Oasi dell'arte perduta

Oasi dell'arte perduta EL-FAYYUM E LA PITTURA GRECA Oasi dell'arte perduta qsicamente la grande produzione pittorica degli antichi Greci? Quale fu, tra i capolavori di Polignoto, Zeusi, Parrasio e Apelle, a vivere più a lungo? E dove finì?. Fu a Roma, in un palazzo o tempio abbandonato e fatiscente, oppure a Costantinopoli? C'è da supporre che, come accadde per numerosi capolavori della statuaria, molti tra i quadri più celebri e insigni fossero stati portati (anche per motivi di sicurezza) entro la capitale dell'Impero di Oriente: e 11 cosa accadde? Quando i Crociati saccheggiarono nel 1204 la favolosa città, potettero ancora vedere i prodotti di qualcuno dei pennelli cosi esaltati e cosi conosciuti dagli antichi scrittori? Oppure, tutto era già andato perso per vecchiaia, per cattivi restauri, per negligenza, se non anche distrutto dalle fiamme della rivolta di Nika, del 532 (quando un colossale incendio divorò il centro della città di Costantino, compresa gran parte del Palazzo Imperiale)? Potranno sembrare, queste domande, oziose e vane, se non riguardassero quello che è stato, certamente, il più grande naufragio della civiltà figurativa di ogni tempo: la pittu- • ra dei Greci (che vedevano l'arte in chiave cromatica, comprese le sculture e le architetture, tutte dipinte e sfolgoranti di colori) e per noi un mondo scomparso per sempre, e del quale e persino difficile farsi un concetto anche generico e sommario. Immaginiamoci (per dare un'idea della catastrofe), che in seguito a guerre, depressioni economiche, mutamenti religiosi e culturali, fossero distrutti /////; i dipinti prodotti in Italia dal Duecento in poi, compresi tutti i cicli di affreschi, dalla Cappella degli Scrovegni e da Assisi, giù sino alle Stanze, alla Sistina, a Guido Reni a Tic-polo; e immaginiamoci che della grande civiltà pittorica del Gnqueccnto fossero avanzate soltanto le ceramiche dipinte di Deruta, di Casteldurante e di Faenza, prodotti cioè che spesso riflettono, nelle tipologie e nelle composizioni da cui sono decorati, spunti e invenzioni della grande pittura. Come potremmo farci un'idea della Scuola di Atene o della Battaglia u Costantino guardando un qualche piatto in ceramica, che mostra una derivazione di seconda mano dal repertorio di Raffaello? Il rapporto tra la grande pittura greca, parietale o di cavalletto, e la ceramica greca (che ci è pervenuta in gran quantità) è molto simile a quella che, nel Rinascimento Italiano, si stabili come si è detto. ★ * Né giova l'esistenza dei cicli etruschi nelle tombe affrescate o di quelli campani: cose provinciali, lontane dai grandi centri artistici dell'Eliade che in nessun modo possono giovare alla ricostruzione ideale dei modelli o dei prodotti dei sommi artisti di Atene, Corinto, Delfi e Olimpia. E neppure vale la decorazione parietale romana, che rimane decorazione e nient'altro (come in una piccola città quale fu Pompei) anche se molto spesso riflette nei modi di un artigianato, assai alto come livello di qualità ma ir-, rimediabilmente derivativo, prototipi di cui si intravede a stento la straordinaria ricchezza di invenzione. Su questo punto andrebbero rilette certe acutissime letture effettuate, sui testi pittorici pompeiani, da Ranuccio Bianchi Bandinelli; quella sulla cosiddetta Villa dei Misteri resta esemplare. 1 Uno dei ritratti «del FayyumLo svolgimento della grande pittura greca dovette essere assai complesso, ricco di problemi e di soluzioni formali, non meno della pittura italiana tra il Due e il Settecento: a me sembra assai probabile che a un certo momento venissero scoperti i principi (poi smarriti alla fine del mondo classico) della prospettiva ragionata, cioè basata su dati scientifici. Ma ciò che è stato scoperto alle falde del Vesuvio o tra le rovine di Roma non ci può dir nulla su questo punto, né ci può illuminare su quelli che dovettero essere l'impasto pittorico, il ductus della pennellata, i rapporti chiaroscurali, in una parola la trama dei modelli perduti per sempre, oramai da secoli e secoli. Curiosamente, è da un angolo remoto della provincia dell'Impero romano che ci sono pervenuti, fortunosamente, alcuni dipinti su tavola o su tela, anche se il loro soggetto è limitato al ritratto, maschile o femminile. Eseguiti a tempera o a encausto (fissati cioè con la cera invece che con l'acqua), oppure secondo una tecnica mista, questi ritratti ammontano oggi a molte centinaia, sparsi in Musei e raccolte private in tutto il mondo; la loro data si scala tra il primo e il quarto secolo dopo Cristo. Generalmente vengono chiamati Ritratti del Fayyum, dall'Oasi di El-Fayyum (situata nel deserto libico a circa 30 km dal Nilo), da dove provengono numerosi esemplari; ma ritrovamenti analoghi sono stati effettuati anche in altre località dell'Egitto. Benché almeno due pezzi fossero già noti in Europa nel Seicento, fu soltanto dal «colo scorso che si susseguirono le scoperte; più di recente, questa assai singolare testimonianza del mondo antico ha attirato l'attenzione di un pubblico più vasto dei soli specialisti, i quali, da parte loro, hanno dato il via a studi assai profondi e ad un'opera di catalogazione capillare. Anni fa, nel 1977, usci presso le edizioni svizzere di Fontainemore un bel volume, L'Oeil de l'Eternit/ (dovuto a Jacques-Eduard Berger e a René Creux), nel quale è riprodotta una ricca scelta di pezzi significativi; è recentissimo invece El-Fayyum, un volume edito da Franco Maria Ricci (del quale esito a dire dopo l'acuta, intelligente recensione dovuta al Direttore del Museo Egizio di Torino, Anna Donadoni, apparsa nel numero 27, ottobre 1985 de // Giornale dell'Arte). Introdotto da Klaus Parla sca (che è il massimo specialista dell'argomento e al quale si deve il Corpus di questi ritratti edito da Bretschneider) il libro contiene una trattazione sulle scopette c sui connotati religiosi c ideologici impliciti in tali dipinti, dovuta al Berger; infine Rosario Pintadi presenta in traduzione un'antologia di papiri che riguardano la vita d'ogni giorno nelle piccole città e nei villaggi egi ziani all'epoca che corrisponde a quella dei personaggi raffi gurati, e le cui effigi si sono m», datato circa al 140 d. C. e , a e o , o ò l salvate grazie al clima secco e desertico della regione e al l'abbandono millenario di molte località. Ma a cosa servivano questi ritratti? Essi etano collocati nelle mummie in corrispondenza del volto, e non mancano esemplari (a Copenhagen ad esempio o nel British Muscum) che si presentano ancora integri; in genere, le tavole o tele dipinte sono oggi isolate come opere a sé stanti. Furono, questi ritratti (talvolta potentissimi e di indescrivibile fascino), eseguiti quando la persona era ancora ih vita? E. una delle tante domande poste da reliquie cosi rare e cosi preziose. * * Ciò che all'occhio dello storico dell'arte fa più colpo-.è che, pur trattandosi di prodotti artigianali di località periferiche del mondo antico, i ritratti del Fayyum presentano spesso un impasto pittorico di straordinaria ricchezza e complessità, una tecnica molto sofisticata, un percorso del pennello degno di artisti consumati: è in tale senso che il volume edito dal Ricci si raccomanda, perché i dipinti vi sono riprodotti con una lucida fedeltà che consente di leggerli nel loro tessuto formale, spesso persino nello spessore del pigmento cromatico e nelle screpolature. Per tornare dove abbiamo iniziato: se ai margini della civiltà greco-romana una tradizione artigianale toccava tali vette, cosa dovette essere la grande pittura in Atene, Alessandria, Antiochia e Roma? Federico Zeri