La Governante è invecchiata di Osvaldo Guerrieri

La Governante è invecchiata La Governante è invecchiata TORINO — Se non è galantuomo, il tempo è per lo meno -giustielerer~Così, ventanni dopo la prima rappresentazione e a trentatré dalla composizione, La governante di Vitaliano Brancatl può offrirsi allo spettatore sema aureole di martirio censorio, senea le passionalità della polemica intellettuale, ma per quello che effettivamente è: un dramma non del tutto riuscito, uno scontro di personaggi e di psicologie nella cornice un po' soffice e un po' tagliente del bozzetto, della satira di costume, del gallismo. Riesce difficile capire l'assurdo accanimento della cere-, sura contro un'opera che tratta, si, di una devianza colpevole, ma lo fa con un tatto e un pudore ammirevoli. Non c'è nulla di greve sulla scabrosa tendenza di Caterina Leher, una francese calvinista capitata in una molle e confusionaria famiglia di ricchi siciliani a Roma. Eppure La governante «non passò-. Brancati, in risposta al divieto, scrisse il pamphlet Ritorno alla censura; chiese inutilmente aiuto a Moravia, che si riteneva offeso dal personaggio dello Scrittore nel quale credeva di riconoscere se stesso. «Una censura nella censura», commento amaro Brancati. L'allestimento offerto da Luigi Sguarzina all'Alfieri, per il cartellone dello Stabile, punta sull'aspetto più interessante del dramma, e cioè sul rapporto tra l'enigmatica governante e quella famiglia meridionale pigra, ricca, accomodante, accogliente; dove Eros si fa sentire ma con effetti ironici, quando non umoristici; e in cui le impennate stizzosamente moralistiche del vecchio Platania offrono lo spunto allo scrittore per rappresentare una realtà morale italiana confusa e contraddittoria. Nella scena fissa di Alberto Verso (un interno borghese con il rosso pompeiano delle pareti, il nero dei mobili e lo sfondo delle vetrate liberty) Squarzina accampa il dissidio fra due modi di vivere e di soffrire. Da una parte c'è Caterina, apparentemente irreprensibile e dura, che con calunniose insinuazioni fa cacciare Jana, servetta di devozione animalesca, per far entrare in casa una ragazza a cui la lega una precedente intesa. Dall'altra girano quasi a vuoto gli altri: il patriarca, in bilico tra novità e chiusure; la nuora, fatua e irrimediabilmente stupida; il figlio, incallito donnaiolo, ossessionalo, come si diceva nell'Ottocento, dalla » fisiologia dell'amore siciliano*; l'annoiato scrittore' di successo; .la figura dell'umile portiere che accetta di andare in galera al posto del barone. Squarzina non tende però a colorare di nero l'anima ambigua di Caterina, sembra prigioniero del gioco umoristico e caricaturale che, nella scena fondamentale del pranzo, scivola pesantemente nel je?)m£ detta' pochade. Il fegUtfb bada e restituirci lo scoppiettio delle battute, sorretto da una compagnia certamente solida, da un Turi Ferro che si crogiola net panni del patriarca con una effusione calda, rassicurante, umanissima e sa toccare le vette della delusione e del crollo morale quando scopre la governante in flagrante «peccato*. La quale è interpretata da una Carla Gravina che pone su di sé il velo calvinista anche come stile teatrale; con tremiti nervosi, improvvise secchezze di tono lascia trasparire il doppiofondo «malato» dell'anima, è ambigua, ma forse non abbastanza. Gustosi gli altri, Maurizio De Razza (Enrico), Marlanella Laszlo (Elena), Paolo Giuranna (lo scrittore), Antonella Schirò (Jana), Turi Scalia (il portiere) e Gea Lionello, che si fa soprattutto guardare. Caldi applausi per tutti. Osvaldo Guerrieri Gravina, Governante calvinista

Luoghi citati: Roma, Torino