Craxi part-time

le Opinioni del sabato le Opinioni del sabato Craxi part-time GIORGIO LA MALFA Martedì la Camera, rispondendo in tal modo a una sollecitazione indiretta del Capo dello Stato, discuterà le dichiarazioni del presidente del Consiglio che hanno dato luogo alle reazioni della magistratura e a! conflitto fra il Presidente della Repubblica come presidente del Consiglio Superiore e l'organo stesso. Fra le opinioni apparse, la più fondata e condivisibile a me sembra quella espressa su questo giornale da Alessandro Galante Garrone il quale ha parlato di una «indebita interferenza». A questi rilievi, l'on. Craxi, in una lettera a La Stampa, ha risposto: «Il presidente del Consiglio, tanto più se si trova in una sede non ufficiale, è, davanti a decisioni giudiziarie che non convincono, un cittadino come gli altri e ha, come gli altri, quella libertà di critica, che è un bene inalienabile di ogni ordinamento democratico». Con questa frase tuttavia l'on. Craxi ha ammesso che se un cittadino può esprimere quelle critiche, un presidente del Consiglio no. Altrimenti non si capisce per quale ragione egli avrebbe dovuto rivendicare il suo diritto a parlare in quanto libero cittadino. Il fatto è che questa distinzione tra affermazioni fatte come persona investita di responsabilità pubbliche e affermazioni fatte a titolo individuale non è accettabile: chi è investito da responsabilità pubbliche non può disinvestirsene «ad libitum» e a tempo parziale e ottenere di dire senza conseguenze ciò che egli sa di non dover dire in veste ufficiale. «Noi tedeschi — dice il personaggio di una commedia napoletana — avere gran privilege: fare quel che piacere a nuie,poi dire che stare imbriache». Essere uomini, pubblici, tanto più al vertice della gerarchia dei pubblici ufficiali, implica regole un po' diverse. Questo non vuole dire naturalmente che l'on. Craxi non debba dire della magistratura ciò che egli pensa di dover dire come libero cittadino. Ma se egli sente questo insopprimibile bisogno, per farlo deve recuperare integralmente quella sua qualità e dismettere l'altra, o viceversa; vivere all'altezza di questa. Né si può accampare ad attenuante per le gravi accuse lanciate contro un potere indipendente il ruolo di segretario di un partito significativamente colpito per le vicende giudiziarie che hanno originato la polemica: fino a prova contraria, pur se l'identificazione delle due cariche può dare origine ad equivoci, la funzione di capo, del governo non può non prevalere' su quella di capo di un partito e il ricorso alla dissociazione delle due figure trova limiti precisi nella predominanza delle responsabilità pubbliche discendenti dalla prima. Torna alla mente, a questo proposito, un aneddoto raccontato da Benedetto Croce. Una volta un libero borghese, vedendo un militare al ballo pestare i piedi alla dama, osservò: «Ma come balla 1 male». Avendolo sentito, il militare ^replicò: «Signore, ballerò male ma \mi batto bene». E il cittadino: «Allora si batta sempre, ma non balli mai». i II problema politico che si sta ponendo è dovuto all'insopprimibile desiderio di ballare e battersi allo stesso tempo. E di battersi dall'alto di una piattaforma da ballo. Il mago Altiero ARRIGO LEVI All'ultimo vertice dei Dodici, a( Lussemburgo, l'Italia, con il suo tenace rifiuto di accettare un compromesso che le sembrava troppo povero di contenuti, ha rischiato di trovarsi isolata. Ma si è poi presentato al tavolo dell'Europa il tre-! dicesimo invitato, il Parlamento' Europeo, che ha confermato tutte le nostre riserve con una maggioranza schiacciante: 243 voti a favo-: re della mozione Spinelli, che giù-: dica insoddisfacente l'accordo dei capi di governo, e appena 47 contrari e' 9 astenuti. L'intransigenza di Craxi e Andreotti, che avevano già forzato la mano ai partners al vertice di Milano, si è cosi dimostrata pagante, alla tredicesima ora. Le pressioni dei grandi leaders europei — Kohl, Mittetrand, Thatcher — sui rispettivi gruppi parlamentari a Strasburgo sono fallite. I risultati acquisiti a Lussemburgo (peraltro non trascurabili) non vengono cancellati: ma la spinta per andare oltre si conferma fortissima. Come tutto ciò sia potuto accadete è un poco un mistero. O meglio, è un caso da manuale di come pochi individui decisi possano correggere la rotta seguita da grandi forze politiche. Senza nulla togliere a Bettino Craxi, autore del «colpo di mano» di Milano che tanto infuriò la signora Thatcher, i protagonisti di questo singolare capitolo della storia comunitaria sono soprattutto due, Altiero Spinelli e Giulio Andrcotti: l'idealista europeista di sinistra e il democristiano scettico e astuto, acuto e manovratore. Davvero una strana coppia, la più strana che il pur anomalo e variatissi- mo panorama politico italiano po-, tesse produrre. La tenacia con cui l'Italia ha continuato a dire di no alle mezze misure sembrava a molti inconciliabile con la fama di Andreotti quale «man fot ali seasons», politico dalle mille astuzie piegato a tutti i compromessi. ,Ma chi la pensava.cosi non aveva preso coscienza dell'acciaio sottoMl velluto ed era rimasto cieco all'evoluzione del politico Andreotti in uno statista duttile, si, ma tenacemente impegnato a perseguire un suo ideale di pace, che ha come elemento portante, necessariamente, un'Europa forte ed unita. Per questo non è necessario supporre che il mago Spinelli, dopo aver plagiato, convertendoli all'idea europea, una generazione dopo l'altra di giovani animosi, abbia compiuto il suo capolavoro plagiando anche il «cinico» Andreotti. Più che di plagio, si è trattato di un imprevisto incontro tra due vivi e vividi spiriti politici, che sanno mescolare idealismo e realismo in inimmaginabili combinazioni. Se poi tra i due, in questa vicenda, si dovesse dare ad uno il primato, io personalmente lo darei ad Altiero, che ha, questo si, plagiato tutto un Parlamento europeo; il caso più grandioso di ipnosi collettiva della storia politica. Sottratto al suo sguardo magico, quel corpo politico si sarebbe scomposto, dissolto, squagliato; con lui ha trovato una coscienza) europea. Certo verranno altre sconfitte. Ma peidc la guerra — dice Clausewitz — soltanto chi si dà per vinto; e questo Altiero non lo farà mai. Pei a viso aperto MASSIMO L SALVADORI i II dibattito avvenuto al Comita-' ito centrale intorno alle «Tesi» segna una tappa importante nella vita del partito comunista. A prescindere da qualsiasi valutazione dei contenuti là emersi in relazione alle questioni ideologiche, al programma, agli sbocchi strategici, vi è un aspetto che deve essere giudicato in sé e per sé, e a mio {avviso senza riserve in maniera positiva. E cioè che, finalmente, in un Comitato centrale comunista,1 come, mai in precedenza anche se ,nel quadro di un processo ormai >da tempo in corso, non soltanto le parti diverse si siano confrontate e scontrate, ma lo abbiano fatto a viso aperto, con votazioni e la formazione di minoranze e maggioranze dai contorni precisi. L'idolo del «centralismo democratico» è di fatto caduto. Quel «centralismo democratico», vale a dire quell'organizzazione autoritaria interna, che era stata prodotta dal bolscevismo per rispondere alle esigenze della clandestinità, della guerra civile, della «dittatura» dei capi all'interno del partito e del partito all'interno dello Stato, è stato lasciato dietro le spalle, dopo tante, infinite parole spese a spiegare che esso età il più puro e sano dei diamanti. Comunque meglio tardi che mai. Dopo il «lega-| me di ferro» con l'Urss, anchCj l'organizzazione di ferro è stata! messa radicalmente in discussione. ■E cosi lo spirito dell'«eurocomunismo», tanto deterioratosi e persino stravoltosi nei comunismi spagnolo e francese, ha avuto un suo serio e sostanziale svi-' luppo nel comunismo italiano; che a questo punto, invero, del suo «comunismo» originario non conserva se non il nome scritto sul suo atto di nascita Gli effetti nel sistema politico e nella lotta politica in Italia non potranno non 'farsi sentire. Con questa dimostrazione di stile nuovo, che poi non fa altro che introdurre nel pei i metodi di libero confronto che erano normali nei partiti del movimento operaio prima della cura leninista, il nostro grande partito di opposizione ha fatto cadere il maggiore steccato ,che pur sempre lo isolava dai valori e dalla prassi della democrazia occidentale. E se ancora la parola «centralismo democratico» rimane nel gozzo del partito come un. boccone non ben sciolto, è forse ora il caso di dire che la pracica vai più della grammatica. La dichiarazione, che una decina di anni or sono il partito aveva fatto a favore dei valori pluralistici e democratici all'interno non soltanto dello Stato presente ma an-. che del desiderato Stato socialista del futuro, ha infine fatto sentire i suoi effetti anche dentro le mura del partito, come auspicato da molti «aitici liberaldemocratici» del pei che questo si ostinava a ritenere animati da idee preconcette e dall'oscuro proposito di vedere violata la purezza comunista. . Ciò che, a questo punto, risulta 'di fortemente positivo per l'intero ; sistema politico nazionale è dunque la crisi organica della «diversità» comunista. D'ora innanzi, tutti i partiti giocheranno nello stesso campo. Il partito comunista :non godrà più dei vantaggi ma neppure soffrirà degli svantaggi della sua natura «particolare». La sua tela dovrà essere tessuta ogni giano, come quella degli altri. E sarà meglio per tutti, in primo luogo per l'impulso dinamico complessivo che può derivarne.