Il sogno spagnolo della Kustermann

INTERVISTA - Manuela, attrice totale: dai pezzi d'avanguardia ai classici INTERVISTA - Manuela, attrice totale: dai pezzi d'avanguardia ai classici n sogno spagnolo della Kusternmnn Domani a Torino al Teatro Alfieri interpreterà Rosaura nell'opera di Calderóni de la Barca Di lei si è detto tutto, o quasi. Che era la musa dell'avanguardia, una primadonna di rottura, una falsacopia della Duse, una divina, una maledetta: che era provocante, irritante, scandalosa, celestiale, dolcissima. E' un fatto che da quando è salita sulla breccia teatrale, Manuela Kustermann è sempre riuscita a far parlare di sé: in bene o in male. Un modo per imporsi, per attirare l'attenzione, una grande smania di protagonismo? Lei smentisce, con la voce bassa e roca: «Era quasi fatale, dato il tipo di carriera anomala che ho avuto. Debuttai giovanissima, a fianco di Carmelo Bene e il successo mi ha baciato in fronte molto presto: difficile non farsi notare. Dopodiché, ho continuato a portarmi appresso quell'immagine per anni. Quando nacque l'avanguardia romana, trovai logico militare nelle sue file. Diciamo: le circostanze hanno fatto In modo che si parlasse moltissimo di me ed io non ho fallo nulla per impedirlo». Poi gli anni sono passati, con gli anni è passala di moda l'avanguardia e si sono smorzati i furori giovanili: la Kustermann è rientrata nei ranghi e si misura, ormai, coi grandi classici, da domani, sul palcoscenico del Teatro Alfieri, sarà Rosaura in «La vita è sogno» di Calderon de la Barca. «Un personaggio davvero straordinario: in realtà Rosaura è il doppio di Sigismondo e come lui affronta un viaggio alla ricerca del padre e dell'onore perduto. Ma la cosa che più mi affascina è la regia di Carriglio, basata tutta sulla fissità del gesti e la ieraticità dei personaggi, che sembrano usciti da una tragedia di Racine. Uno spettacolo che non ha nulla del fastoso teatro barocco, ma è povero e asciutto, essenziale. Purtroppo, un'esperienza molto breve: fini¬ remo il 20 novembre». Perché mal? e disponibile. Rispetto al lavoro, ho più fiducia in me, sono' maturata: oggi per esempio non prenderei più decisioni affrettale, cercando di valutare prima i possibili errori». Lei una volta ha recitato nuda: quindi, ha anche posato perla copertina di «Play-Boy». Lo rifarebbe, oggi? Che cos'è II pudore, per un'attrice? «Il pudore secondo me è una cosa privata, molto personale: cessa, appena sali in palcoscenico. Le mie scene di nudo, in Franziska, erano descritte nel testo ed erano molto plastiche e corali, cioè gruppi di nudi, immobili, con una maschera sul viso. Ma quando vidi il can-can che ne saltava fuori, pensai di poterlo sfruttare pubblicitariamente anch'io e accettai di posare nuda, per Play-Boy. Oggi? Non avrebbe più senso: allora il nudo poteva essere una provocazione, ma ormai in tatto di nudità si è visto di tutto e un vestilo in più o in meno non significano niente». Lei ha una morale precisa? «Per quel che riguarda il teatro, penso proprio di si: non sopporto la falsità, gli abusi, il voler far passare una cosa per un'altra, il nascondersi dietro cortine fumogene. Diciamo che. sempre per quel che riguarda il teatro, ho una morale severissima nel senso antico e aristocratico del termine. Nella vita, invece, sono molto più elastica e disponbile. Segno che il teatro, per me, è più importante della vita». C'è qualcosa che rimpiange di aver latto? «No. Ma sono molte le cose che rimpiango di non aver fatto. Però c'è ancora tempo, ho tutta la vita davanti». Vuol dire che ha programmi precisi, per II futuro? «Per carità: io non ho alcun senso del futuro. Vivo alla giornata, rincorrendo l'attimo fuggente. Riesco soltanto a pensare a un futuro molto prossimo: domani, per me, è già lontano». Donata Gianeri «Perché dovrò riprendere La locandlera, quindi metteremo in scena Febbre di Rosso di san Secondo, al Valle. E considero molto stimolante la possibilità di potermi misurare con personaggi tanto diversi in una stessa stagione: in fondo, molti attori vorrebbero poterlo fare, ma ne sono impediti da questioni di mercato». Lei può Invece permettersi di scegliere, imporre? «Oh, no, non creda. Noi gestiamo la nostra cooperativa tra difficoltà pazzesche. Questo è un Paese in cui tutti gli anni devi ricominciare da zero, lottare per entrare nei circuiti ufficiali, poiché le strutture ti limitano, ti schiacciano, creando di conseguenza dei privilegi. In Italia esistono dei Gassman, degli Albertazzi, delle Proclemer che hanno tutte le vie aperte, mentre nessuno pensa al ricambio generazionale. Eppure ci sono bravissimi attori tra i trenta e i quaranta (Cecchi, Branciaroli, io e molti altri) che il pubblico ha il diritto di conoscere e che dovrebbero quindi esser spinti e aiutati. Invece, prenda il mio caso: se non fossi venuta a Torino con lo Stabile di Palermo, non ci sarei mai arrivata. Le sembra giusto? Ho avuto anch'io la mia brava dose di successo». Che cos'è secondo lei il successo e a cosa serve? «Il successo è una misura di quello che vali e serve praticamente a tutto, cioè a importi, imporre e continuare se, naturalmente, hai qualcosa da dire. Un nome sicuro oggi richiama pubblico, fa cassetta: anche se non è detto che Grande Attore significhi sempre bello spettacolo». Nel suo caso, Il successo prematuro l'ha cambiata? «Non credo: mi hanno cambiata gli anni. Prima ero un riccio, tutta chiusa in me stessa: ora sono molto più aperta

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