La Spagna dall'oro alla peste

La Spagna dall'oro alla peste La Spagna dall'oro alla peste CARLO V e suo figlio Filippo II furono i più potenti sovrani della loro epoca e sotto il loro dominio la Spagna diventò il Paese più possente d'Europa conoscendo il periodo più grande della sua storia. Carlo fu sovrano della Spagna a partire dal 1316; Filippo dal ISS6 alla sua morte nel 1598. Durante i loro regni, questo è particolarmente importante, la Spagna ricevette una impronta che doveva segnarla durevolmente anche dopo l'inizio della sua decadenza nel corso del XVII Secolo. J due libri che intendo qui segnalare sono in certa misura complementari. L'uno, dello studioso inglese Qeoffrey Parker, Un solo re, un solo impero. Filippo II di Spagna, è una biografia; l'altro, del francese Bartolomé Bennassar, Il secolo d'oro spagnolo, è un ampio e articolato affresco del periodo che va dagli Anni 20 del Cinquecento al 1648 (anno della pace di Westfalia, che vide la cris\ definitiva della potenza militare di una Spagna già in decadenza politica, sociale ed economica). Conviene Iniziare dall'esame dell'opera del Bennassar, la quale ci dà un inquadramento , generale della società spagnola all'epoca del suo maggior splendore. Il •secolo d'oro* fu tale in senso reale e in senso metaforico. In senso reale perché il Paese venne straordinariamente arricchito dall'afflusso dei metalli preziosi proveniente dalle Americhe; in senso metaforico perché l'oro palpabile si mutò in mezzodeterminante di grandezza politica, sociale, culturale , e religiosa. La Spagna di Carlo e Filippo diede vita ad una vera e propria forma di civiltà. Centro del più vasto impero del tempo, la Spagna si dqtò.deltàfrjnoder-.^ no apparato statale est-" stente, costruì una potenza militare senza eguali, unì Stato e Chiesa in un ■connubio che formò il Note sul costume, d principale baluardo contro l'*eresia* protestante, fece dello spirito controriformistico la base dell'unità ideologica degli spagnoli. B poi la grandezza dell'arte: letteratura, pittura, architettura, oreficeria, lavorazione artistica del ferro, e anche musica; un'arte animata dal senso della maestà della monarchia, dominata dal fervore religioso, e pagata anch'essa per gran parte dall'oro e dall'argento delle Americhe. Ma il lato scintillante del secolo d'oro aveva il suo rovescio oscuro. La ricchezza troppo fondata sui metalli preziosi alimentava lo spirito di rendita, il lusso sfrenato della nobiltà e dei suol imitatori, una potenza militare non radicata in una economia nazionale adeguata. Lo spirito religioso si chiudeva troppo nel fanatismo e nella repressione. Mentre iit Inghilterra, nei Paesi Bassi, in parte della Germania e dell'Italia del Nord lo spirito di intrapresa capitalistica, l'attivismo (esaltato nei Paesi protestanti dal calvinismo), indicavano una nuova frontiera economica e culturale, in Spagna nasceva lo •spagnolismo*: un piacere della grandiosità, dell'esteriorità, del vivere di rendita, della retorica, un insieme di costumi che doveva provocare una accentuata vocazione al parassitismo come stile di vita e al conformismo come stile mentale. Il Bennassar chiude il suo libro proprio sul trasformarsi dell'oro facile in peste umana e sociale:. «L'oro e l'argento hanno creato l'illusione, hanno prodotto con la stessa ventata la grandezza del Paese, 11 suo apogeo e 11 suo declino». Dal canto suo il Parker, fondandosi su un apporto di documentazione inedita, ricostruisce la vita di Filippo II, il sovrano della Spagna al massimo del suo fulgore; mettendo in primo plano l'ut- ' tivìtà politica, del re ma anche molto concedendo agli aspetti più strettamente privati: vita coniugale, figli, vita e intrighi di corte, svaghi, ecc. (per quanto questi aspetti potessero avere carattere privato nella vita di un sovrano assoluto). Si tratta di una biografia che non indugia molto sul più ampio contesto storico e sociale (e per questo il libro precedente ha un carattere così complementare) e che è tutta raccolta intomo alla figura del re. Parker ci mostra un Filippo II dai tratti degni di ammirazione: grandissimo lavoratore, scrupoloso, che si dedicava con un altissimo senso del dovere al disbrigo degli affari di Stato, uomo appassionato di arte, devòto agli obblighi connessi al suo rango. Ma ci mostra anche un sovrano posseduto da una idea dell'assolutismo e della missione politica e religiosa • della Spagna nel mondo che conteneva in sé i germi di una necessaria decadenza del Paese. Filippo voleva fare della spada e della croce, della fotta del suol invincibili terclos, della sua flotta, e dell'Inquisizione, gli strumenti del suo potere monarchico e della riconquista cattolica in Europa. Dare unità politica e religiosa al suo impero, ricacciare protestanti e turchi fu la sua ossessione e quella della classe dirigente 'Che lo circondava. • Ebbe trionfi grandissimi, come Lepanto. Ma, in ulti- ■ ma analisi, i modi stessi della grandezza del suo regno misero già in luce le cause del declino Iniziato subito dopo la sua morte. Per dare unità alia Spagna, assaltò, perseguitò, disperse e uccise ebrei e .musulmani, che costituivano una vera élite nei campi della finanza, del ■ commercio e dell'agricoltura; appoggiò l'Inquisizione così da fare della caccia all'eresia una passione nazionale. Le sue mire imperiali subirono due gravi fallimenti. Vide sorgere contro di sé la rivolta dei Paesi Bassi e tutta la violenza della macchina militare spagnala non fu sufficiente a impedire la nascita di una entità cosi estranea allo •spagnolismo* come la repubblica calvinista. Co' nobbe la disfatta della sua flotta, l'Invincibile Armata, nel 1588 ad opera degli inglesi e degli olandesi. E' dunque comprensibile che Parker arrivi a concludere che 'il più grande successo* Filippo II lo ottenne non nel vecchio, ma nel nuovo mondo, dove consolidò il dominio coloniale spagnolo secondo linee destinate a durare per secoli. Massimo L. Salvador! Bartolomé Bennassar, «Il secolo d'oro spagnolo», «Uzzoli, 381 pagine, 28.000' lire. 7. Géóffrer'Pàtflter, «TW solo re, un solo Impero. Filippo II di Spagna», il Molino, ?65 pagine, 25.000 lire.

Persone citate: Bartolomé Bennassar, L. Salvador, Lepanto