Reinhold Messner nel suo castello svela tutte le emozioni del Tibet di Gigi Mattana
Reinhold Messner nel suo castello svela tutte le emozioni del Tibet Incontro col grande scalatore nel maniero della Val Venosta dove ora abita Reinhold Messner nel suo castello svela tutte le emozioni del Tibet DAL NOSTRO INVIATO NATURNO — La pianura non fa proprio per lui. Abitualo a trascorrere almeno metà della vita sulle montagne più alte del mondo, ora Reinhold Messner ha deciso dì fare il castellano e di vivere in alto quei pochi momenti di pausa che il suo Alto Adige riesce a fargli assaporare. Messner, 41 anni, definito a buon diritto il più grande alpinista dei tempi moderni, ha scelto di stabilirsi a Castel Juval. un maniero contemporaneamente morbido e truce che sorveglia dall'alto la Val Venosta e l'imbocco della Val Senales. Si dice che il rudere sia stato acquistato per 60 milioni e che i lavori fino allo .stato attuale, grazie anche a consistenti aiuti della Provincia e di amici disinteressati (è incredibile come Messner nella sua regione sia da molti letteralmente adorato e da altri profondamente odiato) siano costati al massimo un centinaio di milioni. Da almeno dieci anni le cronache più intime, le interviste più sofferte a Reinhold portavano come data Santa Maddalena di Funes, quello splendido paesino sotto le Odle in cui è nato e vissuto, e dove, diventati cospicui i guadagni, si era potuto permettere di acquistare la vecchia canonica per trasformarla in una casa punto di riferimento (e ahimé anche molto di invidia) per tutti quanti osava ammettere alla sua piacevole presenza. «17 recentissimo viaggio a piedi lungo ii Tibet — prosegue Reinhold — mi ha fatto capire che viene un momento della vita in cui bisogna dare un taglio netto. Ero vissuto quarant'anni a Santa Maddalena, era giunto il momento di trasferirmi: ho telefonato da Pechino alla mia segretaria, ho detto di vendere tutto e die da quel momento in poi Castel Juval sarebbe stata la mia casa, un po' per puro gusto, un po'per voglia di meditazione. Ma ciò non toglie che qualche volta all'anno non la possa aprire». E l'occasione per vedere in anteprima questa meraviglia architettonica (vi si arriva dal fondovalle con circa quattro chilometri di strada sterrata in auto o una passeggiata di un'ora abbastanza «tirata») era proprio un convegno dal titolo «Montagna padre del mondo». E' un argomento difficile: la montagna ci risveglia sentimenti irrazionali? Nella cultura di ogni Paese che importanza ha 11 mito della vetta? La competizione ha la stessa validità di altri sport? O meglio, chi risolve il problema se la fase trascendente e mistica dell'alpinismo, abbia tuttora la prevalenza sulla grande attività atletica? Ci hanno provato in tanti, e bene, a dare un significato, ad affidare messaggi (ed è interessante come questo congresso cosi innovativo sia nato, principalmente, dall'appoggio di un'industria che crede nella scienza dell'alimentazione nello sport e negli ambienti più ostici per l'uomo). L'antropologa Olga Amman (tutto è preghiera in Oriente rispetto a noi poveri materialisti), mons. Ghirelli (l'importanza della montagna nella Bibbia), 11 lama (ma vive a Milano) Ghesce Tenzin (dalle vette nascono i desideri più profondi), più altri studiosi, scienziati, noti scrittori come Alberto Bevilacqua che saggiamente, da uomo di pianura, ha invitato a scendere da quote lontane dalla vita di ogni giorno. ' Ma lui, il castellano senza corona, il grande Reinhold, che oggi ha indossato un nuovo «look», come si dibatteva fra argomenti belli e nobili, ma che forse in un contesto più largo annoierebbero il grande pubblico? La sua è veramente una sete di meditazione o non è (badate bene, lo malignavano in molti) la ruota di scorta per quando avrà finito di scalare tutti i quattordici «Ottomila» della Terra? (Gliene mancano soltanto due, il Lothse e il Makalu.) Non si diventa il più grande alpinista del mondo se non si sa restare a galla con abilità strabiliante su ogni ' argomento. Ed ecco il pubblico, già un po' annoiato, riceversi una frustata di vitalità sentendo il racconto della lunga, recentissima peregrinazione attraverso il Tibet in zone dove mai nessuno era stato. Il Kailash (6700 metri di conglomerato al centro dei deserti del Tibet) è più di una montagna, è più di una piramide sacra. E Messner ha vissuto questa zona inaccessibile in cui da sempre i pellegrini vengono a migliaia per dare un significato alla loro esistenza di povertà e beatitudine. «Ho deciso di girare intorno alla montagna con un percorso massacrante di un giorno, (visti i 40 chilometri che pas¬ sano anche attraverso un valico di 5400 metri) e camminando e vivendo con i pellegrini capivo che mi stava succedendo qualcosa di strano. L'esalta percezione però — dice Reinhold — l'ho avuta soltanto il giorno successivo, quando ho deciso di compiere il periplo dì un lago, 80 chilometri, in cui il Kailash si rispecchia». «Altri tibetani scivolavano lenti accanto a me — continua l'alpinista — le voci insinuanti della risacca sulle rive che diventava fragore di onde. E con le ginocchia a pezzi e la mente che volax^a ho capito che il lago era la parte femminile del mondo e il Kailasah ne era il padre. Da lui nascono quattro grandi fiumi d'Oriente, intorno turbinano le preghiere lanciate nel i>ento. Come non pensare di sentirsi una foglia persa in un mare di buoni sentimenti?,,. Gigi Mattana
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