Dove nasce la musica da vedere

lPoTO nasce la musica da vedere , , , CONCTI A MONACO FILM DI OPERE, OPERETTE, BALLETTI, CONCERTI lPoTO nasce la musica da vedere , , , CONCTI Nel boom musicale contemporaneo, è tedesca la maggior produzione internazionale di tv, cinema, videocassette dedicati a grandi autori, grandi Maestri, grandi interpreti - Uno Zeffirelli mai visto in Italia - Léonard Bernstein: «Io sono Mahler» - Lavorando con Karajan, Salisburgo e Bayreuth - L'ultima volta di Boehm DAL NOSTRO INVIATO MONACO — Nel regno della musica da vedere, ecco sullo schermo un film-opera di Franco Zeffirelli che da noi non s'era mal visto. Una Cavalleria rusticana: come Turiddu, naturalmente. Placido Domingo, prediletto dal cinema musicale perché è alto, nei periodi buoni non è grasso, è meno legnoso e inespressivo di altri cantanti e bravissimo anche col playback. L'opera comincia a letto: dopo l'amore lui si alea e se ne va, mentre Lola si stira voluttuosamente con carnale felicità appagata. Poi? Molto fico d'India, nel paese siciliano di Vizzini dove il film è stato girato. Molti costumi regionali. Molti toni glallo-arancio-raggine nella fotografia di Armando Nannuzzi. Domingo indossa il tipico gllet scollato per cantare «Bada Santuzza schiavo non sono di questa vana tua gelosia.; per rivelare il tradimento a compare Alfio, Santuzza fa le corna con le dita. Esplosione di sontuoso decorativismo italiano nelle scene della prò-cessione: Cristi in croce, cavalli infiocchettati, Madonne addolorate con spade nel cuore, carabinieri impennacchiati in alta uniforme, fedeli con candele accese, folla di incappucciati neri, bianchi e rossi. Il duello Alfio-Turìddu,visto dall'alto. Insomma liscio, classico. Qualche capriccio in più c'è in Pagliacci, altro film-opera inedito per noi di Zeffirelli, pure quello co-prodotto dalla sua società cinematografica Aries, pure cantato da Placido Domingo e da un'incantevole Teresa Stratas: toni blu paraespressionistl, il Prologo vestito come il professor Unrath de L'Angelo Azzurro, però ambientazione Anni Trenta e dintorni, con fascisti neri in orbace mescolati alla gente insieme al gelataio cól suo trabiccolo' bianco, alle bandierine tricolori, agli zampognari in cicce e cappello a pan di zucchero, italianisslmi. E' tedesca, bavarese, la Unitel che ha prodotto i due film, ed è anche la maggiore produttrice internazionale di film di opere, operette, balletti e concerti: per il boom contemporaneo della mùsica' visualizeàta suVvideo e nelle videocassette, qualcosa di slmile a quanto la Metro Goldioyn Mayer rappresentò per il cinema americano degli anni splendenti. Nella nuova passione per la musica ette coinvolge soprattutto le ultime generazioni e che . gli studiosi di psicologia collettiva- attribuiscono' anche , all'assenna d'i parole, al filmopera si dedicano adesso in parecchi: ma Don Giovanni di Joseph Losey, Il flauto magico di Ingmar Bergman, Carmen di Francesco Rosi, Orfeo di Claude Goretta, Traviata e Otello di Zeffirelli sono stati e sono per i loro produttori omaggi a un genere in voga, realizzazioni mescolate a tanti altri film diversi, episodi. A Monaco la musica da vedere è invece una scelta esclusiva e sistematica: un lavoro compiuto insieme con i festival di Salisburgo e di Bayreuth in un collegamento anche finanziario che diventa a volte decisivo per certe produzioni, insieme con l'Opera di Vienna e il Metropolitan di New York (molto' più. raramente con la Scala), insieme con l'Orchestra Filarmonica di Vienna legata da un contratto d'esclusiva. Un lavoro che prevede l'aereo privato sempre pronto per trasferire dal teatro al I set i cantanti lirici sovroccupati, iperaffaccendatl; che comporta spesso l'impiego contemporaneo di due registi, uno per l'azione scenica e uno per il suono; che ha mes-i so insieme in un catalogo di quattrocento produzioni i direttori più illustri (Karajan, Abbado, Solti, Bóhm, Bernstein, Boulez, Kleiber, Prètre), gli interpreti più famosi compreso Rubinsteln, spettacoli ormai storici come II lago dei cigni danzato da Margot Fonteyn e Rudolf Nureiev. Un lavoro cominciato quasi ventanni fa, racconta Jan Mojto, dirigente della società madre Beta Film: «All'origine c'era specialmente l'amore per la musica del nostro boss Lieo Klrch e la sua amicizia con Herbert von Karajan, alimentata dai loro incontri al festival di Salisburgo. Ma c'era anche una logica industriale: 11 film di musica è internazionale, va bene per ogni pubblico senza bisogno di venir tradotto, doppiato; è in certo modo politicamente neutro, può venir visto a Washington come a Mosca, a Roma come a Pechino; è in un certo senso eterno, non soggetto al variare delle mode né al logoramento; è irripetibile, quando conserva l'arte di direttori o interpreti poi scomparsi. In più, vent'annl fa, nel 1966, la ricerca industriale stava sviluppando inediti strumenti di diffusione, lavorava già Intorno alle videocassette, ai compactdlsc: le nuove possibilità tecniche lasciavano intravedere un enorme ampliamento potenziale del mercato dei melomani». Le potenzialità d'allora sono oggi realtà, ma all'inizio nulla è stato facile, ricorda il direttore generale della Unitel, Ebherard Scheele: «I primi esperimenti li facemmo con Karajan, con un ciclo di concerti di Beethoven. Bisognava imparare tutto: studiare lo stile televisivo della comunicazione, vedere quale taglio dare all'immagine; quante telecamere ado^ perare, come arrivare a fornire non soltanto ottima musica ma anche un ottimo suono, risolvere il problema tecnico della sincronizzazione tra suono e immagine». Il ridicolo Nei film-opera le difficoltà risultavano moltiplicate: «Vent'anni fa, la maggior parte dei cantanti non sapeva recitare e non se ne preoccupava. L'essenziale era la voce, per 11 resto sul palcoscenico bastava spostarsi: ma la macchina da presa è infinitamente crudele, l'immagine goffa può ridicolizzare anche un interprete meraviglioso. E il cantante non doveva soltanto recitare, anche cantare in sintonia col play-back: le vittime celebri, 1 caduti, quelli che non sono riusciti, sono parecchi». Pure i registi dovevano avere un tipo di professionalità allora assai rara, saper dirigere un film ma anche conoscere e capire la musica: «Oltre Karajan, i due più bravi si sono rivelati Zeffirelli e Jean-Pierre Ponnelle, l'uno più cinematografico, l'altro più teatrale: anche se il Rigoletto che Ponnelle ha ambientato per noi tra gli edifici storici e splendidi di Mantova è dinamico, Inventivo, visualmente fantasioso». Per quasi vent'anni hanno lavorato con gli artisti più intrattabili, nevrotici e delicati del mondo: «Il problema è soltanto: quanto tempo impiego io a capire cosa vogliono, quanto tempo è necessario per dar loro quello che vogliono», dice Horant H. Hohlfeld, direttore della produzione. Spetta a lui risolvere ogni giorno il puzzle rappresentato dagli impegni dei cantanti: «Se affidassi le date e i dati al computer, la risposta sarebbe: non si può fare. Invece ha sempre funzionato». E' con lui che l'esigentissimo, prepotente, perfezionista Karajan tempesta, ricordando il proprio brevetto di pilota d'aereo: «Se lo avessi volato come voi fate la produzione, sarei morto da sempre». Anche, su di lui si rovesciano le polemiche, le accuse putiste d'aver fatto una «Dallas sul Reno». quando Patrice Chereau mette in scena a Bayreuth il ciclo wagneriano facendo del' dramma degli dei una tragedia umana e ambientandola nel tempo della prima rivoluzione industriale: «Ma lavorando con Boulez come direttore d'orchestra non ha mai fatto la regia contro la musica: l'ha fatta con il testo e non soltanto con la musica, mai contro la musica». Nessuna produzione (opera, balletto, operetta o concerto che sia) viene quasi mai ripresa direttamente e passivamente dal palcoscenico o dalla sala: invece girata apposta, rielaborata, reinventata. Spesso inventata del tutto, provocando incontri inediti tra musicista e interprete: è successo con Léonard Bernstein, che conosceva poco e amava pochissimo la musica di Mahler. Gli hanno chiesto di dirigerne le sinfonie, un concerto di canzoni. Bernstein E adesso, dopo tanti anni, nel regno della musica da vedere, ecco sullo schermo un film di novanta minuti realizzato per il centoventlcinquesimo anniversario della nascita del musicista. Titolo, Il mio Mahler. Immagini biografiche d'infanzia e di prima giovinezza, immagini di paesaggio, vecchie stampe, il lied struggente del Piccolo Tamburino. Poi, nero. E dal nero emerge la tagliente faccia inquieta di Bernstein, risuona la sua voce bellissima da attore e da seduttore: «Sono stato un piccolo tedesco, austriaco, ceco, moravo, polacco, ebreo, un ragazzo chiamato Gustav Mahler». La prima persona dell'identificazione si muta presto nella tersa persona del giudizio e della storia: Bernstein parla della ricerca della morte, dell'elemento ebraico, del tocco «ironie Kafka-like» nella musica di Mahler, si spiega suonandone al piano brevi brani alternati ad altra musica della tradizione ebraica, s'appassiona conducendo una perfetta biografia musicale di Mahler e insieme di se stesso. Momenti drammatici? Ce ne sono ogni giorno, dice Horant H. Hohlfeld, in compenso c'è a volte il privilegio d'essere testimone di momenti altissimi, memorabili.' «Era il 1982. Dovevamo cominciare a girare Elettra di Richard Strauss, e la parte musicale restava incompleta. Karl BOhm, 11 direttore d'orchestra, era molto malato e sapeva di esserlo: pure voleva finire quel lavoro. In aereo lo abbiamo portato a Vienna, nella sala da concerto. Non avevo mai visto un corpo umano cosi indifeso, cosi fragile. Cominciò a dirigere la scena del riconoscimento. Si interruppe. Prese a parlare ai musicisti dell'Orchestra Filarmonica di Vienna, con cui aveva lavorato per oltre cinquantanni: un discorso d'addio. Da una tasca della giacca tirò fuori uno scartafaccio, il prezioso diario di lavoro di Strauss per II cavaliere della rosa. Disse: "Volevo lasciarlo in eredità a mio figlio. Siete tutti miei figli. Lo regalo a voi"». Ha ripreso a dirigere e tutti, lui compreso, sapevano che era l'ultima volta. Morì quattro settimane dopo». Lietta Tornabuoni Monaco. Placido Domingo ne «I Pagliacci» di Zeffirelli