Che gran disperazione, per Iui, terminare un film di Lietta Tornabuoni
Che greasi disperagiopie, per Imi, termliigre wti film Che greasi disperagiopie, per Imi, termliigre wti film Alle notizie dell'ultimo tempo (Orson'Welles ha firmato il contratto per un Otello finanziato dal ministero francese della Cultura; Orson Welles intm^gfff, Qarga$pua.è sicuro, è co#fetmaJp).Aqe$sunà tyeaéva, a tutti parevano sonerei} nonio farà mei, ehi vuol preriaere iti giro? Lo si diceva con amore: perché, al di là dell'ammiraeione, si voleva bene a quel pigro gigante barbuto dallo sguardo infantile, a quel grosso orso fumante e sonnolento, che era stato un giovanotto bellissimo ed era anche nella vita un attóre magnifico f«Pare uno stratega che finge di essere ubriaco quando vuol essere lasciato in pace, uno studente .che dorme in classe», diceva Jean Cocteau). E anche perché si conosceva la sua leggenda: se, come Strohelm o Oriffith, Welles semplicemente rifiutava di accettare le limitazioni economiche e logistiche del cinema, come Verlaine con la xw4% rifiutava d.^onsWsrgr&y^-d jp~g0luhque flln)^$!uttaim.ueom*' plètare qualsiasi'cosà adisse' contine ciato. Doi>er licenziare un film era per lui fonte di disperatone, un momento di morte da rinviare il piti possibile, una ragione d'ansia insopportabile per come il prodotto finito sarebbe apparso rispetto alla perfezione sognata: Al Don Chisciotte lavorò per quindici anni; nel 1972 pensava a rieditare L'orgoglio degli Amberson con un nuovo finale ambientato dieci anni dopo; nel 1975, i fram- menti di The Other Side of the Wlnd trasmessi dalla televisione i l americana come parte di un omaggio a Welles dell'Amerlcan Film Insolute apparivano molto lontani dell'esser completati, e ci lavorava dalla seconda metà dei Sessanta;, 3iel.l97fc il,coautore Francois • Rei'chenbneh'diventò quasi pazza'fier convincerlo a licenziare P. for Fake. Genio dell'autodistruzione, nel tentativo di sottrarsi alle règole industriali e commerciali diventava anche Grande Vagabondo, Esule d'Arte: lontano da Hollywood, girava in. America Latina e in Spagna, in Francia. E in Italia. Dopo aver sposato la più bella dell'epoca, Rita Haywòrth, s'innamorava un poco di Lea Padovani e nella villetta tra gli alberi a Fregene, sul mare vicino a Roma, raccontava l'incontro con la moglie italiana Paola Mori: una mattina aveva visto passare sulla spiaggia una ragazzina bruna bellissima, come una gazzellaFumava piano,, raccontava come avesse ideato -uno speciale meUxto<trasversale di lettura che gli consen tìva dlìeggéreuh libro di250pàgine in tre quarti d'ora. Prendeva in giro quelli che lo consideravano di sinistra soltanto perché aveva partecipato all'impresa culturale di Stato durante la presidenza Roosevelt, perché sì ribellava alle imposizioni del cine-capitalismo. Prendeva gentilmente tn giro il neorealismo italiano: «Un film non è mai come la vita. Un film è un sogno». Orson Welles era un uomo affettuoso, cattivo e meraviglioso: capace di fare qualsiasi cosa per gli amieie poi di rovinarli per il gusto di &,!deJJaUimento.edeUa morte, ca- una battuta, capace di apprezzare t piaceri dell'esistenza e di dipanare «un nastro di sogni» dalla propria, onnipresente paura della decaden- pace di fare un cinema del caos organizzato che rispecchiava U disorganizzato caos della sua vita. Tra le sue immagini incancellabili, quelle che son sempre parse le più autobiograficamente simboliche sono lo slittino infantile e la palla di vetro nevosa nel finale di Citizen Kane (Quarto potere), il film dell'ambigua grandezza americana: ma forse è più vera quella dello sterminato straordinario puzzle senza fine messo insieme dalla protagonista, immagine della forma e insieme del contenuto del film, e del suo autore. Lietta Tornabuoni
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