Congedo in palcoscenico di Emanuele Novazio

Congedo in palcoscenico Congedo in palcoscenico In un'atmosfera rilassata, familiare, Reagan e Gorbaciov leggono brevi discorsi - Entrambi fanno cenni di assenso col capo, applaudono assieme agli spettatori - Poi la firma degli accordi: Shultz e Shevardnadze siglano i sei protocolli in doppia copia - Mezz'ora dopo la Chaika e la Cadillac dei leader si allontanano sotto il nevischio DAL NOSTRO INVIATO GINEVRA — Quando Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov entrano nella Sala Uno, al Centro internazionale delle conferenze, sono le dieci e quattro minuti, c'è un lieve ritardo sul programma. La sala e piena, non ci sono posti neanche in piedi. Sul fondo, un cespuglio di cavalietti, fotografi e operatori tv sono decine, Entrano insieme, Reagan un poco avanti: applaudono tutti, in piedi. Si avvicinano al palco, si parlano, sorridono di¬ stesi. Poi, siedono su due poltroncine Impero coperte di raso a strisce, verde e paglierino. Vestiti tutti e due di blu, un fazzoletto bianco al taschino di Reagan, il distintivo del Soviet Supremo all'occhiello di Gorbaciov. Dietro di loro, due sedie di velluto rosso, per gli interpreti. Accanto, i tavolini di legno chiaro con i registri degli accordi. Alle spalle, sul grande sipario nero, le due bandiere, quella sovietica a sinistra. Il vertice è finito, e il mo¬ mento dei simboli, la grande apparizione. I due Potenti offrono la loro presenza al mondo, per l'ultima volta insieme nella rappresentazione avviata lunedi. Qualcuno sistema un microfono, e loro si parlano all'orecchio. Qualunque cosa scelgano di dirsi, sono d'accordo. Quando smette Reagan, Gorbaciov fa segno di sì col capo. Quando l'altro si interrompe, Reagan fa un cenno robusto. Altre volte, durante il vertice, il Presidente e il Segretario Generale erano sembrati a proprio agio, in pubblico: oggi l'aspetto è più tranquillo, più rilassato, familiare. Tocca al presidente svizzero, Kurt Furgler: trenta secondi o poco più, l'arrivederci e gli auguri del padrone di casa agli ospiti. Poi, Gorbaciov si alza. Restano, certo, elementi di disaccordo «importanti» e bisogna «essere realisti» — dice — ma i due giorni ginevrini sono stati densi, proficui: «Abbiamo fatto una gran mole di lavoro, ci siamo espressi in modo franco e aperto». Parla adagio, scanden- do bene le parole. Cinque minuti scarsi. La sala applaude, con convinzione si direbbe. Reagan batte anche lui le mani e di nuovo fa cenno di si col capo. Adesso tocca a lui. Toglie dalla tasca sinistra della giacca il testo del discorso, legge in tono un po' più concitato di Gorbaciov. Ogni tanto s'interrompe, si guarda intorno, sorride. Quattro minuti, per illustrare il senso del «nuovo inizio» nelle relazioni tra Usa e Urss, per far capire a tutti che la via è tracciata, che «si va nella giusta direzione». La sala é generosa anche con lui, saluta il discorso con calore. Gorbaciov applaude e — come prima Reagan — assente col capo. C'è tempo solo per la firma degli accordi. Compito di Shevardnadze e Shultz: sul tavolo ci sono sei protocolli, in doppia copia. Per la ripresa del traffico aereo fra i due Paesi, per l'apertura di consolati a New York e Kiev, per la sicurezza aerea nel Pacifico settentrionale, per ricerche comuni sulla fusione nucleare, per riattivare gli scambi culturali, per la protezione dell'ambiente. Shultz finisce un po' prima e attende il collega', che sembra scusarsi. Poi, strette di mano incrociate; sul palco c'è un attimo di confusione, Reagan e Gorbaciov scendono i quattro scalini, il Presidente ancora un po' avanti. Sono le dieci e ventuno. Quando, mezz'ora dopo, la Chaika del Segretario Generale e la Cadillac del Presidente lasciano il Palazzo delle conferenze, il nevischio è ripreso. La mattinata dei grandi simboli sta per finire. Emanuele Novazio

Luoghi citati: Ginevra, Kiev, New York, Urss, Usa