I trionfi dell'Aida di Massimo Mila

I trionfi dell'Aida ALLA SCALA CON MAAZEL E RONCONI I trionfi dell'Aida DAL NOSTRO INVIATO 1 MILANO — Inaugurate la ' stagione lirica con l'Aida un tempo era quasi consuetudine, oggi largamente disattesa, da quando le opere minori di ; Verdi hanno spiazzato le mag-1 giori. L'Aida è rimasta monopolio, dell'Arena, e i teatri ne stanno alla larga. Grande curiosità di questa esecuzione milanese era — inutile nasconderselo — di vedere come Ronconi se la sarebbe presa con tutti i condizionamenti convenzionali di un'opera cosi bloccata entro formule sceniche ineludibili, zeppe di luoghi comuni melodrammatici, ultimo frutto della pianta ormai esausta del grand-opéra. G si è preso, tutto sommato, con molto rispetto e diligenza. Non ha ceduto a tentazioni d'attualizzazione dell'azione, mettendo in scena magari l'Egitto di Mubarak e l'Etiopia di Mcnghistù. Unica devianza dalle prescrizioni sceniche, la soppressione della sfilata militare durante la mareia trionfale, ma questa non è poi un'innovazione sensazionale: avevamo già visto all'Arena una marcia dell'Aida per un soldato solo, adesso scomparso anche quello, le truppe arrivano su pesanti carri da guerra, trainati faticosamente a mano. •-, | Certamente è una - sbaglio musicale. Una marcia è una marcia e deve far camminare qualcheduno, se no non ha senso. In particolare, la- celebre modulazione alla dominante che la rilancia a metà percorso, perde ogni ragion d'essere se non è contrassegnata in scena da qualche fatto visivo. A parte questo, Ronconi non ha fatto stranezze. Certamente ha fatto piazza pulita di tutto l'armamentario di trofei, insegne, labari e pennacchi che la marcia militare comporta, ma si è rassegnato perfino a mettere l'elmo in testa ai guerrieri, ha largheggiato di ballerine poco vestite, insom ma, l'occhio ha la sua parte sia pure in un clima generale di severità. Ha perfino tollerato gli infernali moretti che danzano davanti a Amneris. Nelle scene di Mauro Pagane è indovinato soprattutto il colore rossastro, color di deserto. Non ci sono piramidi ma ci sono gli schiavi che le edificano. La città di Tebe sembra presa da una frenesia di lavori pubblici, come se vi si costruisse la metropolitana. Grandi macchinoni si spostano pesantemente per la scena, manovrati e spinti da schiavi muscolosi. Una sfinge un po' ingombrante occupa lo sfondo, un po' troppo ben pasciuta e per nulla misteriosa. * * Il terz'atto, all'aperto sulle rive del Nilo, poteva essere l'estremo rischio per un regi sta come Ronconi, di solito poco portato alla poesia della natura. Ma anche qui ha usato rispetto: non ci ha dato pro- f>rio i palmi'' che sorgono fra e rocce sui», .ive del Nilo, ma insomma, l'illusione dell'aria aperta e della notte di luna c'è, grazie alla luce e alla colorazione bluastra della scena, che qui sostituisce il solito colore arroventato del deserto. Se non ci sono maggiori compiacimenti di colore loca le, Ronconi e Pagano (e l'i deatrice dei costumi Vera Marzot) possono appellarsi al parere di Verdi, che non ama va l'Egitto. Nel 1868, più di un anno prima che si cominciasse a pensare a un'Aida, scriveva una lettera a Camillc Du Lode, reduce da un viaggio in Egitto, rallegrandosi d'una sua prossima visita a Sant'Agata: «Mi descriverete tutti gli eventi del vostro viaggio, le meraviglie pp cì>e avete visto, le bellezze e la, bruttezza d'un paese che un tempo ebbe una grandezza e una civiltà ch'io non sono mai stato capace di ammirare». (Mi scuso. " ritradurre questa lettera dal-i 'inglese perché, salvo errore, in italiano non è pubblicata). Altra grande attrattiva di questa inaugurazione scaligera 'a presenza di Pavarotti, ancobruciato dal piccolo incidente di due anni fa nella Lucia di Lammermoor. Niente di simile, quest'anno, ma il consueto splendore d'una voce non appannata, che solleva 'entusiasmo dei tifosi. Per sua fortuna Pavarotti non è jtutto 11. E' noto ch'io detesto i gigioni e gli atleti della gola, eppure tutte le volche mi capita d'ascoltare Pavarotti apprezzo ed ammiro neanche tanto il nitido metallo della voce, quanto la misura, la sobrietà con cui l'amministra, in una parola lo stile. L'intelligenza che dimostra del testo verbale e musicale. Perii la discrezione con cui sa manovrare, e quasi occultare la gran mole corporea che si trova a reggere. Non sarà un grande attore (e Ronconi aveva dichiarato in quest'occasione che non intendeva far «recitare» i cantanti), tuttavia sta scena decorosamente, in mgnicra.^ r\gn ^troppo,., melo:, drammatica.-'--^"- •timi |«S rir» .*«t'*8«t iìtin WWp In scena con naturalezza e con spontanea efficacia ci sta la protagonista, Maria Chiara, approdata alla Scala in quest'occasione solenne, a giusto premio d'una tenace applicazione che abbiamo potuto seguire nella, sua ancor breve carriera. Breve e prudente, mai un passo più lungo della gamba, mai ambiziose anticipazioni, quasi un tirocinio consapevolmente affrontato, che ora la porta in primissima fila. Mi pare d'aver scritto una volta che il suo canto è la sincerità stessa. Bisognerebbe sviluppare questo concetto che definisce la stia natura d'artista gentile, senza superbia e senza tracotanza. Amneris i il mezzosoprano Ghena Dimitrova che — se ho letto bene — in recite successive passerà al ruolo sopranile di Aida, rendendo felice chi, come me, ha sempre sospettato che i venerabili steccati di separazione delle voci siano in gran parte steccati di carta velina. Il buon Cappuccini, salito scena con l'influenza, ha dovuto dare forfait dopo il second'atto. Fortuna che c'era in panchina Juan Pons, pronto a entrare in campo nei panni di Amonasro. Tonanti a dovere Ghiaurov e Burchuladze come capo dei Sacerdoti e come Re, adatto il tenore Gavazzi alla parte breve ma splendida del Messaggero. Una forza sicura il coro, diretto da Giulio Bertola. 11 tutto governato impeccabilmente da Lorin Maazcl, i direttore che una volta, in un'intervista, aveva sorprendentemente dichiarato: «In fondo io sono un verdiano». Chissà se a Parma sarebbero d'accordo, ma è certo che ha sottoposto la partitura quello stesso lavoro d'analisi minuziosa e penetrante che gli serve a decifrare le opere moderno - Ipiù difficili e astruse. L'ha fatta propria, non ne ha dato una versione di routine, si è assunto tutte le responsabilità di un'interpretazione personale. Risultato, un'esecuzione di altissima dignità, quasi un modello di lettura. Un po' greve, forse, poco italiana, coerente con le rocce megalitiche della scena e con quelle macchine di legno che fanno tarde evoluzioni sul palcoscenico, quasi antichi carri armati o testuggini. Massimo Mila Il bozzetto d'una scena di Mauro Pagano per IVAida» che ha inaugurato la stagione della Scala

Luoghi citati: Egitto, Etiopia, Mcnghistù, Milano, Parma, Sant'agata