Manila, i carbonari porta a porta

Manila, 8 carbonari periti a porla Manila, 8 carbonari periti a porla Sono i Bayan, una sorta di società segreta, i cui aderenti devono reclutare almeno dieci nuovi membri al mese - «Sono dappertutto e in nessun posto, proclamano scioperi» - Non sono comunisti, ma un serbatoio di reclute per l'Esercito Popolare - In un Paese affamato dai «comparì» del dittatore, agitato dalla guerriglia, l'opposizione ufficiale (Aquino-Laurei) lancia la sua sfida promettendo un'amnistia per i «ribelli» e la chiusura delle basi americane - Il pericolo del colpo di Stato militare DI RITORNO DA MANILA — Come topi impazziti sfrecciano per le strade di Manila centinaia di jeep adattate a minibus, stracariche di gente, con statuette di cavallini argentati sul cofano, con bandierine, santini, fiocchi, pennacchi, campane. Sterzano per evitare le buche, rischiano a ogni istante lo scontro frontale 0 l'uccisione di uno dei tanti' bambini mendicanti che chiedono la carità bussando ai finestrini delle auto in sosta ai semafori, pronti a mettersi in salvo con un rapido balzo allo scattare del verde. Lungo lo stradone che costeggia la baia, eserciti di spazzini, per lo più ragazze, in divisa arancione e mascherina di garza, tentano di «far bella Manila», secondo 1 desideri della Prima Signora, Imclda Marcos, che all'estetica ci tiene in quanto ministro per l'Ambiente e governatore della capitale. Ma per spazzare la strada I bisognerebbe prima far sloggiare chi in strada ci abita, intere famiglie che con lamiere e ■ cartoni si sono costruite una «casa» dove capita, magari proprio di faccia agli alberghi di lusso. O nelle vie laterali della Manila vecchia, che conserva ancora esigue tracce dell'epoca spagnola, i ruderi delle mura, le facciate decrepite di qualche palazzotto. Qui la sera si rischia di calpestare donne e' bambini che dormono sdraiati sui marciapiedi, mentre il papà «lavora», cioè vende sigarette sciolte o a pacchetti, dosi di droga pesante o leggera, cambia valuta di contrabbando, procaccia clienti ai bordelli che sono l'unica vera industria fiorente al punto che le Filippine vengono chiamate anche «Repubblica delle prostitute a sistema capitalista dei compari». 1 compari sarebbero gli «intimi» di Marcos, considerati i responsabili di tutti i mali del Paese, uomini ai quali il Presidente, dopo l'imposizione della legge marziale del 1972, ha affidato i settori chiave dell'economia. Avrebbero dovuto costituire la nuova classe dirigente di dinamici imprenditori mentre invece, dicono oggi a Manila, erano capaci unicamente di osannare e foraggiare il Presidente e di investire all'estero i profitti. Cocco e canna da zucchero, con le rispettive industrie di trasformazione, sono le due maggiori produzioni nazionali, quelle che dovrebbero dare di che campare al 40 per cento dei 57 milioni di abitanti delle Filippine: controllati dai più intimi «compari» di Marcos, Eduardo Cojuangco e Roberto Benedicto, che li hanno gestiti in pratica come monopoli, oggi questi due settori sono in crisi talmente acuta che, anche se fossero adottate subito le riforme proposte dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale che per la prima volta hanno deciso di operare un intervento congiunto, non soltanto prestando soldi ma badando a come vengono investiti, ci vorranno almeno otto o dicci anni prima che si torni ai livelli di produzione del 1982. Cosi, oggi, si muore di fame nella provincia di Negros, la terra della canna da zucchero. Sostiene però il ministro della Difesa Juan Ponce Erilc: <■<£' colpa di Marcos se il prezzo mondiale dello zucchero è calalo? E' colpa sua se i proprietari delle piantagioni di canna sono costretti a licenziare i lavoratori?». L'argomento è debole: dopo vent'anni di Marcos, le Filippine, che alla fine della guerra erano il Paese più avanzato del Sud-Est asiatico, oggi sono in piena crisi economica e in coda allo sviluppo della regione. Che Marcos declini le sue dirette responsabilità, come ha fatto con l'inviato di Reagan, Paul Laxalt, giunto due mesi fa a Manila con una lettera di «ammonimento e riprovazione» del Presidente americano, è aggiungere al danno la beffa. E a Manila si teme che anche le elezioni pro> messe da Marcos per il 7 feb' braio saranno una «beffa». Circolano barzellette tipo questa: Imclda si sveglia di soprassalto nel cuore della notte, e scuote il marito: «Amore, hó avuto un incubo terribile. Ilo sognato che avevamo perso le elezioni». E Marcos: «Ma tesoro mio, non ti preoccupare. Quando mai le abbiamo vinte?». Nelle Filippine lo sanno tutti che Marcos ha sempre manipolato i risultati elettorali con estrema faccia tosta. «Sono già pronte urne piene di voti per Marcos da caricare sugli acrei che andranno a raccogliere le urne sigillate nelle sedi elettorali dell'arcipelago — dice un sacerdote cattolico — ma te urne vere finiranno in mare come è già successo per le elezioni del '78 e dell'84». Lo scetticismo sull'utilità di queste elezioni anticipate — a regola avrebbero dovuto svolgersi tra diciotto mesi — è assai diffuso a Manila. Marcos l'altro giorno, in un'intervista televisiva, ha sostenuto che la politica interessa sì e no il 20 per cento dei filippini e forse ha ragione se per politica si intende il «gioco delle parti», i cavilli sulla costituzionalità o l'anticostituzionalità di un provvedimento. Ma politica può avere anche un altro significato in un Paese dove il 60 per cento della popolazione vive nella miseria più nera, dove l'esercito spara a raffica sui dimostranti, come c successo a Escalante due mesi fa, uccidendo trenta persone colpevoli di chiedere pane e lavoro; dove una mela costa 25 pesos, cioè la metà della paga minima giornaliera di un operaio di Manila mentre i lavoratori stagionali delle piantagioni di canna di Negros devono accontentarsi di 2 pesos al giorno. La gente può organizzarsi politicamente in modo diverso da quello ortodosso, riconoscersi per esempio nel Bayan, la Nuova Federazione Patriottica, un movimento di massa che negli ultimi due anni, cioè dopo l'assassinio di Benigno Aquino, è diventata la vera forza di opposizione popolare a Marcos. Forte soprattutto nei centri urbani ma anche nel Negros, a Calamba, a Laguna e nel Mindanao, il Bayan, secondo il sociologo Jesus Bigornia, si configura più come una società segreta che come un partito politico: tutti i suoi aderenti conservano l'anonimato, ognuno deve reclutare almeno dicci nuovi adetti al mese, ed è facile trovarli tra gli studenti, gli operai, i giovani disoccupati o sottoccupati. «Il loro credo non è esplicitamente il comunismo ma una versione populista dei principi socialisti — spiega Bigornia —. J Bayan non ricorrono alla violenza, non reclamano apertamente cambiamenti istituzionali e così il governo non può accusarli di sovversione. Come agiscono? Semplice: due settimane fa hanno paralizzato la vita della città di Davao, proclamando uno "sciopero generale di popolo" passando parola: .mezzi pubblici fermi di colpo, negozi e mercati chiusi, ogni attività lavorativa all'improvviso interrotta anche negli uffici statali. Con chi può prendersela il governo? Non ci sono leader dei Bayan, lutti sono Bayan e nessuno. Sono dappertutto e in nessun posto». In realtà anche l'opposizione della vedova Aquino e di Laurei, se mai dovesse vincere le elezioni di febbraio, dovrà tener conto della forza del Bayan, non filo-comunista ma serbatoio di reclute per l'estrema sinistra e per il Nuovo Esercito Popolare che guida un'insurrezione armata oggi considerata il «vero» problema delle Filippine, non soltanto dagli americani ma anche da tutti i loro alleati asiatici. Ri¬ cevono sostegno dall'estero questi guerriglieri? E quale è la loro reale potenza? Quanti villaggi controllano? Fonti americane parlano di 16 mila uomini, secondo Marcos è un'esagerazione, saranno al massimo 9000. Ma è pronto a rivedere la cifra, si dimostra incerto: che siano 30 mila?, si è chiesto recentemente. Stando agli americani in due anni le Filippine potrebbero cadere in mano comunista, diventare un altro Iran o un'altra Cuba. Nel Mindanao è già mitica la figura del «comandante Bilog», nome di battaglia di Rodolfo Salas, intellettuale al servizio del popolo se¬ condo il dettato maoista, che ricorda più Fidel che Khomeini. Marcos sostiene che invece è un altro Poi Fot e fa proiettare nei villaggi il film «The Killing Fields» che, secondo i. suoi propagandisti, dovrebbe svelare ai contadini qual è il «vero volto» dei guerriglieri, feroci aguzzini come i Khmer rossi. Per la vedova Aquino e per Laurei i guerriglieri sono invece dei bravi ragazzi idealisti' che hanno scelto la lotta per amore della giustizia calpestata dal tiranno. «Penso a una amnistia generale se accettano di deporre le armi», propone Corazon Aquino, la quale si è anche espressa contro il rinnovo dell'accordo per le basi americane nelle Filippine che scade nel 1991, basi di importanza fondamentale per gli Usa. Cosi l'America che, per difendere le proprie basi minacciate dalla guerriglia comunista, ha spinto Marcos a indire le elezioni anticipate, si è comportata come l'apprendista stregone, scatenando forze che la contestano più apertamente di quanto subdolamente non tenti di fare lo stesso Marcos, il quale ha lasciato intendere che a Mosca c'è qualcuno che lo ama o, per lo meno, lo corteggia. Dicono a Manila che il vecchio dittatore è capace di tutto, «anche di esagerare il pericolo comunista, quando gli fa comodo, pur di ricattare gli americani», come sostiene un diplomatico occidentale. Questa volta però il gioco rischia di sfuggirgli di mano: a meno che lo scenario non contempli un colpo di Stato militare, prima o subito dopo le elezioni, e un'apoteosi di Mar-' cos, messo da parte perché in realtà pare che sia malato, molto malato — c'è chi dice che abbia ancora soltanto pochi mesi di vita — ma assunto paradossalmente a simbolo della resistenza filippina alla interferenze americane e ai «dictat» de) Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Un bel finale per una tipica tragedia del tardo XX secolo. Renata Plsu Manila. Corazon Aquino, candidata di opposizione alla presidenza delle Filippine, e accanto a lei il « vice » Salvador Laurei, durante la campagna elettorale nella provincia di Tarlac, cento chilometri a Nord della capitale (Telefoto Associated Press)