Il guardiano del presidente di Andrea Manzella
Il guardiano del presidente Dopo la fiducia al Senato Il guardiano del presidente Benché prevista dall'art. 94 della Costituzione, la «motivazione» della mozione di fiducia fu presto abbandonata, nella prima esperienza repubblicana, perché inflazionata dai mille temi d'interesse che ciascuna corporazione parlamentare vi voleva inserire ad ogni cambio di governo. Si andò avanti quindi, per anni, adottando per «motivazione» della fiducia le stesse dichiarazioni dei presidenti del Consiglio. Ma essa fu riscoperta nel 1981, quando si costituì il primo governo Spadolini. E fu vista e teorizzata come arma offerta al presidente del Consiglio per tenere incollata sia la coalizione di governo sia il Parlamento a un programma, ed anche ai suoi tempi, al riparo da crisi «al buio». Con quella approvata venerdì dal Senato, siamo ad una terza fase: la «motivazione» come strumento parlamentare per incollare il presidente del Consiglio alla coalizione di governo, imponendogli un nucleo duro programmatico. Insomma mentre prima il presidente del Consiglio era considerato come il cane da guardia della coalizione, ora é divenuta questa il guardiano del presidente del Consiglio. Niente di male: le oscillazioni del pendolo costituzionale italiano fra assemblearismo presidenzialismo, e le loro fasi intermedie, saranno sempre al l'ordine del giorno. Almeno fino a quando, verificando ma gari talune esperienze storiche precocemente interrotte, il si' stema non inventerà un suo definitivo equilibrio, fra governo della maggioranza e stato del l'opposizione. Tuttavia, questa situazione nuova, creatasi dopo la fiducia «motivata» del Senato, stimola almeno tre riflessioni. La prima è sulla cogenza codificata della piattaforma di coalizione. La reazione agli interventi del presidente del Consiglio ha cioè indotto il Senato koTmaTii«ltmeTJtti^*ganmzià chè'drfiduciavMa quanto questa procedura di sospetto, sia pure su un tema delimitato, può conciliarsi con lo spirito richiesto ad un moderno governo del «cambiamento», che deve essenzialmente essere uno spirito imprenditoriale, in senso politico? La seconda riflessione c sulla delimitazione della maggioranza, cosi ricreata. La ripetuta forzatura in Parlamento dell'originario accordo di coalizione, durante un dibattito fiduciario (un'operazione riuscita, nella storia della Repubblica, solo all'on. Tambroni, con gli esiti noti) ha condotto, per accumulo di mosse difensive, ad una specie di «vallo atlantico». E' una situazione di contrapposizione che tutto consiglia di rimuovere subito. L'ulteriore ingabbiatura dei ruoli, nell'attuale situazione già di «democrazia bloccata», può essere concepita come transitoria misura sanitaria contro talune manovre congiunturali sugli umori parlamentari, ma va certo contro il disegno istituzionale di fondo che vuole confini aperti con l'opposizione. La terza riflessione è sul rapporto fra il presidente del Consiglio e il suo governo. Il fatto che la maggioranza sia stata costretta, fra Camera e Senato, ad introdurre una artificiosa distinzione, all'interno di uno stesso discorso, fra dichiarazioni rese dal presidente del Consiglio nel suo specifico ruolo e dichiarazioni rese a titolo personale o come «leader» di partito, crea una pericolosa situazione istituzionale. Al di là del fatto compiuto, e sanzionato con la fiducia «motivata», cosa può avvertire infatti i ministri del governo Craxi se, ad un certo momento, i poteri di promozione e di coordinamento costituzionari del «premier» cessano, e comincia invece la sua opera di dirigente di partito? La risposta è nel feudalesimo dei ministeri, col presidente-monarca lontano e depotenziato, come antidoto ad un regime (a lunga durata) di semicancellicrato. Ma è appunto la risposta sbagliata, quella che si deve rifiutare guardando alia linea portante riformista: che vede, al contrario, nel rafforzamento equilibrato dei poteri del presidente, nella sua autonomia costituzionale, .anche rìsjfc'ho'iàl proprio partìtoiìPsu? peramento dei mali struttutiuì delle coalizioni. Come si vede, è bastato un caso parlamentare per riportare all'indictro questioni istituzionali essenziali: ma anche a farne vedere,, sotto i riflettori dello Stato-spettacolo, preoccupanti aspetti di immaturità. Andrea Manzella
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