Giudici e politici in trincea di Roberto Martinelli

Giudici e politici in trincea Il conflitto che ha opposto il Csm a Cossiga è l'ultimo episodio di una guerra tra due poteri Giudici e politici in trincea Lo scontro comincia già negli Anni 50, con le prime inchieste sul malcostume amministrativo I magistrati, fino a quel momento zelanti tutori della legge, rivendicano un ruolo sconosciuto: quello della «supplenza» nei confronti delle carenze dello Stato - Nella confusione dei poteri si è creata una zona franca, nella quale giudici fanno i politici e politici fanno i giudici ROMA — 11 conflitto istituzionale e stato superato, restano aperti i problemi che avevano determinato la crisi. I giudici hanno ripreso il lavoro, ma sono disorientati, divisi, amareggiati. Anche coloro i quali si erano tenuti fuori dalle dispute di palazzo si sentono coinvolti in questa polemica. La gente non capisce come il primo magistrato della Repubblica possa aver preso una posizione così ferma verso i rappresentanti eletti dell'intero corpo giudiziario. Al centro del dibattito è il ruolo del Consiglio Supcriore della Magistratura. Un ruolo che in questi anni si è dilatato e che il potere politico da tempo vuole ricondurre nei suoi limiti originari. La commissione per le riforme istituzionali ne ha denunciato l'eccessiva politicizzazione e ha suggerito ì rimedi necessari. Politicizzazione del Consiglio equivale a politicizzazione del giudice? E' solo questo il retroscena del conflitto? E' difficile rispondere. Di certo, giudici e politici si combattono da anni, con alterne vicende. E' una «grande guerra» scandita dall'altcrnarsi di sentimenti complessi di odio-amore, di ammiccamenti e scontri frontali che ha reso sempre più incerto il confine che deve segnare il limite invalicabile tra i due «poteri». Un inammissibile tras'aso di uomi ni da un corpo all'altro ha creato legami ed intese intolle rabili: e, per contrasto, feroci rivalità. La «guerra» non ha una precisa data di inizio; ma coincide con la prima grande inchiesta sul malcostume amministrativo. Negli Anni Cinquanta, l'Ingic, l'Istituto nazionale imposte di consumo, viene innalzato a monumento nazionale della storia del peculato. 11 magistrato, fino a pochi anni prima zelante amministratore della legge in nome del re, rivendica all'improvviso un ruolo sconosciuto. Scrive nella sua sentenza che il finanziamento dei partiti è un problema complesso che il legislatore deve affrontare. Non esistono ancora né Consiglio Supcriore, né Corte Costituzionale. E l'inchiesta Ingic stabilisce che, alla base delle irregolarità, c'è la carenza di ogni controllo da parte dello Stato. E' la prima denuncia contro le strutture della pubblica amministrazione. Via via, i controllori non solo non controllano, ma diventano controllati. Comincia cosi, da parte dei giudici, quella che un avvocato romano, Domenico Marafioti, con felice intuizione ha documentato in due volumi di pubblicazione recente. 1 due titoli sono la sintesi magica del problema. Il primo: «La Repubblica dei Procuratori». 11 secondo: «La supplenza». Qualche sera fa, in affollato dibattito in una libreria romana, Guglielmo Negri (presentatore del libro con Alfredo Biondi, Giuliano Vassalli c Mauro Mcllini) ha osservato come la «supplenza» sia un fenomeno indotto dalla carenza degli altri poteri statali. «Supplenza» da parte dei giudici c riconquista degli spazi perduti da parte dei politici? E' questo il terreno di scontro? Torniamo agli Anni Sessanta. Agli scandali veri e fasulli clic scandiscono quel periodo della nostra storia: Fiumicino, la Sanità, il Cncn, la Fcdcrcon- sorzi. V. tanti altri scheletri cancellali dalla memoria storica, ma Utili da ricordare per cogliere il momento in cui il giudice si attribuisce poteri clic fino ad allora non si era sognato di avere. Lo scontro duro è nel 1973: c'è la crisi petrolifera e manca il gasolio. Ma al largo di Genova alcune petroliere sono ferme. Un pretore, Mario Almcrighi, decide di vederci chiaro c assieme a due colleglli, Brusco c Sansa, scopre quello che tutti sappiamo: lo scandalo delle leggi comprate dai petrolieri. Restano coinvolti ministri e deputati, uomini politici c portaborse, finanzieri e oscuri mediatori. I politici corrono ai ripari e, in ventun giorni, il Parlamento stabilisce che il finanziamento dei partiti è pubblico- Ma presto i contributi statali non bastano più c si cercano nuove fonti per far quadrare i bilanci. Alcune legittime, altre meno. Lo testimoniano i processi di questi anni. Un settimanale ha fatto un censimento degli amministratori pubblici sotto inchiesta per stabilire quale partito sia più coinvolto degli altri. Una classifica del malcostume. Tutto questo ha deteriorato i rapporti tra una parte dei giudici e una parte della classe politica. Ld ha provocato un fenomeno inquietante: il formarsi sulla linea di confine tra i due poteri di una zona franca di magistrati che fanno politica, di politici che vorrebbero fare i giudici,, di toghe sporche che umiliano e lasciano umiliati. Al di là di questa incerta frontiera la folla di «apolidi», di magistrati senza tessera che non guardano, non fanno dibattiti, che parlano solo con le loro sentenze. Un grande avvocato li ha definiti ieri una sorta di «fauna» in via di estinzione. Eppure sono la maggioranza. Su di loro incombe la minaccia della riforma che fa del pubblico ministero una emanazione dell'esecutivo; una conquista del rito anglosassone che dovrà essere adattata, se proprio la si vuole, al costume italiano. Ecco, la «grande guerra» continua su questi principi. Da una parte i politici che non tollerano invasioni di campo, dall'altra i giudici preoccupali di perdere gli spazi conquistati. Di questa contraddizione, il Csm ha vissuto gli echi ed è stato la cassa di risonanza. Ma ha anche mediato contrapposizioni e polemiche. Soprattutto negli anni in cui il giudice ha svolto un ruolo di supplenza ufficiale, voluto dal potere. Valga per tutti l'esempio del terrorismo e della legislazione premiale. Un giudice, riflettendo a voce alta, si chiedeva ieri mattina se sono stati soltanto i giudici ordinari a svolgere un ruolo di «supplenza». Un allusione chiara alla Corte Costituzionale, costretta tante volte ad emanare sentenze interpretative o additive, non previste dalla Carla repubblicana, ma pure necessarie per evitare vuoti legislativi., Roberto Martinelli Roma. Una immagine della riunione del Consiglio superiore della magistratura avvenuta giovedì pomeriggio e presieduta dal vicepresidente De Carolis (quinto da sinistra) (Telcfoto Ansa)

Persone citate: Alfredo Biondi, Brusco, Cossiga, De Carolis, Domenico Marafioti, Giuliano Vassalli, Guglielmo Negri, Mario Almcrighi, Mauro Mcllini, Sansa

Luoghi citati: Roma