Il prete di Garibaldi

Il prete di Garibaldi \ CENTENARIO DI GIOVANNI VERITÀ' Il prete di Garibaldi \ Il funerale di don Giovanni Verità — i) prete che aveva salvato Garibaldi nell'agosto 1849 — rappresentò un momento di «apoteosi» per l'Italia laica, anticlericale e massonica, di un secolo fa. Otto giorni di preparazione (il sacerdote, che aveva guidato la «trafila» romagnola al generale scappato alla fine della Repubblica romana, era morto il 26 novembre 1885, ma solo il i dicembre fu possibile a Mo-' digliana — la sua piccola patria — svolgere le celebrazioni funebri). Decine di labari democratici, di stendardi massonici, di bandiere repubblicane, di vessilli delle società operaie. Centinaia di camicie rosse intrecciate coi ritratti di Mazzini a prevalente sfondo nero, quasi a ricomporre le polemiche fra i due padri del Risorgimento popolare e democratico. E nessuna partecipazione] della Chiesa cattolica. Non il suono di una campana,' non la tonaca di un sacerdote. Le chiese e i conventi sbarrati: compresa quella canonica in cui il sacerdote — mai condannato da Roma nonostante il salvataggio dell'eroe scomunicato e «vitando» — aveva svolto fino a poche settimane prima la sua esemplare opera di assistenza ai fedeli ' («non aveva rinunciato alla messa neanche un giorno, neanche nei due giorni in cui aveva nascosto Garibaldi»; testimonieranno i suoi compaesani). Come si è arrivati a quell'epilogo che, se conosciuto da Guareschi, avrebbe arricchito la tavolozza di don Camillo e di Peppone, anticipandone i tempi? Una contesa, tutta italiana, intorno a un morente. Ammalatosi gravemente, ai primi di novembre 1885, il popolare sacerdote, la gerarchia ecclesiastica ebbe una sola preoccupazione: che ' la sua morte segnasse la pace non solo col suo Dio, mai rin negato, ma anche col Papato, contestato e discusso almeno .nella sua versione temporale.'. Di qui una processione di ecclesiastici. PrimsL, in. visita quasi solenne, ma con un sottinteso di auspicata «riparazio ne» degli sgarbi recati al pontificato, il vescovo di Modigliana, che era un francescano ondeggiante fra l'indulgenza del suo Ordine c le direttive della gerarchia (quella fetta d Romagna toscana, che sarà cara a Valgimigli e che oggi è in tutti i sensi Romagna, dipendeva ancora da Firenze), Poi varie visite del parroco, don Giovanni Tfaversari, incline a tutto perdonargli, anche per la disarmante e specchiata bontà dell'intera vita. Il 19 novembre sembra .quasi, sullo sfondo di quello scenario aspro e appennico, che Chiesa e Risorgimento si riconcilino. Il priore si reca a portare il viatico all'infermo. Tutta la popolazione lo segue, fermandosi in preghiera presso la porta, Ma quando si avvicina al letto per somministrare l'estrema unzione, don Verità accenna a parlare. '•* * E' sfinito; le parole sgorgano lentamente. Ricorda di essere nato nella religione di Cristo e di voler «morire in essa". Ma aggiunge — con pa-;; role tremanti e pure di indubbio significato: del resto le ha scritte e sottoscritte — di ri-: 'fiutare «la religione deturpata dal mondo e dai suoi ministri», di non volere «altro sangue a causa dell'ambizione, prepotenza e crudeltà» di quei ministri, cioè dei rappresentanti del Papato temporale. Termina, in mezzo allo sbalordimento dei presenti, citando quasi col tocco di una preghiera «i detti di Cristo»: «Il mio regno non è di questo mondo. Date a Cesare quel che è di Cesare». Il priore fa finta di non capire. Formula qualche domanda ispirata al «compendium fidei». E l'altro risponde «Credo, credo». Il parroco a quel punto, lo comunica. Nei giorni successivi: una vera commedia degli inganni. Il vescovo che sconfessa il parroco; un tentativo di ritrattazione su don Verità che non ottiene alcun effetto. «Non bo nulla da ritirare, non ho nulla da spiegare». E il conseguente veto a funerali religiosi. La massoneria, giubilante, riceverà in donò' la memoria di un sacerdote, che mai il magistero aveva osato colpire durante una vita tutta spesa all'interno della Chiesa. Un sacerdote non eretico né ere¬ siarca. Un parroco di glia, con un fondo di campatraspa- rentc innocenza e di illimitato candore. Poco approfondito negli studi teologici; espressione di un clero che Oriani definirà «ignaro prima ancora che ignorante». Figlio di un ufficiale napoleonico, don Giovanni ha 23 anni quando scoppiano i moti " Romagna del 1830-31, quelli in cui si mescolerà — dietro drappo carbonaro — anche Luigi Napoleone, il futuro Napoleone III, in comunione con Felice Orsini, che si vendicherà nel 1858 del tradito giuramento di setta. E' portato simpatizzare per i patrioti, me i sacerdoti del Mezzogiorno, spesso massoni, dieci anni prima, lano. nei moti del No- * * ; E' prete liberale; diventa presto cospiratore. Nel 1845 organizza il primo moto delle Balze, alle frontiere fra Toscana e Stato Pontificio. Sono i mesi in cui d'Azeglio scrive i «casi di Romagna». Fallisce; è detenuto in prigione a Firenze per qualche mese. Liberato, condivide le ebbrezze e i deliri del neo-guelfismo. Plaude a Pio IX e, senza contraddirsi, si schiera con Garibaldi. E' l'artefice decisivo del salvataggio del generale, che ha perduto Anita, all'inizio dell'agosto 1849, nelle complici pi- netc di Ravenna. Nasconde Garibaldi; lo fa fuggire verso la Liguria, sottraendolo a tutte le milizie austriache pullulanti fra Romagna e Toscana. Una beffa vittoriosa e per molto tempo avvolta nel segreto di una larga trama popolare, la «trafila» romagnola. Dopo il '59, è per brevi mesi deputato all'assemblea nazionale di Firenze; poi cappellano militare. Come tale partecipa all'infelice guerra del '66, conosce tutte le debolezze e le sventure della nazione ap- r pena nata. , Ancor prima, nel '59, sperando di poter marciare su Roma, Garibaldi gli aveva detto: «Là tu sarai eletto Papa». Ma il semplice e umile canonico non sarà mai traversato da sogni di grandezza o di rivolta. Non scorgerà, puramente e semplicemente, nessuna antitesi fra patria e fede, fra libertà e religione. Crederà sempre — fino a quel tormentato epilogo — di essere insieme buon cittadino e buon ere- i dente. Senza drammi, senza neanche lacerazioni. Nel 1881 accetterà la nomina a socio onorario del circolo «Giuseppe Mazzini» di Modigliani «Sono seguace, dirà tout court, del gran filoso/o che promosse la rigenerazione della nostra patria». Tutto gli apparirà semplice: tutto quello che era invece tanto complesso, tanto accidentato e controverso. E tutto ciò che non aveva capito cercherà di spiegarlo lo scrittore romagnolo bizzarro e geniale, il «grand'uomo del villaggio» come lo chiamerà Gaetano Salvemini conversando con Piero Gobetti, cioè Alfredo Oriani. Casola Valsenio, la sua patria, prega Oriani di rappresentarla ai funerali, se possibile di parlare. Lo scrittore saivatico e intrattabile esita. I giovani del luogo vorrebbero anche che portasse uno stendardo della società operaia, Lui rifiuta; il - calesse è troppo piccolo. E quel calesse si rovescerà, sulla strada irta e disagevole. Oriani sarà ferito. In ospedale scriverà le centocinquanta pagine su «don Giovanni Verità». Le più belle di un libro composito come Fino a Dogali. «La semplicità, che è l'ultima forma della verità, è anche troppo spesso l'ultima, ad essere compresa». E' detto tutto. Giovanni Spadolini