Mare «vostrum»: l'Italia e il Mediterranea

Mare c<vostrum»: l'Italia e il Mediterranea Mare c<vostrum»: l'Italia e il Mediterranea ; (Segue dalla 1' pagina) . Mediterraneo, c'è storicamente il «vuoto», un -«vuoto», o comunque entità politiche con cui possiamo misurarci. E verso le quali, infatti, salvo il problema di Trento c Trieste, per ottant'anni abbiamo sempre esercitato le nostre iniziative maggiori, dalla penetrazione in Eritrea alla conquista dell'Etiopia. Lo stesso dicasi in questo dopoguerra con il «dinamismo» verso l'Africa ed il Medio Oriente. Ma con l'avvento della Repubblica è intervenuto un mutamento radicale rispetto al passato nella cultura politica dei gruppi dirigenti, ispiratori e responsabili della politica estera italiana. Mutamento che era già emerso con il fascismo, ma che dal '45 a oggi si è sempre più approfondito e su questo specifico punto ha finito con lo spaccare la classe politica repubblicana perché rinvia a due culture politiche inconciliabili. C'è una parie minoritaria di questa classe politica (grosso modo i «laici») che, essendo in qualche modo crede della complessiva esperienza storica dello Stato unitario, sa bene che, per muoversi nella sua arca di elezione mediterranea senza combinare pasticci o disastri, la nostra politica estera è prioritariamente obbligata, comunque, a proteggersi le spalle, tanto a Nord, quanto garantendosi perlomeno la benevola neutralità della potenza navale egemone; c'è la parte maggioritaria, invece, d'ispirazione cattolica e marxista, che ha un diverso modo d'intendere e di sentire. La cultura politica di cattolici e marxisti, oltre ad avere un'estraneità storica rispetto a tutta la problematica dello Stato-nazione, ignora concettualmente le due categorie essenziali di qualsiasi politica estera realisticamente pensata: la categoria degli «interessi vitali», e quella dei (attori geopolitici. Quella che essa chiama politica estera tende invece, per naturale disposizione, a muoversi lungo linee ideologico- transnazionali (perché ideologico-transnazionali sono la Chiesa, la fede cattolica, il socialismo, il capitalismo, l'im¬ perialismo, ecc.), e cioè «la pace», «la liberazione dei popoli», «il Nord c il Sud del mondo», pensando il globo non già diviso innanzi tutto in Stati (come di fatto è) bensì secondo altri discrimini. «Pace», «liberazione», «sottosviluppo» sono tutti elementi che hanno tutti implicita dentro di sé una carica più. o meno forte di contrapposizione non solo all'ordine concettuale stabilito ma, per forza, anche alla gerarchia di potere e di potenze statuali in cui quell'ordine concettuale storicamente s'incarna. Non meraviglia quindi se la politica estera italiana d'ispirazione cattolico-marxista abbia mostrato sempre più la tendenza ad essere animata emotivamente da una sorta di risentimento psicologico contro «i signori del mondo» ed il loro sfondo di regole e di idee. E' evidente a chiunque abbia occhi per vedere che Andreotti è assai più a suo agio quando parla, che so, con Burghiba che con Shultz; cosi come le simpatie della maggioranza della nostra classe politica vanno immedia¬ tamente con più facilità all'Angola o all'Argentina anziché alla Gran Bretagna o alla Svizzera. Per questa via una tale politica estera ha assunto fisiologicamente un che d'insofferente, d'irrequieto, di «sovversivo», che l'apparenta con la politica estera che per cent'anni ha desiderato l'Italia «sovversiva» di sempre, fascismo incluso. «Esistono i popoli!», ha esclamato a un certo punto di una conferenza stampa il presidente del Consiglio qualche giorno fa. Chi ha letto qualche libro sulla storia del nostro Paese ha avuto un soprassalto: perché in quell'affermazione, che era piuttosto un grido, si sentivano tutti insieme gli echi di Mazzini, di Garibaldi, di Oberdan, di Corradini, della «grande proletaria» di Giovanni Pascoli e poi ancora di De Ambris, di Corridori, giù giù fino a Merio Appelius ed al cavalier Benito Mussolini. Grazie al quale però, com'è ampiamente noto, ci ritrovammo alla fine tutti quanti sul «bagnasciuga». E. Galli della Loggia