Roma teme il ritorno di Quintino Sella di Ezio Mauro

Roma teme il ritorno di Quintino Sella Le repliche al ministro del Tesoro che ha detto no ai sogni di «grandeur» pagati dallo Stato Roma teme il ritorno di Quintino Sella ROMA — 'Attento a te, don Nicola: torna Quintino Sella, guai se passerà», sussurrava ieri pomeriggio dentro un telefono democristiano, scherzando, l'onorevole Mauro Bubbico a Nicola 81gnorello, sindaco di Roma. Accento romanesco da una parte del filo, sospiri romani, sia pure d'importazione, dall'altra. Il nuovo Quintino Sella, che sarebbe il ministro del Tesoro Giovanni Goria, fiuta quest'aria improvvisa di ribellione campanilistica, e mette le mani avanti: 'Figuriamoci se voglio scatenare una guerra contro Roma. Io ho semplicemente detto che 10 Stato, prima di finanziare 11 piano per Roma capitale, deve vederci chiaro. Vogliamo conoscere t progetti, capire se sono validi oppure no, verificare se servono soltanto alla città oppure anche alla collettività nazionale. Altrimenti, chi va a dire ad Asti, a Ber- gamo o a Catania che bisogna togliere i soldi da qualche parte, per concentrarli su Roma? L'ho detto e lo ripeto: Roma ha mille problemi, e mille richieste giuste. Non può dare la sensazione di voler compiere una rapina». Nel panni del rapinatore, il sindaco Slgnorello si agita e sbotta: «Qui si tratta soltanto di capirci. Io da quando sono in Campidoglio non ho fatto e nòti farò mai il piagnisteo campanilistico del sindaco che non ce la fa da solo e chiede allo Stato un po' d'assistenza pubblica. Noi vogliamo soldi, aiuti e interventi, ma non per la città-comunità, bensì per la città-capitale, quella che serve lo Stato». Il sindaco dice che ci sono del punti d'incontro obbligati tra questa città e lo Stato, spiega che sarebbe pericolosissimo ignorarli e ha due esempi pronti: «Per affrontare con decisione il problema dei trasporti e del riequilibrio urbano, vogliamo spostare la città verso Est, lasciando in centro soltanto il cuore politico (Parlamento, presidenza del Consiglio, ministeri dell'Interno, degli Esteri, della Difesa e del Tesoro) e trasferendo tutti gli altri ministeri, insieme con gli uffici pubblici, il parastato, ad Est, dove dovrà nascere una nuova città delle Autonomie, con gli uffici del Comune, della Provincia e della Regione. Ma non possiamo farcela se lo Stato non ci aiuta a creare le, condizioni per cui questo trsferimento sta vantaggioso per chi deve lasciare il centro, se non provvede ai servizi, ai trasporti, ai collegamenti. In più, noi diciamo che questo decentramento dovrà modificare le strutture della pubblica amministrazione, cioè il modo di lavorare degli uffici». Ma a ben guardare, questo non è tutto. Dietro i sogni del sindaco («Vedrete tra un anno se saranno sogni») affiorano le impazienze democristiane di dare un segno concreto, visibile, magniloquente della svolta amministrativa a Roma dopo dieci anni di giunta di sinistra. E' la rincorsa della «grandeur» come rivincita, o almeno come intenzione, o come Immagine e proiezione fisica del governo cittadino. »Io l'ho detto al sindaco, appena eletto — racconta Bubbico, consigliere comunale de per dieci anni —: adesso che abbiamo i voti, pensiamo alla grandeur. Parigi innalza il Beaoubourg, costruisce la piramide davanti al Louvre. Roma ha bisogno di una fase chiracchiana». •E' vero — aggiunge Franco Evangelisti, ex presidente della Roma-calcio, grande controllore della de romana —, c'è piti che mai bisogno che questa città ritrovi la grandeur perduta. Solo così, tra l'altro, si potrà superare il qualunquismo nazionale, che vede Roma come la città dove lo Stato affonda, tra pratiche bloccate, pensioni non pagate e pennichelle »■ •Bisogna che tutti capiscano, al Nord «mie al Sud, il servizio che Roma rende al Paese come capitale, ospitando, facendo funzionare e organizzando i servizi, gli uffici, le strutture e i centri del potere civile che sono al servizio di tutta la Nazione — dice 11 ministro Clelio Darlda, sindaco in Campidoglio dal '69 al "76 —. .Non è giusto che i costi di tutto questo ricadano soltanto sui cittadini romani. Ormai dovrebbe essere chiaro che è inutile parlare di riforma dello Stato, di riforma della pubblica amministrazione, se tutto questo, non si proietta nella struttura vera e propria: e cioè nella città che ospita il cuore dello Stato e dell'amministrazione». Ma il rischio, inseguendo la grandeur della città-esempio, non è di contrapporre la capitale allo Stato, proprio come vuole in Francia il modello della Parigi di Chirac? 'E' un pericolo che esiste — dice 11 professor Giulio Carlo Argan, sindaco della giunta di sinistra dal '76 al '79 —. Per questo bisogna distinguere. Chiedere che lo Stato faccia la sua parte è giusto, perché se vuole fruire del prestigio che deriva da Roma, lo Stato deve concorrere al mantenimento del patrimonio universale della città, che non può essere sostenuto soltanto dai cittadini romani. Ma la grandeur, non serve. Se potessi, io sopprimerei la parola romanità, perché è una buffonata. Roma non deve diventare una '"urbs", ma una "civitas": e cioè una comunità di cittadini, non un centro di potere carismatico». Ezio Mauro

Persone citate: Bubbico, Carlo Argan, Chirac, Clelio Darlda, Franco Evangelisti, Giovanni Goria, Mauro Bubbico, Quintino Sella