Guerra all'incendio

Guerra all'incendio STORIE DI GENTE DELL'ALTOPIANO Guerra all'incendio Come mia abitudine stavo]lavorando con la finestra aper ta verso i prati, i boschi e le contrade; l'aria che entrava serbava ancora un po' del calore estivo, ma quando alzai la testa dalla pagina mi accorsi che la luce della stanza aveva un'altra tonalità: non era più brillante e decisa per il sole che fino a poco prima splendeva limpido da un quarto del cielo, ma si andava attenuando per un velo di nebbia giallina che si addensava sulla conca. Con questa nebbia mi colpì subito un odore di erba secca, di sterpi, di foglie bruciate: un odore simile a quello del macorka, i fusti e i rami della pianta del tabacco che fumavamo durante la guerra nei Paesi dell'Europa orientale. Mi affacciai alla finestra e chiesi a un amico che stava guardando le sue vacche al pascolo da dove provenissero questo odore e questo fumo, «E' venula improvviso da dietro il Monte Catz, mi rispose. L'ha portato l'aria che si e mossa da ponente*. Il fumo e l'odore provenivano da lì, ma non si riusciva a vederne l'origine, non si sentivano segnali o rumori che dessero a capire interventi per spegnere un incendio. Fiutavo l'aria come un setter e cercavo la direzione del vento; infine l'odore si attenuò, il sole ritornò a brillare e io ripresi la mia pagina. Dopo nemmeno un'ora l'aria riportò fumo e odore; una folata che liberò il paesaggio mi fece capire che l'incendio era laggiù, tra il Monte Ccngio e il Corbin, o dietro il Paù, sui versanti che guardano la pianura. E' sempre lì che gli sbadati o gli incoscienti che passano in auto gettano le cicche dal finestrino, tanto che Comunità Montana e forestali sono stati costretti ad aprire una strada «frangifuoco» a protezione dei boschi di conifere che vegetano e -prosperano sull'Altopiano. A guardarla da lontano, dalla pianura industrializzata e popolata, a certanTquesta strada sembrava, una ferik al paesa^ c un oltraggici alla natura e per questo vennero proteste e lettere ai giornali da parte dei protezionisti a oltranza che •qualche volta non capiscono o non vogliono rendersi conto che certi interventi sono necessari. Odore e fumo leggero si alternavano nelle ore elei giorno a seconda di come girava l'aria. Quando scese la notte non vidi bagliori, ma al mattino notai cenere e resti di combustione sul poggiolo di casa; e così decisi di andare all'Ispettorato Distrettuale delle Foreste per sentire cosa stesse succedendo. Erano tutti fuori a lottare contro il fuoco, o a riposare dopo i turni fatti nella notte; c'era solamente una guardia al telefono. Mi disse qualcosa ma anche, se volevo saperne di più, di salire sul Monte Cengio. Il fuoco era partito dalla pianura, e a provocarlo era stata una fonderia che aveva un camino laterale verso una riva cespugliata. Dopo una colata, le faville erano uscite per questo scarico; un colpo di vento e la siccità provocarono il resto. Dalla riva sinistra dell'Astico il fuoco salì aggredendo voracemente i prati che non erano stati sfalciati e le viti abbandonate; proseguì verso una chiesetta dedicata a San Zeno e gli abitanti delle contrade attorno subito si diedero daffare per contenere i danni. Ma degli scoppi li fecero impaurire e allontanare: tra le pendici di quelle rive e tra quei valloncelli che scendevano dal Monte Cengio erano rimaste nascoste sotto terra o tra i cespugli cartucce e bombe della Grande Guerra. Nel guardare la carta topografica dcll'I.G.M. ho capito che quello era il posto in cui nel 1916-1917 c'era la batteria dove prestava servizio Cesare Musatti; era stato proprio lui a spiegarmelo quest'estate Folgaria: i cannoni erano giù in basso a sbarramento della Val d'Astico o per eseguire il tiro d'interdizione sull'Alto, piano, mentre lui si trovava nell'osservatorio di Monte Cengio. Ma Musatti aveva rot to il binocolo e così i dati se li faceva dare da un amico che era nell'osservatorio di Monte Corbin. Ora le granate ine' splose sparate dagli austriaci scoppiavano dopo settantanni a causa di questo incendio, Nella seconda notte vi fu anj che un fragore vasto e cupo, il fuoco aveva forse raggiunto!una riservetta di munizioni la sciata dagli italiani e la gente ai piedi dei monti ebbe paura. Intanto l'allarme aveva, messo in moto le guardie forestali, gli operai boschivi, i vigili del fuoco volontari e ordinari, Si cercava di fronteggiare le fiamme Che intanto si erano aperte a ventaglio dal basso ,11'alto su un terreno impervio dove fitti e disordinati crescevano cespugli spinosi, carpini, roverelle, ornielli. Ora per ora il fuoco saliva i quota minacciando i boschi di faggio; in breve dai duecento metri della riva dell'Astico: era salito ai mille verso il Col delle Mandre e la Val del Cavallo; e oltre questi monti c'erano i grandi boschi di resinose.' Si tentò di accerchiare il fuoco dal basso, ma quando si credeva di averlo imprigionato una fiammata riprendeva improvvisa al di là di un calanco o di una roccia. Era una battaglia in campo aperto e la gente si comportava come in guerra: chi aveva coraggio e chi aveva paura, chi era prudente e chi ostentava spregiudicatezza. Due elicotteri si alternavano a caricare acqua nell'Astico per bombardare dall'alto le fiamme più vivaci e ogni volta un proiettile di ottocento litri d'acqua sollevava una nuvola di vapore. Le fiamme guizzarono vive per i ciuffi d'erba secca su pet le rocce del Monte Cengio; in vetta si prepararono le cisterne ^ S d'acqua e quando le vampate roventi giunsero a pochi metri dalla chiesetta e dal monumento ai Granatieri di Sardegna, si provvide a irrorare il tetto e la radura intorno. Gli esperti speravano che raggiunto il colmo, per il richiamo dal fronte opposto di aria fredda, l'incendio si fermasse. Fu così, per nostra fortuna. Ma se il fuoco avesse tracimato e intaccato il bosco d'abeti chi l'avrebbe più fermato? Dai lati, per l'uno e 'altro versante di due valli, il fuoco continuava la sua corsa. Intervenne l'aereo dal ventre capace, ma il fumo e le valli troppo strette non gli permisero di scaricare con profitto la sua acqua. La battaglia continuò per giorni a vicende alterne; dei gruppi che avevano tentato di scavare delle ttincee dovettero rinunciare per il pericolo delle scariche di sassi che, non più trattenuti sul terreno denudato, precipitavano dall'alto. Per fermare l'invasione non restava che tentare il controfuoco, ossia levare esca all'incendio avanzante provocando contro un fuoco controllato. E' questa un'operazione pericolosa ma efficace. Il primo esperi mento andò a vuoto perché i volontari che si erano prestati guidarono l'ispettore forestale troppo sotto il fronte avanzante, oltre 1 boschi di faggio che volevano salvare, e rischiarono così di rimanere accerchiati tra le fiamme che avevano provocato. Dovettero fuggire in fretta per un canalone ancora libero. Il secondo tentativo lo fecero più indietro; andò meglio. Sul lato destro l'attacco venne così respinto e una porta venne chiusa; ora restava da combattere sul fianco sinistro, impervio di rocce, forre, vallette profonde e vegetazione intricata e folta. Erano passati nove giorni da quando le scintille uscite dalla fonderia avevano dato inizio alla battaglia e nella notte, finalmente, uno ■scroscio d'acqua pose fmc.alla lotta. Leggo nei miei appuntrj «Per qumt* meticoloso pàtrfressP re il lavoro umano solo la pioggia potrà ora spegnere qualche focolare nascosto») La sentivo battere sul tetto e mi distendeva i nervi.. « Mario njgonj Stern

Persone citate: Catz, Cesare Musatti, Monte Corbin, Musatti, Stern

Luoghi citati: Cengio, Folgaria, San Zeno, Sardegna