«Faccetta nera», lontana illusione

Cinquantanni fa, la guerra d'Etiopia: personaggi, retroscena e nuovi interrogativi 8 Cinquantanni fa, la guerra d'Etiopia: personaggi, retroscena e nuovi interrogativi 8 «Faccetta nera», lontana illusione Tutto cominciò con una canzone e una caramella Poi, d'un tratto, capimmo Intervista con lo storico Renzo De Felice. Nel «posto al sole» si volevano anche sistemare gli ebrei. Miller in segreto aiutava II Negus. La verità sul plano di conquista Ciano era contrario, ma partì coi polissi. Croce donò la medaglia d'oro -Faccetta nera — bell'abissina...-. Sono anch'io tra quelli che, come dice Marco Nozza. -ebbero la sfortuna di cantare 'la canzoncina anestetizzante dell ■imperialismo fascista", e mi è venuta la pelle d'oca-. Mezzo secolo fa, la pelle d'oca non venne a nessuno di noi frati adolescenti che nel 1935 avevamo 16 anni e stavamo per passare dal collegio al noviziato, pieni di santi sogni ma sprovvisti d'ogni barlume di conoscenza critica sulla realtà politica dell'Italia fascista. Faccetta nera fu appunto un'astuta anestesia politica degli italiani in quel momento di incoscienza e di orgóglio del regime. Poi, dietro l'innocente canzone, venne addirittura anche una caramella omonima, ovviamente al cioccolato, incartata dietro una faccia di giovane abissina. Nessuno ci parlò di -aggressione-, di -ingiustizia-, di delitto politico e militare da parte dell'Italia ai danni dell'Ablsslnia, della Libia, della Somalia e dell'Eritrea. Il Negus fu il diavolo e gli abissini furono per noi soltanto -i selvaggi-. Protetti dietro le sacre mura prima del collegio e poi del convento, ci arrivavano dell'impresa mussoliniana in Africa soltanto gli echi manipolati dal trombonismo del regime. Si arrivò alla trasfigurazione anche di quella rapina sanguinaria che un Paese povero come il nostro compiva a danno di Paesi anche più poveri. Una trasfigurazione compiuta in perfetta buona fede, quanto a noi, da superiori ed educatori che a loro volta, quando avevano avuto la nostra stessa età, erano sempre stati educati a prWgà:re non per la -pace- ntà per la-vittoria del nostro valoroso esercito-, in guerra boi popoli -selvaggi- ai quali ovviamente noi stavamo per portare sia la luce del Vangelo che gli immortali fasci littori. Nessuna voce autorevole ci disse come stavano davvero le cose. Da ragazzi privi d'ogni riferimento — come esigeva la clausura e lo spirito del «noviziato-. — cioè totale' segregazione dal mondo — anche nomi risultati poi drammatici come Ual-Ual (il nome del più noto luogo dove 11 fascismo organizzò rancidente» prefabbricato per giustificare l'Invasione e la distruzione) ci appariva un nome talmente buffo e onomatopcicoda diventare lo slogan e lo scherzo che ripetevamo nella foga delle nostre partite al pallone. L'anno dopo, nel 1936, un fatto per noi sconvolgente venne a ribadirci la certezza che il regime era il Grande benefattore, 11 Re era un sovrano Illuminato, 11 Duce l'uomo più geniale, buono e potente del mondo. S'inaugurava la nuova autostrada Serravalle Scrlvla-Genova, una delle prime in Italia, e per l'occasione si sarebbero mossi nientemeno che Vittorio Emanuele III e Mussolini. Non ci Illudevamo di poterli vedere, anche se lo sognavamo con emozione, ma 11 fatto che nel grande convento del nostro noviziato, a Oavl Ligure, fossero stati assegnati per l'occasione, In via del tutto eccezionale data la vici nnnza all'Inizio della nuova autostrada, una cinquantina di -riservisti-, cioè di soldati di mezza età richiamati per l'occasione ad addestrarsi per -rendere gli onori militari* ai due capi dell'Italia ormai Imperiale, ci riempiva d'entusiasmo. E ci riempiva più del solito anche lo stomaco, visto che per tutto il mese che durò l'addestramento il 'rancio dei riservisti-, lautissimo a con fronte dei pasti conventuali, fu dato senza economia anche a tutti noi frati. Cosi, in • ogni modo, persino senza volerlo, il regime inquinava migliaia di giovani con parole vuote stamburate sino al parossismo, con lo «spettacolo' di parate, di opere pubbliche, e di slogans perentori sui muri. Solo qualche anno dopo, quando Mussolini venne in visita ufficiale a Genova e la città bolli delle solite sceneg glate littorie, dalla gradinata della chiesa dell'Annunziata dov'eravamo stati messi in fila per applaudirlo, quando 11 Duce passò fissandoci fiero e pettoruto negli occhi come sempre, ebbi un brivido improvviso nel cervello, un'Idea che mi ghiacciò, dura e angosciosa: e mi si bloccò di colpo l'applauso che stavo per tributargli. Mi vergognai allora anche del moschetto e della camicia nera che mi avevano reso tanto fiero al paese natio a soli dieci anni. Infine, con la dichiarazione di guerra 'del 10 giugno 1940, con Mussolini a fianco di Hitler, non ci furono in noi più Illusioni. In convento ci dividemmo subito In fascisti e antifascisti, ma questi ultimi fummo un'assoluta minoranza. Oggi, davanti alle rievocazioni del raid contro l'Abissihia e al ricordo di Faccetta nera, quel brivido ritorna. Mussolini ignorò il petrolio libico che scorreva sotto le scarpe di cartone dei -legionari- dell'Impero da burla, ignorò 11 dolore e la miseria dell'Ablssinia, e quello dell'Italia. Il regime — mi dice chi poi è tornato laggiù a lavorare In pace — ha lasciato soltanto edifici urbani e strade che, a confronto del degrado aggravatosi dopo la guerra e sino ad oggi, di governo in governo, di regime in regime, sono ancora efficienti, comunque provvidenziali. Nazareno Fabbretti g. L'Etiopia, quella guerra di etnquanfanni fa, le carte geografiche di allora, appese negli uffici e nelle scuole, costellate di bandierine per indicare i punii strategici delle operazioni. Il giornale radio dell'epoca che si apriva con le parole: «Dall'Africa orientale Italiana il maresciallo Badoglio telegrafa Una guerra, dimenticata e troppo lontana? Ne parliamo, per verificarne taluni aspetti poco noti o sottaciuti, con lo storico Renzo De Felice, il quale sta portando a termine il suo volume sulla seconda guerra mondiale che uscirà nella seconda metà del prossimo anno. Della campagna d'Etiopia non ha ancora scritto, perché? «Ho voluto affrontarne solo gli aspetti che si legano più direttamente alla gestione politica del conflitto, al rapporti ad esemplo fra Mussolini, Stato Maggiore e l'Esercito, senza soffermarmi sulle operazioni militari in senso proprio, altrimenti ne sarebbe venuta fuori un'enciclopedia». Mussolini avrebbe comunicato al presidente americano Roosevelt il suo progetto di sistemare gli ebrei in una regione dell'Africa orientale. Era un disegno serio, con con crete possibilità di attuazio¬ p ne, o un'idea assurda, fantastica? «DI tale progetto ho avuto modo di parlare nella mia Storia degli ebrei, citando pure Adami, la persona cioè che ebbe l'Incarico di andare a fare gli studi per questo Insediamento ebraico. Non posso anticipare cose che non riguardano me ma uno studioso israeliano mio amico. Fu un progetto tanto serio che si continuò a parlarne anche negli anni della guerra". Come si conci'fa tale atteggiamento con il Mussolini die poi vara le leggi razziali? «Nel 1938, quando le leggi vengono fatte, non c'è ancora l'Asse. Il "patto d'acciaio" è del 1939. Inoltre Mussolini non aveva mai pensato per gli ebrei a una soluzione drastica,"anche se non poteva non prevedere che cosa avrebbe fatto Hitler .con i campi di sterminio. Il problema di una sistemazione degli ebrei fuori dall'Europa era una questione che si era posta lui e non solo lui perché persino Hitler per un certo periodo pensò a una soluzione ebraica nel Madagascar. Mussolini aveva cercato di trattenere Hitler nella sua politica razziale. Ho già scritto delle Istruzioni che diede all'ambasciatore italiano a Berlino nel 1934 perché cer¬ p 8 casse di convincere Hitler a starsene un po' quieto con gli ebrei. Di recènte da Israele ho avuto un documento da cui risulta che Mussolini, ancora prima delia presa del potere da parte di Hitler, gli aveva fatto giungere discorsi in tal senso». L'Italia non riuscì a pacificare l'Africa Orientale a causa della guerriglia interna. Fu un fatto vero, di resistenza spontanea, o piuttosto un intervento dall'esterno, da parte di chi aveva interesse a mantenere un'Etiopia in lotta contro l'occupante italiano? «C'erano elementi di sostegno dall'estete, róa non erano quelli che potevano determinare la guerriglia. Il discorso sarebbe molto lungo, poiché si defe distinguere il comportamento delle varie tribù, delle popolazioni, per esemplo dell'Ogaden oppure degli Amara- Diclamo che ognuno sentiva la guerriglia antl-italiana a modo suo*. Si è parlato dell'impiego in Africa Orientale di gas asfissianti. L'Italia li ha adoperati? Si è pure detto die la Svezia li avrebbe venduti al Negus. Afferma De Felice: «L'Italia 11 ha adoperati eccome, anche abbondantemente. A me non risulta che 11 negus li abbia impiegati. Che qualcu¬ no glieli abbia venduti può anche darsi. L'ipocrisia umana è senza fine, però che siano stati proprio gli svedesi, 1 quali erano 1 più accesi nello stigmatizzare l'uso del gas da parte degli Italiani, sarebbe un caso di Ipocrisia ben grosso. Non mi meraviglierei che glieli avessero venduti i tedeschi. Hitler aveva appoggiate il Negus e 11 motivo è logico: più 11 rapporto Italo-inglese andava In dissesto e più lui aveva margini di manovra sull'Italia. C'è un'intervista di Halle Sclasslé, dopo la fuga dall'Etiopia, in cui il deposto Imperatore diceva: "Chi mi ha più alutato è stata la Germania"». L'Italia adoperò i gas durante la guerra e anclie durante la guerriglia? «Per la guerra In Etiopia l'uso del gas è ampiamente documen tato e c'era un'esplicita indi cazlone di Mussolini, "in caso di bisogno, adoperarli". Per la guerriglia non risulta alcuna Istruzione. Potrebbero esserci state iniziative di co mandi locali». Aggiunge De Felice: «Ultimamente ho trovato negli archivi Inglesi documenti che rafforzano quanto ho scritto nel mio libro. Quando nel 1935 si Inizia la guerra d'Africa, Mussolini non pensa assolutamente alla conquista di tutta l'Etiopia. Ancora una settimana prima che le truppe italiane entrassero in Addis Abeba, non aveva in mente di occupare l'intero Paese. Pensava piuttosto a un progetto che prevedeva una parte dell'Etiopia annessa alla Somalia e all'Eritrea, una parte sotto l'Influenza politica ed economica Italiana, e un nucleo centrale, piccolo quel che si vuole, ma lasciato al Negus. Ho pubblicato anche una piantina, che viene dalle carte del maresciallo Graziani, che riguarda proprio l'ultimo plano di sisie.nazione, con 11 nucleo centrale affidato al Negus. Il piano poi non andò In porto per una serie di motivi, non ultimo quello che la controparte non c'era più. Essendo 11 Negus partito, con chi si poteva trattare? La rottura totale con Londra In quel momento non la si voleva, per cui si cercava una soluzione, un plano di spartizione, che appagasse le ambizioni dell'Italia senza però occu pare l'intero territorio etiopico». Mezzo secolo è trascorso da Faccetta nera e le zone d'ombra, gli interrogativi, come si vede, rimangono. r. r, E' un luogo comune piuttosto diffuso che gli Italiani abbiano dimostrato fin dall'inizio il più totale entusiasmo per la guerra d'Etiopia. Questo entusiasmo ci fu, ma divenne totale e generalizzato solo quando, a guerra iniziata, si capi che la Gran Bretagna non si sarebbe mossa e che la flotta inglese non avrebbe bombardato le città Italiane. Il consenso divenne generale quando apparve chiaro che la guerra sarebbe stata vinta facilmente. Lo dimostra tra l'altro un esauriente documento che il capo della polizia Carmine Senise inviò 11 20 giugno 1935 a Galeazzo Ciano, allora sottosegretario della stampa e propaganda: -Lo stato dell'opinione pubblica in merito all'ormai sicura campagna militare nell'Africa Orientale non è del tutto soddisfacente. A prescindere dalla già notificata apprensione di carattere finanziario ed economico che agitano l'animo delle persone che hanno qualcosa da perdere, è diffuso anche negli altri strati numerosi della popolazione un senso di inquietudine e di disappunto. (...) Si lux la sensazione netta che, in definitiva, si tratta da parte nostra di una spedizione guerresca di conquista, e si tende a dare piuttosto ragione che non torlo alle crlticlie, che i nostri giornali riportano, comparse nella slampa estera a nostro riguardo. Manca insomma completamente, malgrado lintelligenza politica del popolo italiano, la comprensione delle cause profonde che inducono il Governo all'attuale atteggiamento-. Probabilmente fu proprio per la conoscenza di questi rapporti segretissimi che Galeazzo Ciano fu, tra i gerarchi fascisti, l'unico veramente ostile alla guerra d'Etiopia, anche se. contemporaneamente, fu quello che fece di più per convincere gli italiani della bontà della guerra. Come organizzatore della propaganda fascista (solo nel giugno del 1936 sarebbe divenuto ministro deglf Esteri) organizzò in maniera intelligente e implacabile la campagna per convincere gli italiani che la guerra era non solo necessaria, ma anche giusta e sicuramente vittoriosa. L'ostilità di Ciano all', avventura etiopica- era dovuta a motivi esclusivamente politici e militari, non certo umanitari e morali, e non venne mal ufficialmente dichiarata, anche perché aveva capito benissimo che non ci sarebbe stato modo di mutare le decisioni di Mussolini. Lo stesso avvenne del resto anche In altri ambienti inizialmente ostili all'impresa: Vittorio Emanuele III e molti alti gradi dell'esercito manifestarono per tutta l'estate del 1935 preoccupazioni per le conseguenze sulla situazione europea e per la difficoltà di condurre una guerra cosi lontana, ma tutte le obiezioni si tacitarono al momento di combattere. Non a caso lo stesso Ciano fu uno del primi a partire volontario, come capitano d'aeronautica, e fu il suo aereo a compiere il primo bombardamento oltre le linee nemiche. Ma di quel che pensasse veramente si trovano chiari segni nel diario di Giuseppe Bottai, allora governatore di Roma e pure lui volontario In Africa come colonnello degli alpini: Ciano temette fino all'ultimo un intervento inglese e ripeteva spesso che occorreva la pace. Ancora a venti giorni dalla fine della guerra, il 15 aprile 1936, Ciano commenta: -Andremo a Addis Abeba. E poi? L'Inghilterra 7ion mollerà-. Ha ormai pronto in testa il progetto di alleanza con la Germania nazista per fare pressioni contro Francia e Gran Bretagna: il progetto politico che lo porterà, di 11 a poco, alla poltrona di ministro degli Esteri. E tuttavia, a parte le preoccupazioni politiche e militari contingenti, la guerra d'Etiopia fini per essere davvero una guerra di popolo, tanto erano radicati nell'animo degli italiani 11 patriottismo. 11 ricordo delle sconfitte ottocentesche in Africa, il rancore per la -vittoria inutilatanella prima guerra mondiale, le ambizioni coloniali insoddisfatte e la convinzione che l'Italia fosse veramente,, come diceva la propaganda, una «prende proletaria- cui le potenze già ricche di colonie volevano ingiustamente negare «un posto al sole-. Non si spiega altrimenti il generale consenso di cui la guerra godette anche tra gli antifascisti. La guerra.in definitiva, travalicava il fascismo e riguardava la patria, per questo dovevano esser superate le questioni politiche. Fu appunto dichiarando di non approvare la politica del governo che Benedetto Croce donò la propria medaglietta d'oro di senatore «in omaggio al nome della patria-, mentre Vittorio Emanuele Orlando dichiarò che in quel frangente «ooni italiano deve essere presente per servire-. Giordano Bruno Guerra TERME i Ottolenghi ntemporanea 0,30 e ore 15,30 0,30 e ore 15,30 0 ottobre -12,30; 15-18,30 nghi, via Monterosso 77 , 4 • 20121 Milano x 325621 Finart I