Cattivi Pensieri di Luigi Firpo

Cattivi Pensieri Cattivi Pensieri di Luigi Firpo Se mercoledì scorso avete sentito nell'aria uno scricchiolio sinistro, niente pau-, ra: erano solo le ossa di Giuseppe Mazzini che si rivoltavano nella tomba di Staglieno. Questa mia finestrella si apre alla domenica, sicché tante volte mi accade di sentirmi come un ciclista che arriva fuori tempo massimo. Quello che avrei voluto dire — e che meglio di me è stato detto da Galante Garrone, da Valiani e da parecchi altri storici del Risorgimento — è che l'imputare a Mazzini una giustificazione del terrorismo suona offesa alla memoria di uno dei padri della patria, non meno che alla verità storica. Mazzini organizzò azioni di rottura e colpi di mano, ma contro l'autorità impersonata dagli oppressori: sarebbe inorridito all'idea di sparare nel mucchio, sacrificando vittime innocenti. Il richiamo è dunque frutto di confusione, e se a qualcuno ha fatto torto, si è trattato di quei deputati che si bevvero l'autorevole citazione ed ebbero il coraggio, tanto appassionato quanto incolto, di applaudire. Venerdì poi l'on. Craxi ha sfumato le tinte, dicendo che parlava di Mazzini come sostenitore del diritto di resistenza dei popoli che chiedono una patria, come assertore di una violenza giusta, in ciò coonestato nientemeno che da un'enciclica di papa Montini. Un gesto di pace verso l'edera da una parte e lo scudo crociato dall'altra. Citazione per citazione, se l'on. presidente del Consiglio me lo consente, posso fornirgliene una di Gaio Ponzio, capitano dei Sanniti, che risale al 321 avanti Cristo. Costretto a combattere a morte per resistere all'arroganza romana, egli proclama (Livio, 9,1): «Giusta è la guerra per coloro ai quali è necessaria e sono sante le armi per coloro cui nessuna speranza è rimasta se non nelle armi*. Il piccolo particolare che fa differenza sta nel fatto che quelli combattevano a viso aperto contro il diretto nemico, non massacravano estranei inermi e incolpevoli Forse l'on. Craxi ricorda che il presidente siriano Assad, uno che di Vicino Oriente se ne inten- Commedia in cinque atti de, deplorò il ricatto terroristico, dicendo che l'Olp se la prendesse con il suo dichiarato avversario israeliano, senza coinvolgere altri in violenze c massacri, che a nulla conducono fuorché all'odio e al discredito della causa. Ma proprio perché le notizie che ci bersagliano sfuggono ràpide e vengono presto dimenticate, vorrei provare a ripercorrere una specie di rappresentazione in cinque atti, cui abbiamo dovuto assistere senza ben comprendere il senso generale del copione. Partiamo dalla crisi di governo, nella quale certo hanno avuto gran peso questioni di sostanza, ma in qualche misura anche la forma deve aver avuto la sua parte. Quando Spadolini ha sollevato la questione di fondo della collegialità, Craxi ha risposto che nel Consiglio di gabinetto «c'era il numero legale»; chi era assente, peggio per lui. Ma un governo di coalizione non è un'assemblea di condominio, che debba deliberare sulla tinteggiatura delle scale; non si va a millesimi di proprietà. Può, un'asserzione simile, venir pronunciata sul serio? Ne dubito, perché sarebbe sconsiderata e arrogante. Dunque è stata espressa a ragion veduta, con tono aggressivo, proprio per provocare una rottura. Dunque è un atto politico sottile e abile, ma esclusivamente se si considera chiusa l'esperienza di pentapartito e si ritiene che un ricorso anticipato alle urne possa offrire concreti vantaggi. Fine dell'atto I. A governo caduto, si ricomincia a tessere la tela così bruscamente lacerata. Con pazienza, il lungimirante De Mita cerca di riannodare i fili un po' lisi dei cinque schieramenti, e ecco Craxi che se ne esce a dire che, se non saranno cinque, anche quattro bastano. Può un uomo politico di lunga milizia dire sul serio una simile sciocchezza? Chi può illudersi di governare questo Paese con una maggioranza del 51 per cento, quando dietro ogni siepe stanno in agguato i franchi tiratori? Vorrebbe dire una crisi alla settimana se tutto va bene. Ma avendo escluso l'arroganza sconsiderata, non resta che la volontà di rottura. Con questa allegra prospettiva di elezioni anticipate finisce l'atto II. Nel terzo atto si vede una sala raccolta di Palazzo Chigi, dove i più sottili esponenti del caduto governo limano e cesellano il discorso che Craxi dovrà pronunciare davanti al Parlamento. Tutti, chi più chi meno, vogliono tagli e modifiche, qui una paroletta in più, là un aggettivo in meno. Il cronista parla di un Craxi serafico, condiscendente, che si vede maciullare il suo testo e sorride. Colpo di scena della riconciliazione generale. Mercoledì, alla Camera, Craxi si scorda del testo concordato, parla a braccio, ribadisce ogni mossa della sua condotta, calca la mano con un protagonismo irruente. Adesso il solco che scava è verso tutti i partiti. L'atto IV finisce in un clima di sconforto fra gli alleati, con punte di vera e propria indignazione. Siamo alle elezioni inevitabili? No, nell'atto V, che ha la sua scena fra le scure colonne e gli ori del Senato, Craxi cambia tono, attenua, sfuma, distingue. Resta il difensore dell'indipendenza nazionale oltraggiata, ma recide ogni benevola considerazione per il terrorismo. Mah! Sta di fatto che il pentapartito respira. Fino al prossimo incidente di percorso, certo non lontano anche se imprevedibile.

Luoghi citati: Vicino Oriente