Unesco, il malessere dell'utopia smarrita di Emanuele Novazio

Unesco, il malessere dell'utopia smarrita OSSERVATORIO Unesco, il malessere dell'utopia smarrita C'è, nella sede parigina dcll'Unesco, la forza del simbolo, l'evidenza delle grandi raffigurazioni. Quando Pier Luigi Nervi, Marcel Breuer e Bernard Zerfuss idearono il palazzone in cemento e vetro di place Fontenoy, quando Picasso gli regalò un affresco, diedero traduzione fisica, concreta, a un grande progetto: la rinascita della cultura occidentale dopo le tragedie della guerra, gli incubi nazisti. Era, quello, il momento delle rifondazioni, delle attese; c'era il bisogno di scrollarsi di dosso gli insopportabili pesi di un passato fosco, cupo; l'Europa e l'Occidente erano percorsi dal fervore illuminista che segue i grandi turbamenti, le grandi prove dolorose. Il senso della crisi d'oggi è tutto lì, in quell'austero monumento a un modo di pensare, di leggere la storia e il mondo. L'uscita della Gran Bretagna dall'Unesco, un anno dopo quella degli Stati Uniti, nasce infatti dal naufragio del Progetto, è lo sbocco naturale di un'illusione durata poco: quella che, nell'immediato dopoguerra, faceva della cultura occidentale e dei suoi riferimenti storici e politici l'anima dell'oOrganizzazione delle Nazioni Unite per la scienza, la cultura e l'educazione». Il senso della crisi è, anche, negli equivoci che segnarono, quarantanni fa, la nascita di quel progetto. Nelle contraddizioni che l'accompagnarono. 1 germi delle future debolezze, allora, c'erano già tutti, i paradossi anche. Le ambizioni di universalità, intanto. L'atto costitu¬ tivo fu firmato da venti Paesi, oggi aderiscono in 161. E la maggioranza è di recente indipendenza: Paesi poveri, del Terzo Mondo, con riferimenti e radici quasi sempre estranei ai valori europei e americani. In quarant'anni, ('«asse» culturale — e politico — dell'Organizzazione si è spostato. Da ristretto club di nazioni omogenee, l'Unesco è diventata un'immensa platea mondiale. Dove, per giunta, il diritto di veto non esiste, e quello di voto è uguale per tutti, indipendentemente dalle quote versate al bilancio (gli Stati Uniti, col 25 per cento del totale, o la Gran Bretagna, col cinque, contavano quanto le Figi, da questo punto di vista). Non stupisce, quindi, che tra le accuse di Londra e Washington ci fosse quella di «propaganda», che dell'uni¬ versalità c la degenerazione, l'escrescenza corrotta. Non stupisce neppure che altre accuse (le più invocate) parlino di «politicizzazione». L'irruzione di tanti Paesi «nuovi», l'arrivo di un Segretario Generale ambizioso e «africano» come Amadhou M'Bow (estimatore dello statalismo sovietico più della democrazia liberale), hanno alterato equilibri, modificato priorità e interessi. Nel progetto originario, termini come educazione, pace, libertà, volevano dire per tutti la stessa cosa. Oggi hanno due, tre, dieci significati. Passano attraverso altre mediazioni, rincorrono altri modelli. E adesso? Con l'uscita della Gran Bretagna si aggraveranno i problemi immediati: insieme, Londra e Washington assicuravano all'Unesco il trenta per cento delle sue risorse. Ma, soprattutto, dilagherà il malessere di quanti, pur ostili alla conduzione attuale, cercavano una trasformazione interna. Aumenterà lo smarrimento di chi, tra gli occidentali, voleva salvare il grande progetto, l'idea originaria. Crescerà l'imbarazzo di coloro che assisteranno, impotenti, al rinnovato rigoglio dell'influenza dell'Est e del Sud (l'Unione Sovietica è ormai il maggiore contribuente dell'Organizzazione). E' l'estremo paradosso dcll'Unesco: nato per comunicare, sviluppatosi intorno alla parola, cade vittima della confusione di lingue c linguaggi. L'illusione di poter coniare un esperanto culturale è caduta, forse per sempre. Emanuele Novazio

Persone citate: Bernard Zerfuss, Fontenoy, Marcel Breuer, Picasso, Pier Luigi Nervi