Ma il cuore mio non muore... di Marco Tosatti

Dopo tanti anni, in Italia una raffica di trapianti, di interrogativi e di polemiche Dopo tanti anni, in Italia una raffica di trapianti, di interrogativi e di polemiche Ma il cuore mio non muore... Amleto in sala operatoria I vescovi Capovilla e Ribaldi: ce La lezione di don Gnocchi» Ce molta ambivalenza nelle reazioni dell'opinione pub-' blica alla recente ondata di trapianti multipli: il cuore, 1 reni, gli occhi e adesso anche il fegato. Le polemiche infuriano. All'inizio, il primo trapianto di cuore — molto valorizzato dal telegiornali — sembrò un segnale positivo: il tardivo allineamento dell'Italia a una tecnica chirurgica avanzata, ormai consolidata e largamente praticata all'estero. Poi, 11 rapido succedersi degli interventi ha reso visibile un elemento di gara tra le équipes cardiochirurgiche che ha cominciato a suscitare perplessità e disappunto. Gradualmente sono emersi altri elementi di informazione che hanno messo in luce aspetti diversi da quelli medico-scientifici: le implicazioni umane per i «donatori» di organi, le speranze di vita dei pazienti, i costi organizzativi e finanziari, 1 contraccolpi sull'intero sistema sanitario nazionale. Contemporaneamente al l'emergere di tutte queste al tre informazioni collaterali lo stesso fatto tecnico del tra> pianto è stato rapidamente declassato da evento eccezio naie a operazione quasi di routine, la cui utilità è con troversa tra gli stessi speda listi a causa sia dell'alto costo sia del fatto che dedicarsi a essa comporta, di necessità, il distogliere energie mediche e paramediche da altri casi e da altri tipi di intervento. Ce n'è abbastanza per creare sconcerto e disorientamento; tanto maggiore quando si apprende che in Italia — a differenza di Paesi come gli Stati Uniti, la Oran Bretagna e la Francia — non solo si sono già autorizzati ben. otto centri a operare tra' pianti-cardiaci, ma anche altri sette hanno fatto domanda in tal senso. Molti sono scettici sapendo bene che se le capacità mediche possono essere elevate non altrettanto può dirsi per il tono generale dell'assistenza ospedaliera, caratterizzato da pesanti carenze organizzative e gestionali. Le notizie sul trapianti di cuore hanno inoltre messo in luce un altro fenomeno: l'alto numero di giovani e giovanissimi che perdono la vita su un motorino o una motocl:letta. Una vera e propria strage che si consuma quotidianamente. L'idea che i trapianti si possano fare perché tante giovani vite vengono stroncate a causa dell'inettitudine di tanti politici e di tanti burocrati getta più di un'ombra sui riflettori delle sale chirurgiche. E come non immedesimarsi con i genitori che non solo si trovano d'improvviso agghiacciati dal dolore per la perdita della loro creatura ma sono costretti a fronteggiare una scelta difficile: quella di acconsentire o meno al prelievo degli organi dal corpo martoriato di chi fino a poche ore prima era il simbolo vivente del loro stesso futuro? Come si può intuire, l'opinione pubblica si è trovata, all'improvviso, investita da una valanga di problemi ed è rimasta sconcertata. Quel primo intervento di trapianto del cuore si è cosi trasformato, nel giro di due settimane, da segno del progresso medico in qualcosa di diverso: ha aperto la strada a una serie davvero inquietante di interrogativi. Da un lato vi sono interrogativi pieni di buon senso che sono portatori di una domanda di buona amministrazione: nella gestione del traffico urbano ed extraurbano (quando ci si deciderà a regolare il traffico dei Tir?) e nella gestione della salute. Dall'altro, vi sono interro gativi più delicati e contro versi che sarebbe sbagliato considerare obsoleti: qual è il limite oltre il quale si può an dare nel violare l'unicità di un'esperienza di vita? Qual è il confine tra 11 diritto del singolo a vivere e a morire e quello della collettività? A entrambi i tipi di interrogativi, sollevati dai trapianti, è bene cercare di dare risposte non evasive. Sulla qualità di tali risposte, infatti, si mi surerà l'efficienza e la lungi mlranza di chi ci governa, a tutti i livelli. Giovanni Bcchelloni Affittateti*' Monsignore, darebbe II suo cuore per un trapianto? «Lo otlrlrel volentieri. MI sembrerebbe di vivere ancora, di continuare a vivere, di servire ancora», risponde Loris Capovilla, che fu segretario di Papa Giovanni e ora vescovo di Loreto. A lui, e a mons. Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, anche lui In prima linea sui problemi civili e umani della sua gente (e da cui abbiamo avuto una risposta Immediata e positiva alla stessa domanda) abbiamo chiesto di parlarci dell'atteggiamento degli uomini di chiesa sui trapianti di cuore. «Se (osse // caso, lo darei sema fiatare — dice mons. Riboldi — Ho già donato tutto. Quindi penso che una volta che lo sia clinicamente morto, penso che tutto quello che può essere dato sia dato. Non credo di dissacrare cosi il mio Involucro mortale». Riboldi e Capovilla tanno subito un nome: don Gnocchi, il sacerdote che circa venticinque anni fa donò gli occhi. Questo gesto, e quelli che si stanno compiendo «sf riferiscono benissimo al valori cristiani — dice Capovilla — sono un'espressione di altruismo». Il vescovo di Loreto ricorda un episodio recente. «L'anno scorso è morto un mio compagno di sacerdozio, che era malato di cancro, e aveva subito parecchie operazioni. Ma si preoccupava, e lo ripeteva sempre — l'ultima volta, poco prima di spirare — a un suo amico, oculista di fama mondiale che era vicino a lui: l'unica cosa che ho ancora di buono sono gli occhi: trapianta le mie cornee, quando sarò morto. E Intatti adesso ci sono due persone che vedono per II dono di questo sacerdote». Collegati a un gesto di grande altruismo ci sono però problemi etici. Non tanto sul trapianto in sé: -Diverso — rileva mons. Riboldi — sarebbe II caso se lo mi toglles si una cosa depauperando la mia persona: se per esemplo mi levassi un braccio per darlo a un altro. Ma una volta che una persona clinicamente è morta è giusto che un organo, che a lui non serve più , sia donato». I problemi nascono dalla pubblicità. iMI pare — dice mons. Capovilla— cne se ne parli -troppo, di questi trapianti, tacendo nomi, cognomi, un battage eccessivo. I Allora se qualcuno non si sente di compiere questo gesto, se una famiglia dice di no, si creano situazioni penose, certi appaiono egoisti. Il che non è». Il vescovo di Loreto si mette nella prospettiva del parenti del donatore: «Per una madre, per un padre, è un momento drammatico, vivono la disperazione di chi ha perso un tiglio. E magari In quel momento hanno quasi l'impressione che ci sia qualcuno accanto al letto che aspetti che II loro caro muoia, per traplantare II cuore: ecco, può darsi che risentano in maniera negativa di questa sensazione». I problemi morali sono dunque di ordine duplice: da una parte, evitare che ci sia quasi «la tentazione di ostentare» il gesto. Dall'altra, non porre in imbarazzo chi' non è maturo per compiere quell'atto di donazione. «Ci vuole tutta un'educazione, una preparazione — dice l'ex segretario di Giovanni XXIII — che non può venire solo da un'emozione propagata dal mezzi di comunicazione sociale. Sento con molto piacere che c'è un'associazione per I donatori di organi. Favorire quest'assoclazione di donatori è molto bello, ma attraverso l'educazione». Una valutazione positiva è venuta anche e1 U'Osservatore romano. Nella rubrica «Ada diurna», curata personalmente dal direttore Mario Agnes, si sono elogiati I donatori; «// problema principale del trapianto di cuore non consiste, come è noto, nelle esigenze pressanti dei recettori I quali sono numerosi, bensì nella rarità del donatori. E proprio qui si è verificata la più grande prova di umanità Famiglie travolte dall'immensa sciagura, la morte di un ragazzo, di un giovane, hanno donato ad un altro il cuore del loro Muro, della loro speranza». Il corsivista aveva accennato prima ad altre tragedie, e in parti colare al dirottamento del Boeing egiziano a Malta, ai terroristi che «uccidevano ridendo», ridendo della propria e della altrui morte «Sono queste nuove forme di solidarietà, una e cristiana — afferma l'Osservatore — a convincerci che la nostra epoca non è fatalmente segnata dal dilemma genocidio -suicidio. Sono gesti che traduco no l'atto di fede nella vita», Marco Tosatti

Luoghi citati: Acerra, Francia, Italia, Malta, Stati Uniti