Un teatro molto «orientato»
Un teatro molto «orientato» BIENNALE: con la danza indiana si è concluso il festival Un teatro molto «orientato» E' stata una rassegna «di tendenza», né bella né brutta: tra gli en plein di Quadri gli spettacoli di Eduardo e Fo, Barba e Wilson - Momenti di tensione tra critici e studiosi universitari - Si è discusso sul futuro della manifestazione I DAL NOSTRO INVIATO VENEZIA — Con uno spettacolo di antica danza indiana, al teatro Ridotto, s'è conclusa domenica sera la Biennale Teatro. Il cronista, nel far le valigie, si rammarica di non aver potuto riferire, per ragioni di spazio, di alcuni spettacoli cui ha assistito: come quel Romancero de Edipo, regia di Eugenio Barba, protagonista unico il catalano Toni Cots, nel panni di un cantastorie cieco che va raccontando la terribile vicenda del grande Cieco del mito, un'ora di malinconia e tenerezza molto delicate con oggetti, costumi, gesti di un'intensa essenzialità; o,- sul versante opposto, come quelle Tre sorelle, decisamente da e non di Cecov, che 11 giapponese Suzusht ha vigorosamente condensato e maltrattato: un'Olga'-carcerlera, una Mascia-onanista, un'Irlna-epllettlca, con Tuzenbach e Verslnln che sbucano fuori, di continuo, alla Beckett, da due ceste di vimini, mentre Andrej è un «femmlnlello» e la consorte Natascia un maschione barbuto. Non è stata una Biennale né bella né brutta: nel suo proporsi come una rassegna di tendenza — e non poteva essere altrimenti, essendo animata e diretta dal più informato e rigoroso critico di tendenza italiano, Franco Quadri — ha avuto i suoi alti e bassi: piti numerosi i primi, occorre dirlo (Eduardo e Fo, Barba e Wilson), ma particolarmente «stonati» 1 secondi come quel Meta del siculo lombardi del Dagglde, un giochino da oratorio; quelle Meraviglie del mondo del belgi di Aktvertical, un cabaret tra goliardi Anni 60; e quella Vita immaginaria diPaolo Uccello del Magazzini Criminali, ambizioso allestimento. Ma non ha senso, dinanzi a questa come ad altre manifestazioni, almanaccar classifiche né rilasciar pagelle. Semmai converrebbe interrogarsi su come oggi vada organizzato un festival e a chi vada indirizzato. Se n'è discusso un poco con Franco Quadri in una tornata, aperta al pubblico, dall'Associazione critici teatrali: ta, aperta al pubblico, dal- l'Associazione critici teatrali: ma con modeste prospettive per il futuro, anche per 11 carattere tetragono del succitato direttore. A chi ipotizzava un ritorno alla formula, nel passato remoto gloriosa, di un'ampia rassegna internazionale, quasi un bilancio biennale del «meglio» in Europa e nel mondo, Quadri ha risposto che ci pensano già gli assessori a invitare un sacco di compagnie dall'estero (ma son a invitare un sacco di compagnie dall'estero (ma quali? ma dove?) e che una pura e semplice «vetrina» delle migliori produzioni straniere a Venezia non si giustificherebbe. A chi gli chiedeva di tentare un allargamento del pubblico, dopo aver constatato che molti spettacoli dell'appena conclusa edizione erano stati visti solo da specialisti e da un assai limitato numero di spettatori «normali», Quadri ha replicato che 11 teatro ai spettatori «normali», Quaori ha replicato che il teatro non è il cinema, capace di richiamare ben altre folle; e che Venezia col suol sessantamila abitanti non è Parigi, con 1 suol tre milioni circa, che diventano otto e mezzo se si calcola l'intera banlieu; e che comunque anche al Festival d'Automne, proprio a Parigi, il colossale Re Lear interpretato da Bernard Minetti, è stato visto nei giorni scorsi da duemilaseicento persone, cioè da tutti 1 «professlonels» della capitale. Conclusioni provvisorie: è probabile che anche l'anno prossimo, l'ultimo della gestione Quadri, assisteremo a un festival molto «orientato». Personalmente non considero la prospettiva Infausta, a patto che il clima della manifestazione non degeneri, non diventi settario ed ereticale. Già quest'anno ci sono stati varii momenti di tensione: tra critici militanti e alcuni studiosi universitari, che, evidentemente non paghi di studiar 11 teatro dei secoli scorsi, si impegnano in infervorate teorizzazioni dell'odierno teatro «diverso» (ma come si fa a teorizzare sui Magazzini Criminali?); tra alcuni critici titolari e i loro più giovani «vice», che 11 rimproveravano d'essere poco attrezzati a riferire di una rassegna sperimentale. Guido Davico Bonino
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