti al presente, pesa indubbiamente l'esperienza del passato: che cosa fu l'Accademia d'Italia fondata per volontà di Mussolini nel '26 e soppressa nel '44? Una macchina di propa-. Banda per il regime o un punto di riferimento per la cultura? La discussione è aperta. Con un interrogativo In più: sarebbe rlproponiblle un'Accademia d'Italia nel Bel Paese degli Anni Ottanta? Sterno De Felice, il massimo storico del fascismo, è perplesso: «Credo poco alle cose create ex novo. O hanno una tradizione, e allora tutto è più facile; o la tradizione non ce l'hanno, e allora è difficile inventarle dalla sera alla mattina. Un conto è parlare di istituzioni già esistenti: qui, dove le persone vengono rimpiazzate via via che si creano dei posti per morte, dimissioni ecc., c'è in genere la possibilità di scegliere bene. Quando invece si crea un'istituzione ex novo e si deve fare 'il pieno" in partenza c'è meno possibilità di scelta». •D'altra parte — aggiunge De Felice — in una situazione come quella italiana, dove tutto è lottizzato, il cielo ci assista nel caso in cui dovessimo fare queste scelte». Eppure in Italia un minimo di tradizione l'abbiamo: l'Accademia voluta da Mussolini... «Si, ma anche in quella — parliamoci chiaro — c'erano alcune persone che ci stavano bene; ce n'erano altre che non si capiva che cosa ci stessero a fare. O meglio, lo si capiva benissimo: ci stavano per meriti che con la cultura avevano poco da spartire. Dunque anche l'Accademia d'Italia non può essere presa ad esempio: né di una tradizione, perché rappresenta un periodo storico troppo breve, né per rappresentatività oggettiva». Dunque, professore, nessuna nuova Accademia? 'Sono arrivato alla conclusione che in questo Paese, meno si fa di nuovo, meno danni si combinano». Perplessità anche dal filosofo Nicola Abbagnano. I tempi sono cambiati: l'obiettivo tradizionale delle Accademie — la diffusione della cultura — deve fare i conti, oggi, con una realtà in cui le ferme di diffusione del sape¬ re passano principalmente attraverso i mass-media. .Mentre un tempo le Accademie erano uno dei mezzi principali per la divulgazione della cultura, oggi sono diventate due altre cose: o luoghi di riunione di tecnici dello stesso ramo scientifico che si comunicano i risultati delle ricerche, o luoghi in cui si portano determinati risultati che poi difficilmente raggiungono il pubblico. Oggi il pubblico si informa tramite altri canali: i giornali, le riviste scientifiche, quelle specializzate, la tv. Io sono membro dell'Accademia dei Lincei da tanti anni: ad essa aderiscono tanti bei nomi della cultura, ma attraverso l'Accademia la ricerca e la diffusione della ricerca, non si fanno più. La ricerca si fa fuori, negli istituti scientifici. Il compito di un'Accademia di Francia, oggi, mi sembra difficilmente proponibi¬ le». Lo storico Rosario Romeo, non ritiene opportuna l'istituzione di una liuova Accademia d'Italia. 'Quando nell'immediato dopoguerra si discusse se rifondarla o meno, Benedetto Croce fu fra gli oppositori più tenaci. L'Accademia d'Italia, infatti, comprendeva anche una sezione letteraria. Ora, diceva Croce, le accademie letterarie sono v.n residuo del pegglor costume seicentesco, una fiera delle vanità. Non sono le accademie a decretare la validità o il successo delle opere, ma il gusto del pubblico, la critica, il loro valore intrinseco. Penso che Croce avesse ragione». i Anche il professor Vittorio Strada, docente di lingua e letteratura russa all'università di Venezia dà un giudizio netto: «£/nV4ccadem.a d'Italia oggi? Non ne vedo la necessità. Finirebbe nella solita burocratizzazione della cultura. Quello di cui la cultura ha bisogno è prima di tutto una migliore organizzazione di quel centro di produzione culturale che è l'università». Nessuna Accademia, dunque? Geno Pampaloni. saggista e critico letterario non è di questo avviso, «io sarei d'accordo a riaprire l'Accademia. Perché, tutto sommato, essa fa parte della tradizione italiana, nel bene e nel male. Quello di cui abbiamo estremamente bisogno, oggi, è un punto di riferimento. Viviamo in una situazione di grande confusione perché si è perso il senso della necessità di una gerarchia dei valori. Secondo me, la costituzione di un'Accademia potrebbe essere il contributo non dico decisivo, ma certo in qualche modo positivo, per la ricostituzione di una gerarchia dei valori». Mauro Anselmo

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