Cinema giovane, ma poco italiano di Stefano Reggiani

Cinema giovane, ma poco italiano Al festival di Torino i nostri autori fuori dalla rassegna principale Cinema giovane, ma poco italiano Nello spazio nazionale un videoclip di Pietro Angelini e l'intervista aperta alle attrici esordienti TORINO — L'aggettivo Olovane unito a cinema italiano si capisce che non suona troppo bene o provoca speranze intempestive. Tanto è vero che anche gli organizzatori del festival Cinema Giovani hanno preferito evitare le occasioni di confronto o di Imbarazzo ufficiale tenendo il più possibile gli autori italiani fuori del programma principale e favorendo le testimonianze, le prove, gli sbagli del non professionali nel settore Spazio Aperto. Olà l'anno scorso una slmile divisione, Intesa come ghettizzazione, creò qualche polemica; quest'anno la discussione è più flebile, gli esclusi sembrano meno battaglieri o più consapevoli, ma l'argomento in realta è stato affrontato subito, fin dall'inizio, in un modo Intelligente e subdolo come se 11 festival volesse coprirsi le spalle. SI tratta in particolare di un dibattito con alcune attrici giovanissime e di un film a medlometragglo presentato domenica sera. Prendiamo 11 film «Bessle, my man» del rlmlnese Pietro Angelini, anni 26, presentato quasi come fuori programma con l'americano 'The way it is» già visto a Locamo. E' -un'opera che avrebbe avuto più indulgenza nello Spazio Aperto allestito. al cinema King Kong dove ogni sera gruppi di ragazzi incuriositi, solidali o pazienti delibano corte e lunghe pellicole non professionali,o di scopo più privato. Angelini è al primo grado della seduzione cinematografica, si capisce che ha del modelli, non ancora un linguaggio in qualche modo apprezzabile, ha fatto una specie di immusonito videoclip su Rimini di notte in cui tre giovani a disagio si muovono a caso In macchina ascoltando dischi. Vuol essere una simbolica rappresentazione dello stato d'afasia del giovane cinema italiano? In questo caso, gli organizzatoti hanno saputo essere perfidi. Del resto, non minore, ma più sapiente malizia c'è voluta per sollecitare 1'«intervista aperta» di Lietta Tornabuont a tre attrici italiane quasi agli esordi, Valerla Colino, Isabella Ferrari, Amanda Sandrelll (per non citare la meno colpevole americana Melissa Leo). Le domande cortesemente implacabili del' la Tornabuonl ci hanno fatto scoprire anche l'aspetto umano della crisi del nostro cine ma; non semplicemente le attrici esordienti continuano ad essere considerate fuggevoli portatrici d'emozioni e richiami sessuali (Lattimela si comporta ancora come il vecchio medico di famiglia: «Si spogli»); ma le ambizioni stesse delle esordienti non fanno credito più di tanto al prodotto nazionale. O perché pensano all'Italia solo come a un rifugio della loro vanità e della loro pigrizia, o perché ne vogliono fuggire quanto prima, come la Oollno, sperando nelle magnifiche promesse del mercato amerlca- E pensare che dagli Indipendenti americani, come gli autori di 'The ioay iti!*, viene fuori una nostalgia profonda del cinema italiano e della via italiana al cinema. Cosi può capitare che due attori si rinfaccino l'un l'altro le occasioni mancate o le immaginarle promesse di lavoro; e girano 1 nomi di Felllnl, di Bertolucci, dell'italoamerlcano Scorsese.Tra 1 fuochi di sentimenti e velleità contrastanti l'Italia è davvero un Paese lontano. Un'altra regista, dopo la venezuelana Fina Torres, ha portato al festival un'opera prima; la libanese Jocelyne Saab ha presentato 'Gazi el banat*, documento di un Paese vicinissimo e di una città martoriata, Beirut. La Saab, che ha 37 anni ed è stata assistente di Schloendorff per •L'inganno-, dimostra per poesia e per metafora, magari con qualche Insistenza e inadeguatezza, quello che sapevamo già.: non c'è Paese In guerra In cui non cerchi di farsi posto la normalità, col suo bisogno di sentimenti duraturi e di desideri privati. A Beirut è la guerra che rende possibile l'amore tra un artista in crisi e una ragazza di 14 anni profuga dal Sud, ma è anche la guerra che lo interrompe col fucile d'un cecchino. Non si capisce a un certo punto se il fascino della ragazza sia 11 richiamo stesso della guerra, del prendere partito. E se la normalità non sia solo un sogno privato, una vendetta della ragazza verso gli adulti. Ma si capisce che la regista è solidale con l'adolescente del Sud; Infatti nel film non è mai precisato chi combatte contro chi, la carneficina degli uomini trascorre tra doveri astratti e ormai incomprensibili, come temiamo da un pezzo stia accadendo nella realtà del Libano. Stefano Reggiani

Luoghi citati: Beirut, Italia, Libano, Rimini, Torino