L'anno della vittoria

L'anno della vittoria IL NUOVO ROMANZO DI RIGONISTERN L'anno della vittoria Pubblichiamo in anteprima un capitolo di L'anno della vittoria, il nuovo romanzo di Mario Rigoni Stern che sta per uscire da Einaudi. E' la piccola ma intensa epopea di una famiglia e dì un paese dell'Altopiano di Asiago dal 1918 all'inverno successivo. Matteo e i suoi non trovano il regno degli urogalli, né case, né prati, né boschi, ma una distesa lunare di macerie. Il faticoso ritorno alla vita avviene* tra tensioni che annunciano le prime violenze fasciste. Cercava di andare dove non vedeva soldati, evitava la strada provinciale che era stata sgomberata dai materiali abbandonati dagli austriaci in ritirata e sommariamente riparata dai soldati del Genio per permettere il passaggio dei reparti addetti al recupero dei cannoni e delle polveriere, e di quelli che inseguivano il nemico per le valli del Trentino, Matteo aggirava i' reticolati e le grandi miche, saltava le macerie badando dove mettere i piedi. All'Orni, dove il ponte scavalcava il Grabo dei Pcnnar, stava ancora un soldato di guardia e, per evitarlo, scese in un camminamento e passò sotto il ponte. Qui sor to, lungo le volte in muratura, erano ammucchiati a catasta cadaveri di soldati italiani austriaci; con una mano copri la bocca c il naso, con l'altra fece schermo agli occhi e uscì fuori dall'altra parte, verso il paese. Ma non passò per il paese dove vedeva aggirarsi dei sol dati con i loro ufficiali, e quando giunse dietro le rovine della Villa Baldin, per il corso del torrente Ghelpach e la strada della Kerla si avviò, per la contrada Ebene. Dietro dossi e per la strada erano abbandonati sulla terra cavalli dilaniati dalle bombe, carriaggi capovolti, cassoni di munizioni, armi, zaini, borse, ma schcre antigas e i corpi senza vita dei soldati austroungarici che due o tre giorni prima erano stati inseguiti sulla via della ritirata dal tiro delle artiglierie. t Voleva correre via, ma non aveva più la forza per farlo e, del resto, i suoi occhi e il suo naso si erano anche un poco assuefatti. Ancora un poco sarebbe stato a casa! Non accorse dei tre soldati inglesi morti e semicoperti da un telo, stesi accanto alle macerie delle case dei Ballot, non vide nemmeno la pattuglia che scendeva dal Moor e che scortava otto prigionieri che portavano quattro barelle. La sua casa non c'era più c il luogo dove sorgeva era un mucchio di sassi rotti e travi annerite, e l'orto più in basso era diventato un cimitero dove croci di legno sghembe o spezzate se gnavano i tumuli dove nel 1916 e nel 1917 venivano sepolti i soldati italiani che motivano nell'ospedale da campo che era sorto poco lontano, nelle case dei Chescie. Dopo essersi fermato guardare la linea dei monti e delle colline e aver visto affiorare il troncone del vecchio ci liegio che cresceva accostato al muro della stalla, si convinse che il luogo era quello. Risalì allora, il cumulo di macerie con le mani incominciò a spostare i sassi e le travi carbonizzate. Buttava via con furia ogni cosa morta che gli capi tava, come se là sotto dovesse esistere ancora qualcosa di vivo da salvare. Trovò un pezzo del telaio della finestra, ferri contorti del letto dei genitori, i resti bruciati del piumino, una pentola schiacciata e poi, sotto un'asse, la bambola di pezza con la quale giocavano le sorelline, Era ancora intatta, forse l'unica cosa che ancora rimaneva e le ripulì viso e le vesti. Sul viso apparvero la bocca ricamata con la lana rossa e gli occhi fatti con la lana nera e celeste. Sulla veste di lino c'erano ancora le impronte lasciate dalle manine delle piccole quando giocavano vicino al focolare. Gli venne da piangere, ma con il dorso della mano ricacciò le lacrime; mise la pupa sul punto più alto delle macerie e poi sentì tanta sete, una grande sete, e si ricordò che poco lontano doveva esserci la sorgente del Prunnele. Avrebbe buttato ancora acqua dopo tutto quello che aveva subito la terra? Cercò un recipiente per attingere, camminò attorto e dietro il Grabo dove gli bq austriaci avevano piazzato una batteria di cannoni. Trovò quanto cercava perché poco lontano dalle postazioni dei pezzi, i soldati avevano scavato i ricoveri addossati al terrapieno costruito in antico per arginare le acque del Madarelo; e lì dentro i ricoveri c'erano tavole, sgabelli, giacigli, coperte, stoviglie di ferro smaltato. Raccolse una gavetta per andare ad attingere è quando si presentò all'imboccatura della nascente rimase sorpreso di trovare il Prunnele pulito e in ordine e, posata su un sasso, la cazza di rame che da sempre nella sua casa era stata appesa accanto ai secchi per attingere l'acqua e bere, Bevette avidamente attingendo due volte e gli sembrava che quell'acqua fosse la mi gliore di ogni altra; ma ancora non sentiva sazia la sua sete e ancora attinse. Le ore del giorno erano corse via senza che se ne rendesse conto; le ombre della sera scendevano dal Mosciagh verso il Moor e il Kranzenarecchè; laggiù, tra le macerie del paese, senti una tromba che chiamava l'adunata per il rancio. Ritornò a sedersi sulle macerie della sua casa con accanto la bambola di pezza e in mano la cazza di rame;, un pettirosso venne a posarsi sul troncone del pruno come per fargli compagnia. Quando si alzo era quasi buio; dal bosco distrutto di Gallio si levò la luna piena tra gli scheletri degli alberi e lui lentamente si avviò verso i ricoveri degli austriaci. Entrò, e ricordandosi che prima aveva raccolto e messo in tasca un pezzo di candela, lo cercò e l'accese. Dopo quanto aveva visto durante la giornata, questo rifugio gli pareva una tana per animali selvatici, anche se conservava ancora un barlume di presenza umana. Cercò uri posto per sdraiarsi e dormire e con la candela in mano guardò negli angoli e sulle mensole. Da una branda raccolse un tascapane; sgocciolò la candela sul tavolo e la fissò lilla cera calda, si sedette su uno sgabello e frugò nella borsa. Nel mettere dentro la mano un topo gli sgusciò tra le dita, ma da lì levò fuori una pagnotta, una scatoletta di sardine e una cartolina illustrata. Aperse la scatola di sardine e lentamente incominciò a mangiare intingendo il pane duro e acido nell'olio. Dopo, con curiosità, prese la cartolina e per quel poco di tedesco che aveva imparato dal padre quando parlava con gli altri emigranti eisenponnar e dall'antico dialetto che tra loro parlavano i nonni, lesse stam pato sotto l'immagine di un paesaggio con una chiesa, un lago e montagne: Ein Gross voti Kàrnten e sul retro, scritto con caratteri latini leggeri e chiari: An Herrn Fanrkh Walter Kumer — 9' IR Regimai! Peldartìlkrie — Feld Post. Lesse seguendo con il dito e computando le parole a voce alta come fosse a scuola: Wir ervarlen Dicb so scimeli wie moglicb zu Hause. Marna Papa. A casa, anche loro a casa. I nemici. Ripensò ai cadaveri che aveva visto tra le une e le altre trincee, a quelli sotto il ponte dell'Orht e si augurò che anche l'alfiere Walter Ku mcr fosse già a casa. Si alzò dallo sgabello e si stese sul primo giaciglio che trovò; si coperse alla meglio e spense la candela. Ma non riusciva a -prendere sonno, forse era troppo stanco e troppe cose avevano visto i suoi occhi; allora pensò al nonno t alla madre che certamente erano ancora alzati ad aspettarlo laggiù nella casetta del Prà del Giglio, alle sorelle, alla bambola che avrebbe riportato loro. E suo padre? Dove era suo padre? Da un mese non avevano nessuna notizia; forse era morto anche lui, come quei -soldati; fórse era priglbriièrò; o forse inseguiva gli austriaci su per le valli.del TiroIo. Sentì un topo passargli sul viso e con una mano lo scacciò; mise la testa sotto un pezzo di tela e se lo tenne stretto attorno £ aderente, lasciando appena un piccolo buco per respirare e, finalmente, in quella prima giornata di pace, si addormento profondamente come un sasso sotto il muschio. Mario Rigoni Stern

Persone citate: Baldin, Ballot, Einaudi, Feld, Gross, Mario Rigoni Stern, Walter Ku

Luoghi citati: Gallio, Trentino