Norimberga, processo per il futuro

Norimberga, processo per il futuro QUARANTANNI DOPO NELLA CITTA' IN CUI SI GIUDICO' IL NAZISMO Norimberga, processo per il futuro Sul banco dove sedeva Goering oggi siede un accusato d'omicidio - Le assise aperte nel novembre '45 non volevano solo condannare i capi del Reich: da allora si distinsero le colpe degli uomini da quelle degli Stati - Scrisse Rebecca West: «I futuri guerrafondai adesso sanno che la legge potrà inseguirli» • II giudice Jackson: «Una nuova giustizia colpisca chi scatena flagelli» - Vi si è riusciti? DAL NOSTRO INVIATO NORIMBERGA — Non sono molti, nella nuova Germania, i nasuti attivi: ma, per un'ironia della sorte, un Fuhrer di questa fanatica brigata slede oggi, accusato d'omicidio, nella medesima aula dove, quarantanni fa, cominciò il «Processo di Norimberga: Eccajo li, il baffuto e barbuto Hoffman, che, con un'aria tra il biblico e il falstaffiano, ascolta un'ennesima narrazione del suoi delitto, l'uccisione, a opera di un sicario, di un editorel ebreo e della sua compagna. Siede dove sedevano Goering, Hess, Keitel, Rosenberg, Kaltenbrunner e tutte le altre star chiamate, quel 20 novembre '45, a rispondere di crimini contro intere nazioni, contro l'Intera-«fami-, glia dell'uomo». Hoffman, 46 anni, è fiero di questi fanta-t smi. Si sente parte della storia. Aula 600, nel Palazzo di Giustizia, sulla FUrtherstrasse, a una decina di minuti da quel miracolo di ricostruzione che è la Città Vecchia di Norimberga. Il 20 novembre '45, il Palazzo era tutto una ferita: quelle lasciate dai bombardieri alleati e quelle di un ultimo feroce combattimento tra carri americani e un reparto di SS: oggi tutto è lindo e ordinato, come s'addice a un tempio tedesco del diritto. Alle spalle del Justizgéb&ude, la prigione. Solo pochi muri sono gli stessi del '45: ma, della prigione, è scomparsa la palestra. La famosa palestra. Quella dove, undici mesi più tardi, il 16 ottobre '46, dieci degli accusati furono impiccati dal boia americano John Woods. Carnefice dt lunga esperienza, 347 giustiziati in quindici anni. «Mai più» Siedo nell'aula semideserta, l'interminabile processo' .- ta, l'interminabile processo 4 Vi^¥ffl&'$W?*JPìfì blico: e non e facile immagf nare questa stessa sala, oggi tranquilla, dignitosa, con i suoi pannelli di legno, i suoi allegorici marmi, le sue immense finestre, quando ospitava, oltre agli imputati e ai loro difensori, avvocati, giudici, esperti, testimoni, giornalisti delle nazioni che avevano sconfitto e distrutto il Reich di Hitler. Si era sfondato un muro per far posto alla stampa; si erano installate cabine per gli interpreti; si era convertito il banco degli accusati in una vera e propria tribuna. Aula e palazzo erano difesi da una barriera di polizia militare. Perché Norimberga? Per motivi pratici e simbolici. Sebbene le incursioni alleate avessero demolito il 90 per cento della città (la cifra è ufficiale), il suo Palazzo di Giustizia era tra i pochi sopravvissuti in Germania. Persino la prigione si era salvata. Norimberga aveva avuto, altresì, un posto d'onore nella storia nazista: aveva ospitato le colossali adunate .del partito, aveva offerto un vistoso proscenio alle truci fileggi, contro gli ebrèi. Una catastrofica parentesi in un ^mtitenniajUxo di glorie,.una. parentesi pagata cara. Anche h& rfcHttWIt con devota me* 1 nialftd, anche se prosperosa, la città di Hans Sachs, di Dùrer, del Duomo di San Lorenzo, di cento gemme, non è più quella di prima. E lo sa. Un cartello nelle vie mostra un oceano di macerie e avverte: «Norimberga '45. Che non avvenga mai più». La genesi del processo di Norimberga meriterebbe un articolo a sé. Fu un'evoluzione lunga e tortuosa, il cui prologo sembra risalire all'ottobre '41. L'America era ancora neutrale, ma il presidente Roosevelt, scosso dalla fucilazione di ostaggi in Francia, avverti che, un giorno, i colpevoli avrebbero ricevuto «una punizione tremenda». Durante lo stesso mese, Churchill dichiarava che tale punizione, «per i cri- mini commessi in tutti 1 Paesi sotto il giogo di Hitler», avrebbe costituito «uno degli obiettivi principali della guerra». Ma l'idea di un grande processo maturò lentamente. Ancora nel settembre '44, Roosevelt e Churchill, e naturalmente Stalin, valutavano i prò e i contro di sbrigative esecuzioni, di una giustizia più che sommaria. Oggi, ci si può permettere il lusso di dibattiti, etici e storici, ma allora il mondo gridava .vendetta». La Germania aveva voluto due guerre ijt trentanni e la seconda era stata una mostruosità senza pari nella storta del nostro pianeta; i tedeschi dovevano pagare; l'antica Roma aveva ragione, vae victls. Ma gli angloamericani, con il loro robusto senso del diritto, intuirono alla fine che, proprio perché si vagava in un deserto flagellato dall'odio, i vincitori non dovevano limitarsi a fucilare, a impiccare, dovevano costruire. Le Assise Norimberga dovevano essere uno spartiacque. Rebecca West scrisse: «Il processo avvertirà tutti i futuri guerrafondai che la legge potrà, inseguirli e colpirli. L'Umanità avrà finalmente una difesa contro chi vorrà tormentarla». Il 20 novembre '45 si levò dunque il sipario. Quando i protagonisti entrarono in aula, fu una delusione. Era-, no questi gli uomini che ave-, vano accompagnato Hitler nel suo viaggio di conquista, gli eroi pagani dei film di Leni Riefenstahl? I ventun accusati, anche i meno tesi, i meno depressi, parevano dipìnti tutti di grigio, un •gruppo di ragionieri a riposo», scrisse un inviato. L'uni-', ca star era Hermann Goering, nominato nel '39 successore di Hitler, prima di perdere, durante la guerra,' molta della sua influenza. Vi erano i comandanti militari, Doenttz, Raeder, Keitel, Jodl. Vi erano i diplomatici e i politici, Von Neurath, Von Papen, Von Ribbentrop, Frick (ministro dell'Interno, Protettore della Boemia e Moravia), Saucke! (ministro per la Mobilitazione della manodopera) e Speer, l'abile e scaltro ministro della produzione bellica. Accanto a Goering, Rudolf Hess, ex viceleader del partito nazista, ora accasciato, ora ilare, ora remoto. Poi Ro¬ senberg, l'ideologo del nazismo; Strelcher, il fanatico regista dell'antisemitismo, un sadico rozzo e turpe; Kaltenbrunner, capo, dopo il '43, di tutti i servizi di sicurezza, gestore supremo del campi di sterminio. Due esperti finanziari, Funk e Schacht, alternatisi quali ministro dell'Economia e presidente della Reichsbank. Due amministratori di terre soggiogate, Seyss-Inquart e Hans Frank, il primo in Olanda, il secondo in Polonia. Infine, il leader della gioventù Von Schlrach e un giornalista, Hans Fritzsche. Imputato era pure Martin Bormann, perché non esistevano prove della sua morte, lo si cercava tuttora, 200 mila manifesti lo \»invitavano» a presentarsi a ^Norimberga. I II primo a prendere la parola, dopo che i ventuno prigionieri s'erano dichiarati, tutti, innocenti, fu l'americano Robert Jackson, giudice e giurista. Un discorso magnifico, una pagina di storia. 'Jackson innalzò il processo a luna nuova e più nobile orbi-, ta, lo trasformò — o cercò di trasformarlo — in una pietra •miliare sulla strada di un nuovo diritto internazionale, ispirato dalla legge ma anche dalla moralità. «Vi dev'essere una nuova giustizia che colpisce chi si vale del suo grande potere per scatenare flagelli che non risparmiano nessuno». Jackson negava che soltanto uno Stato può essere considerato «responsabile» agli occhi del diritto intemazionale. «Oli stati non commettono reati, gli uomini si. E questi uomini non devono sottrarsi a una punizione, celandosi dietro uno Stato che non può essere processato e condannato». La trappola Jackson spezzava, altresì, l'arma più insidiosa brandita dagli imputati: nullum crimen e quindi nulla poena, sine lege. La tesi di Goering, che sosteneva, sarcastico: ' «Questa è la giustizia del vincitori. Ci giudicano invocando leggi e principi che non esistevano prima di questo processo». L'accusatore dimostrava che i leader nazisti avevano coscientemente calpestato chiari e' vincolanti accordi internazionali, quali Locarno e il patto Kellogg-Briand (Hitler, nel '37, aveva dichiarato al suoi generali: «Userò ogni pretesto per cominciare la guerra. Nessuno domanderà poi a un vincitore se aveva detto o no la verità»/ Il disprezzo totale per le norme della convivenza umana — ricordava Jackson — era implicito nella natura stessa' del regime. Lo confermavano gli immensi e scrupolosi archivi nazisti, con le loro montagne di documentazione. C'erano prove a iosa, di' ogni crimine. Dopo Jackson, gli altri accusatori: l'inglese Sir Hartley Shawcross, il francese Francois de Menthon, il russo Roman Rudenko. Ogni in¬ tervento lascia i ventuno prigionieri costernati, storditi,, impauriti. Taluni non resistono alla narrazione delle mille efferatezze e ferocie, alle testimonianze dei sopravvissuti, al film dei lager:, e si tolgono la cuffia, cercano rifugio nel silenzio. E cercano rifugio — come purtroppo continuano a. fare molti tedeschi — In un j'accuse collettivo contro le SS eia Gestapo. Himmler era l'unico criminale, noi non sapevamo nulla, forse neppure Hitler sapeva. Solo Hans Frank, dopo una prolezione di orrori, ammetteva: «Non credete alle nostre parole. Non sapevamo 1 particolari, ma sapevamo, tutti, che c'era qualcosa di spaventosamente iniquo». Il 30 settembre '46, la sentenza. Goering è l'unico che elargisce ancora sorrisi (l'ascetica prigionia gli aveva giovato. Il suo arresto, vicino a Salisburgo, aveva rivelato che era un morfinomane e si verniciava di rosso le unghie delle mani e dei piedi). Mille militari americani circondano il Palazzo. L'inglese Sir Qeoffrey Lawrence, presidente del collegio di otto giudici, legge le deliberazioni. Il giorno dopo, Sir Geoffrey annuncia le condanne. Goering è inviato al capestro: e, come lui. Von Ribbentrop, Keitel, Kaltenbrunner, Rosenberg, Frank, Frick, Strelcher, Sauckel, Jodl, Seyss-Inquart. Anche il già defunto Bormann è punito con la morte. Per Hess, Raeder e Funk, l'ergastolo. Von Schirach e Speer, vent'anni. Von Neurath, quindici. Doenitz, dieci. Tre gli assolti: Schacht, Von Papen, Fritzsche. La sera del 15 ottobre, mentre gli americani allestiscono i patiboli nella palestra. Goering si toglie la vita con una fiala di cianuro. Quasi certamente l'aveva con sé, celata o nell'ombelico •o nel retto, fin dal giorno dell'arresto. Un segreto C'è chi lo sferza per la sua •vigliaccheria», altri lo lodano per la sua .spavalderia». Ma non lo sferzano né lo lodano gli altri dieci condannati, che, poco dopo mezzanotte, affrontano il boia, senza nulla sapere della fine di Goering. Muoiono con dignità, e improvviso coraggio, su forche con tredici gradini, ucctsi da cappi con tredici nodi. Qualche agonia è troppo lunga, il carnefice ha esperienza, ma non maestria. Tutti i cadaveri, Goering compreso, vengono cremati. Le ceneri sono disperse. Dove? Il segreto è rimasto inviolato. A Norimberga, occorre ripetere, si voleva costruire per il futuro. Vi si è riusciti? Gli scettici rispondono elencando le tragedie degli ultimi quarant'anni. Ma c'è pure chi addita le più severe norme di vari accordi diplomatici e militari, chi sostiene che lo »spirito di Norimberga», quantunque elusivo, non è svanito. In Argentina, si assiste a una Norimberga nazionale. Ecco perché è importante rievocare le grandi assise in questa antica città della Franconia bavarese. Rievocarle, oggi, domani, sempre. Mario Cirieilo Il giudice americano'Robert Jackson duratile il processo 'Norimberga, novembre 1945. Goering sul banco degli imputati: prima di salire sul patibolo, si ucciderà